È già passato il
momento di soddisfazione sia per aver visto che, con l’affluenza alle
primarie del PD, la sinistra vuole far sapere che esiste ancora, sia in
quanto ha largamente dominato l’unico candidato decisamente schierato
contro le tentazioni centriste e destrorse di un partito più preoccupato
di raccattare voti che di fare il bene della porzione di italiani che
vi aveva riposto le speranze di vivere meglio. Se ora ci si guarda
intorno ci si rende conto che bisogna comunque ripartire praticamente da
zero perché i nodi irrisolti restano ancora lì, del tutto intatti:
quella che Veltroni aveva chiamato “vocazione maggioritaria”; la
sfiducia reciproca che spesso sconfina nell’intolleranza tra quelli che
pensano a un partito di centrosinistra e i seguaci di Renzi; la
necessità di riportare in primo piano il lavoro come unica arma per
restringere il dilagante campo della povertà; l’obbligo di ridare fiato a
un welfare che, con le sue progressive assenze, costringe, tra l’altro,
oltre quattro milioni di italiani a rinunciare a curarsi;
l’inderogabile obbligo di far tornare civile un popolo che oggi ha
dimenticato che poveri, disperati e migranti possono diventare tutti,
anche quelli che oggi stanno bene e che la giustizia è cosa troppo seria
per lasciarla nelle mani di chiunque lo voglia.
Su tutto il resto si è già scritto
molto e ancora si scriverà. Oggi mi interessa soffermarmi su quella
“vocazione maggioritaria” che costringe la sinistra a un ruolo di
subalternità apparentemente inevitabile. Dato per scontato che molto
difficilmente il PD da solo può pensare di superare il 50% dei consensi,
occorre pensare ad alleanze non soltanto elettoralistiche che cedano
subito dopo la distribuzione dei seggi, ma a unioni serie di
intendimenti politici e sociali che si pongano obbiettivi precisi e che
privilegino alcuni scopi principali rinviando a momenti successivi la
risoluzione dei motivi di attrito di importanza secondaria. Per capirci,
penso a una reincarnazione del Comitato di Liberazione Nazionale, di
quel CNL nato il 9 settembre del 1943 a Roma e che poi, nell’aprile
1944, a Salerno, è riuscito a far convergere quasi tutti, dai comunisti
ai monarchici, sulla scelta di rinviare la soluzione delle divergenze al
momento in cui sarebbe stato risolto il problema principale: la
cacciata dei nazisti dal suolo dell’Italia e dei fascisti dalle sue
istituzioni. Poi il secondo obbiettivo non è stato del tutto raggiunto,
ma questo è un altro discorso.
Quella volta, non senza difficoltà,
l’iniziativa di Togliatti, con la mediazione di De Nicola, riuscì a far
convergere verso il medesimo obbiettivo Nenni, Basso, La Malfa, Valiani,
Sforza, Croce, Bonomi e tanti altri. Poi Togliatti fu accusato dai
massimalisti di essersi reso impuro nel contatto con le altre forze
politiche, ma intanto la Resistenza era riuscita non soltanto a cacciare
gli invasori di terre e di diritti, ma anche a riscattare, almeno in
parte il nome dell’Italia.
Ma come si può tentare, se finora si
è sempre fallito, di mettere assieme tutti quelli che hanno in comune
almeno la determinazione a non dare più il Paese in mano a fascisti,
razzisti e spocchiosi incompetenti disposti a ogni compromesso pur di
non mollare la una volta tanto vituperata poltrona? Dovrebbe essere già
quasi sufficiente lo stato di necessità nel quale ci troviamo, ma
sicuramente anche in questo campo un aiuto determinante può arrivarci
dalla cultura, intesa non come sfoggio elitario, ma come semplice riuso
organizzato di idee già distillate da altri.
Se è vero, infatti che ogni persona
di centrosinistra vede il proprio simile che vota, però, per un’altra
sigla, come un alieno, allora forse è davvero utile esplorare come
questo contatto con gli alieni sia stato analizzato da grandi firme. La
prima che vi propongo, molto brevemente, è quella di Tzvetan Todorov che
nel suo libro “La conquista dell’America”, sottotitolato “Il problema
dell’altro”, ripercorre le vicende immediatamente successive al 1492
quando la scoperta dell’America ha posto a contatto per la prima volta
europei e indios, totalmente alieni gli uni per gli altri, e ha
originato disastri di cui ancora oggi non abbiamo cessato di pagare le
conseguenze. Todorov mette in rilievo che gli “alieni” sono stati
considerati dagli europei, meglio armati e quindi più forti, o come
esseri inferiori, e quindi da sfruttare, o come esseri umani e quindi da
assimilare, anche con la forza. In entrambe le ipotesi questo ha
comportato la distruzione della cultura altrui e, quindi, una resistenza
iniziale e un impoverimento finale. Per uscirne indenni – scrive il
sociologo e filosofo bulgaro – bisognerebbe saper «vivere la differenza
nell’uguaglianza», cosa facile a dirsi, ma difficilissima a farsi.
Eppure è l’unica strada, se si vuole operare insieme.
Altro suggerimento ci arriva da
Jonathan Swift che nel suo “I viaggi di Gulliver” fa arrivare il
protagonista del suo romanzo in quattro isole abitate da veri e proprio
“alieni” di cui ricordiamo soprattutto i nanetti di Lilliput e i giganti
di Brobdingnag. Swift scrive un aspro attacco allegorico alla vanità e
all’ipocrisia della società dell’epoca, ma Marco Aime nel suo “Gli
specchi di Gulliver”, sottotitolato “In difesa del relativismo”, mette
acutamente in luce che Gulliver e i suoi stranissimi interlocutori,
interrogando le proprie diversità, mettono in crisi le proprie certezze e
finiscono per diventare altrettante facce dello stesso mondo: insomma
si relativizzano specchiandosi gli uni negli altri.
Un ulteriore aiuto ci arriva da
Daniel Defoe che colloca il suo "Robinson Crusoe" in un’isola deserta
nella quale il naufrago si rende conto che il primo alieno da conoscere è
proprio il se stesso che cambia in maniera sostanziale nella
solitudine, nella perdita delle comodità abituali e nella necessità di
difendere la propria esistenza intesa non soltanto come corpo pulsante,
ma anche e soprattutto come grumo di idee e valori. E in questa
situazione di continua e angustiante necessità, Robinson impara a
distinguere non dico il bene dal male, ma almeno il male dal non male. E
così combatte senza esitazioni sia i cannibali dalla pelle scura, sia i
pirati dalla pelle chiara, ma capisce anche che proprio un uomo dalla
pelle scura, pur apparentemente lontanissimo, può essere il suo vicino
più vicino, quello che evangelicamente è chiamato “il prossimo”. E così a
Venerdì insegna, ma da Venerdì anche impara. E poi con Venerdì affronta
il rientro in patria dopo 17 anni, quando si rende conto che anche lui è
diventato un alieno per i suoi compatrioti.
Ecco, con l’aiuto di quattro grandi
firme, abbiamo percorso velocemente un tratto di quel sentiero che
sinistra e centrosinistra dovrebbero seguire insieme se si vuole davvero
far finire questa maledetta notte, se si vuole davvero liberare
l’Italia dal tallone di fascisti, razzisti e spocchiosi incompetenti
disposti a ogni compromesso pur di non mollare la una volta tanto
vituperata poltrona.
È indubbiamente un percorso stretto,
difficile, spesso respingente, o addirittura repellente, ma dobbiamo
renderci conto che, sperando ancora nell’uomo, in questo momento è
l’unica strada possibile per tornare in un mondo più umano e meno
alieno.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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