Quello che è
successo in Lombardia e nel Lazio nei rapporti tra Liberi e Uguali e il
PD non è facile da incasellare con esattezza nelle categorie canoniche
della politica italiana, ma può aiutare a tentar di comprendere un po’
meglio – sempre lasciando a ognuno, naturalmente, di trarne la morale
che ritiene – cosa stia accadendo tra le anime di due partiti, uno dei
quali pretende di essere collocato tra il centro e la sinistra mentre
l’altro non lo considera tale e, anzi, lo vede collocato al centro, se
non in parte nel centrodestra, e comunque pronto a continuare a
governare, se del caso, con fette significative di personaggi politici
che con la sinistra non hanno alcun punto di contatto, se non
un’antipatia spiccata e liberamente ostentata. E tutto questo, al di là
di quanto accadrà il 4 marzo, sarà molto importante anche in prospettiva
locale, pensando alle regionali e alle comunali udinesi nelle quali le
peculiarità territoriali avranno sicuramente il loro peso, ma non
potranno certamente cancellare le realtà squisitamente politiche a
livello nazionale.
Per prima cosa va detto che, viste
da lontano, le decisioni divergenti da parte di LeU (in Lombardia un no
secco a Gori, nel Lazio un sì, pur condizionato, a Zingaretti) sono
state prese sia perché le due assemblee di Liberi e Uguali possono
essere composte in maniera sensibilmente diversa, sia in quanto le
prospettive di dialogo con Gori e Zingaretti possono essere state
valutate in maniera diversa. Ma anche gli stessi candidati già
presentati dal PD possono essere stati sentiti in modo disuguale. Mi
spiego: quando qualcuno ha già deciso il candidato presidente, altre
candidature di spicco e parte fondamentale del programma è ben difficile
accettare – credendoci – un invito a discutere insieme «su un piano di
parità» per arrivare a un’alleanza. È ragionevole pensare, per bene che
vada, a qualche assessorato elargito per ingolosire alcuni maggiorenti,
ma molto meno ragionevole è credere che questa offerta possa essere
accettata da un elettorato deluso da anni di politica a lui aliena da
parte del PD e che difficilmente riuscirebbe a capire perché allearsi
con coloro dai quali soltanto pochi mesi fa ci si è traumaticamente
separati.
La frase ricorrente è: «La
spaccatura nel centrosinistra finirà per favorire la destra». Ma il
fatto è che, se sulla seconda parte della frase nessuno ha dei dubbi
perché la destra, o i grillini saranno sicuramente favoriti, è sulla
prima parte che l’assunto dimostra la propria debolezza visto che chi
dal PD se ne è andato lo ha fatto, e con evidente sofferenza, proprio in
quanto non ritiene più che
il PD sia un partito di centrosinistra. E che, quindi, non si tratti di
spaccatura tra parenti, ma di normale separatezza tra lontani.
E a chiarificare la situazione
aiutano anche le frasi improvvide pronunciate a botta calda dai
protagonisti lombardi e che sono soltanto vuoti slogan, o inutili
provocazioni.
Altro non è che uno slogan vuoto di
contenuti, infatti, la frase con cui Giorgio Gori ha detto che «i
dirigenti di LeU sono evidentemente offuscati dall’odio per il PD».
Ricordo ancora, da persona mai iscritta a nessun partito (ve la do come
constatazione, non come presunto merito), che tutti coloro che sono
usciti dal PD di Renzi lo hanno fatto con dolore e rimpianto per il
partito nel quale avevano militato per tanti anni e che avrebbe dovuto
essere l’erede di altri partiti ormai ingoiati dalla storia, ma dei
quali in tanti avevano avuto la tessera. Costoro hanno lo stesso spirito
ferito di un innamorato tradito. Quindi non di odio per il PD si
tratta, ma di condanna senza appello per Renzi che quel partito ha
conquistato e poi ha stravolto, cambiandone profondamente essenza e
obbiettivi; e anche per coloro che ossequiosamente hanno appoggiato
tutte le sue scelte, in un diffuso silenzio che è stato tanto profondo
che se oggi qualche esponente dem cerca di recuperare un po’ di
credibilità nei confronti di chi sta più a sinistra, sventola come una
medaglia il fatto di aver detto una volta che non era stato d’accordo
con le decisioni del segretario, salvo poi votare comunque a favore «per
disciplina di partito». Ed è ben difficile essere d’accordo con chi
dice: «Voteresti per il PD e non per Renzi». Non è così, perché il PD
oggi è ancora soltanto Renzi e appoggiare lui è come appoggiare le sue
politiche che hanno realizzato molte cose che Berlusconi avrebbe voluto
fare, ma senza riuscirci e che a tutte le persone orientate a sinistra
sono apparse decisamente indigeribili.
Altro non è che una provocazione,
invece, la frase di Onorio Rosati, il candidato di LeU in Lombardia: «Se
vogliono il voto utile vengano loro da noi». A prima vista può anche
apparire brillante e divertente, ma, in realtà, è inutile perché non fa
fare un solo passo in avanti sulla strada che, a mio modo di vedere, se
davvero ci si tiene agli ideali di sinistra, dovrebbe essere l’unica da
seguire nella speranza di un futuro migliore: quella di usare vecchi, ma
non consunti, ideali per costruire nuove basi dalle quali partire per
ricostruire un nuovo centrosinistra capace di impegnarsi per realizzare
istanze sociali e non soltanto per occupare seggi e posti di potere.
Ma tutto questo - lo ripeto - si può
realizzare soltanto con un confronto vero perché nessuno può credere
alla sincerità di un confronto per cercare una mediazione quando
praticamente tutto è già deciso, o perché si è partiti per primi, o
sulla base di risultati elettorali precedenti, o sulla scorta di
sondaggi che poi troppo spesso sono anche clamorosamente sbagliati. Probabilmente, per un confronto serio, sarà necessario attendere che il
dialogo non sia inquinato dalle sirene di posti da conquistare e che
finiscono per distrarre da un discorso concreto sugli ideali e sugli
obbiettivi. Che sono le uniche cose che nella politica propriamente
detta dovrebbero importare.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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