Dico la verità: a
ripensare che ieri ho scritto un commento sulle sorti di Renzi, del Pd e
della sinistra italiana mentre sul villaggio di Khan Shaykhun, nella
provincia siriana di Idlib, qualcuno – e in definitiva è secondario
sapere chi, visto che quasi tutti ne sarebbero capaci – ha effettuato un
attacco con gas tossici che ha causato oltre settanta vittime, tra cui
almeno venti bambini, mi viene il fortissimo dubbio di aver perso il
contatto con la realtà, di non aver più presente quella scala dei valori
che mi ha sempre fatto da traccia nella vita.
Che senso ha parlare di strategie
politiche, obbiettivi sociali, ambizioni personali, ideologie, mentre
sta affondando in uno sterminato immondezzaio di sete di potere e di
sangue quella che dovrebbe essere l’essenza stessa dell’essere umani? E
mi riferisco alla capacità di pensare a se stessi come parte di un tutto
e di elaborare pensieri complessi che sono gli unici capaci di superare
l’egoismo e tutti i frutti avvelenati che questo schifoso albero
produce.
Obbiettivamente mi sento colpevole,
ma non perché ho scritto delle questioni politiche italiane, ma perché
non ho scritto anche ieri delle schifezze che ci circondano in maniera
sempre più asfissiante: dai terrorismi non sempre marcati
dall’integralismo religioso, ai muri che vediamo sorgere un po’
dappertutto e che non sollevano neppure un piccolo cenno di dissenso da
quell’Europa così attenta, rigorosa e minacciosa quando si tratta di
difendere le supposte ragioni dell’economia, ma, in realtà, di mantenere
lo status quo, o di permettere che cambi soltanto se va a vantaggio di
chi già sta meglio. Dall’indifferenza con cui vengono neppure guardate
le centinaia di migliaia di morti per fame e malattie che sarebbero
facilmente evitabili, alla stolida crudeltà (non può essere soltanto
abissale imbecillità, perché già il concetto che una vita umana possa
valere meno della propria tranquillità è un pensiero delinquenziale) con
cui taluni dicono, anche mentre guardano le immagini dei Paesi più
travagliati: «Aiutiamoli a casa loro». Dall’incapacità di reagire
concordemente al sempre crescente strapotere della finanza al non
riuscire a opporsi degnamente a quei rigurgiti di razzismo e
suprematismo che hanno raggiunto anche i vertici di quegli Stati Uniti
che fino a non molti mesi fa tanti consideravamo il faro del mondo
libero.
Si potrebbe dire che sono cose
troppo grandi perché noi possiamo affrontarle con speranze di successo.
Ed è vero. Ma è vero soltanto se pensiamo di opporci a queste cose da
soli. Se pensiamo a noi non come individui separati, ma come unione di
persone davvero umane, allora la prospettiva cambia totalmente. E la
storia ha già dimostrato che questo è possibile.
Personalmente credo in tutta
sincerità che dal mio cuore e dalla mia mente non vi sia cosa più
lontana del concetto del superuomo che guarda con fittizia e
autoreferenziale superiorità l’uomo normale. Eppure se, nonostante
questo, il guardare i telegiornali, la lettura di certi libri e la
visione di certi film e documentari sono cose che mi lasciano ancora con
il groppo in gola, questo accade perché mi fanno sentire comunque quasi
colpevole; colpevole di appartenere a quello stesso genere umano da cui
sono usciti coloro che sono stati capaci di inventare i lager di
Auschwitz, Dachau, Buchenwald, ma anche le foibe, i cappucci del Ku Klux
Klan e l’apartheid sudafricana, i pogrom e i linciaggi, le vecchie e
sanguinose pulizie etniche staliniste e quelle più moderne e non meno
tremende della ex Jugoslavia, l’odio etnico strettamente intrecciato
all’insofferenza religiosa che insanguina il Medio Oriente,
l’insaziabile ingordigia di ricchezza che non fa sfamare e curare i
derelitti di tanti Paesi del mondo, ma anche quelli di casa nostra. Mi
sento colpevole di appartenere a quello stesso genere umano che non è
stato capace di estirpare da sé i semi dell’odio razziale e religioso,
della venerazione della ricchezza e degli status symbol e che continua a
tramandarli, per incuria, oltre che per criminale calcolo, ai più
giovani. Colpevole, in prima persona, di aver fatto comunque troppo poco
per oppormi, appunto, alla negazione dell’uomo da parte di chi si sente
superuomo.
Ed è proprio in questo che credo che
non soltanto ci siano giustificazioni nel rivolgere grande attenzione
alla politica nostrana, ma che ci siano addirittura degli obblighi.
Perché se a livello internazionale possiamo fare ben poco, nei campi nei
quali possiamo incidere con i nostri voti, ma soprattutto con le nostre
idee e le nostre parole, dobbiamo fare tutto quello che ci è possibile
fare. E poi sarà chi ci governa a dover premere su alleati e avversari
perché questo mondo cessi sempre più di assomigliare a un inferno.
Quindi sono importanti coloro che ci
governano (e uso la prima persona plurale, e non quella singolare, non a
caso) e che devono fare tutto quello che serve obbligatoriamente
ricercando sempre la solidarietà, l’equità, la giustizia, la
rappresentanza. Ma, per prima cosa, la cultura perché senza quella non
solo non si va da nessuna parte, ma non si ha nemmeno la capacità di
pensare lucidamente e quindi, se del caso, di opporsi fermamente, di
usare quel “No” che è parola bellissima perché caposaldo della libertà,
base fondante non soltanto di ogni vera democrazia, ma anche dello
stesso bene; perché permette il rifiuto di ragione e di coscienza.
Ecco: sono convinto che la scala dei
valori abbia gradini sufficientemente larghi per poter ospitare più di
un dovere alla volta.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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