Se ci fate caso,
titoli e testi di quotidiani e periodici, di telegiornali e giornali
radio, indicano concordemente che in questo periodo a indirizzare e a
dominare la politica italiana sono soprattutto tre personaggi: Matteo
Renzi, Beppe Grillo e Silvio Berlusconi.
E, sempre se ci fate caso, vi
accorgerete che questi tre personaggi hanno in comune almeno tre
caratteristiche. Per prima cosa sono in possesso di un ego straripante
e, come secondo punto, sono abituati a comandare non soltanto non
tollerando di essere contraddetti, ma neppure accettando di dare vita a
dibattiti davvero pluralisti e democratici.
Però, se queste due prime
caratteristiche possono essere contestate dai loro rispettivi
fedelissimi, il terzo punto in comune non può essere messo in
discussione: nessuno di loro tre è stato eletto e, quindi, ovviamente,
non è in Parlamento. Eppure comandano.
Matteo Renzi non è più presidente
del Consiglio, né segretario del PD, eppure è lui a voler condurre le
danze sia per quanto riguarda la legge elettorale, sia per la manovra
economica, sia per i rapporti con l’Europa, sia ancora per la durata
della legislatura.
Beppe Grillo si è inventato un
partito, non si è mai lasciato mettere in discussione, ma ha
continuamente messo in discussione gli altri, fino ad arrivare a
invalidare le primarie di Genova perché la candidata vincente non gli
piace, ma senza spiegarne il motivo. «Dovete fidarvi di me», ha detto.
Silvio Berlusconi è addirittura
ineleggibile per le sue condanne passate in giudicato. Eppure vuole
ancora comandare il centrodestra ponendosi in contraltare - e almeno
questo va a suo merito - al trucido Matteo Salvini.
Quindi una domanda sorge spontanea:
una democrazia può essere davvero considerata tale se ai suoi vertici, o
almeno nei posti di comando, vivono stabilmente tre personaggi che con
la rappresentanza hanno ben poco a che fare? Perché, almeno a mio modo
di vedere, una democrazia senza rappresentanza non è democrazia in
quanto viene a mancare completamente il rapporto tra base e vertice, tra
gli elettori e coloro che dovrebbero rappresentarli nei momenti dei
ragionamenti, delle scelte e delle decisioni.
E a tutti loro tre, infatti, della
rappresentanza interessa poco o nulla, mentre sono fortemente legati a
un altro concetto: quello di governabilità che è una caratteristica né
necessariamente democratica, visto che il massimo della governabilità si
raggiunge in una dittatura monocratica, né necessariamente determinante
per poter riformare quello che deve essere riformato. Non ci credete?
Ebbene, ricordate che incredibilmente è stato con governi democristiani
(Rumor e Andreotti) che l’Italia si è dotata di leggi sul divorzio e
sull’aborto e che lo Statuto dei lavoratori è nato con un governo non di
sinistra (di nuovo Rumor) ed è stato distrutto da un governo che
pretendeva di definirsi di sinistra (Renzi) e che godeva di ampia
governabilità.
Con questo cosa voglio dire? Che in
questo periodo sono questi tre personaggi a trattare tra loro su come
dovranno essere le nuove leggi elettorali per la Camera e il Senato. E,
attenzione: la legge elettorale non ha minore importanza della
Costituzione perché, se la Carta fondamentale traccia la strada
democratica di ogni Paese, la legge elettorale è il veicolo che
permette, o meno, di seguirla.
Li abbiamo visti proporre, o
accettare, se pensavano che potesse far loro comodo, spropositati premi
di maggioranza, capolista bloccati, se non addirittura intere liste
prefissate dai partiti, candidature plurime con successive scelte
libere: tutti espedienti non per aumentare il tasso di democrazia, ma
per sottrarne una consistente fetta ai cittadini, al demos, replicando
su scala nazionale quanto è già stato realizzato all’interno dei
partiti.
Temo che ancora una volta, dopo l’impegno profuso per salvare
la Costituzione, saranno i cittadini a dover scendere in campo
direttamente per salvare la democrazia.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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