Più volte coloro
che erano (e sono) ottimisti sul caso Grecia avevano giustificato la
loro previsione argomentando che non si è mai visto un creditore
uccidere il proprio debitore. Se questo, invece, sta accadendo per mano
del Fondo monetario internazionale e della cosiddetta “Unione” europea,
ostaggio della Germania e di altri governanti per i quali i bilanci
vengono prima di qualsiasi altra considerazione, non si può non pensare
che dietro la richiesta ultimativa di suicidio collettivo rivolta ad
Atene (e di conseguente rinuncia a consistenti quantità di denaro da
riavere) ci debba essere qualcosa di più.
Si potrebbe pensare a una rigidità
legata a puri calcoli elettoralistici per un futuro più o meno
immediato; come per la Lagarde che è in scadenza al FMI e che sa bene
che la sua rielezione è in mano al mondo delle banche e della finanza
che da anni sta lucrando magistralmente non soltanto sugli interessi di
un debito greco che si fonda su una corruzione pubblica e su un’evasione
fiscale a livelli altissimi (vi ricorda qualcosa?), ma anche sugli
interessi degli interessi.
Però anche questa sembra una scusa
debole per giustificare una reazione europea così furente e violenta,
che rifiuta qualsiasi ulteriore proroga e stringe sempre di più il
laccio che sta asfissiando la Grecia. Sembra più probabile che a dettare
l’intransigenza sia un convergere di cause diverse tra le quali una
potrebbe rifarsi ad atteggiamenti tipici delle mafie, o del terrorismo.
Se un commerciante non paga il pizzo, infatti, le mafie lo ammazzano non
per recuperare il credito, ma per dare un esempio e per dissuadere
altri dall’imitarlo. Un concetto che poi il terrorismo ha fatto proprio
con il lugubre motto «Colpirne uno per educarne cento».
Un’altra può essere molto vicina
alla profonda crisi che sta attraversando la pur dichiarata "sovranità
del popolo" in molti Paesi del mondo – il nostro tra i primi – in cui si
continua a chiamare democrazia qualcosa che ormai le assomiglia molto
poco e in cui coloro che sono al potere hanno il terrore che la
cosiddetta “democrazia rappresentativa” torni a essere davvero tale
perché a loro fa decisamente più comodo pensare che l’essere eletti non
corrisponda al dover realizzare il programma con cui ci si è presentati
agli elettori, ma semplicemente avere mano libera per fare quello che si
ritiene più opportuno, o comodo, durante l’intera durata del proprio
mandato.
Tsipras fa il contrario. Dice che,
per gli impegni presi in campagna elettorale non negando di dover fare
sacrifici, ma promettendo di distribuirli equamente e proporzionalmente
tra tutti, ma soprattutto per elementari spinte di solidarietà, non può
non aiutare le centinaia di migliaia di famiglie greche che non riescono
a pagare affitto, bollette, cure mediche, acquisto di generi
alimentari. Poi, davanti alla risposta europea che pretende che ai
poveri, ai disoccupati e ai disperati, si debba pensare, eventualmente
soltanto dopo aver pensato alla finanza, il premier greco indice un
referendum popolare sul ricatto dei vertici europei, raccomandando di
votarne il rifiuto. Non si tratta, insomma – come alcuni sostengono – di
un’abdicazione e di una delega di proprie responsabilità, ma della
corretta applicazione di un principio democratico. Non riesco – è grosso
modo quello che lui dice – a mantenere il mio impegno politico perché i
poteri finanziari mi strangolano, ma non accetto neppure di farvi
morire di fame accogliendo i diktat finanziari; se volete dire di sì
questa soluzione imposta è vostro diritto farlo, ma io spero che
rifiutiate e che tutti insieme troviamo un’altra via d’uscita; con
difficoltà, ma tutti assieme.
Renzi, in uno dei suoi twit più
vuoti, ha detto che il referendum sarà «un derby tra dracma ed euro». E
non è vero. Anche perché quando uno deve scegliere se e come morire, questa consultazione non
può essere definita come un “referendum economico” non previsto dalla
Costituzione: è semplicemente una scelta sociale. Quindi, in realtà sarà
un duello tra finanza e solidarietà; tra l’Europa che era nei sogni di
Spinelli e quella modellata sugli incubi di Schäuble, della Merkel e di
altri come loro; tra quel mondo di giustizia e di uguaglianza richiamato
quasi quotidianamente da Papa Francesco e quello di disuguaglianze e di
egoismi preteso da quel mercato, assolutamente non libero, che si è
impadronito da tempo delle nostre vite.
Non è facile prevedere quale sarà il
risultato di questo referendum, ma è certo che lo strapotere della
finanza sta guardando alla consultazione greca con fondata
preoccupazione perché sente vacillare le proprie fondamenta. Ma
sbaglierebbe a pensare che tutto si risolverebbe se vincesse il “sì” al
diktat europeo, perché comunque la gente non si fermerà più. Lo insegna
una storia umana che nei secoli vede ascese e cadute, ma che, in media,
annota un progresso sociale inarrestabile perché, come poeticamente è
ripreso da una canzone dei Negrita un vecchio concetto filosofico, «C'è
che ormai che ho imparato a sognare, non smetterò».
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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