Almeno diciassette morti, diversi dispersi, danni incalcolabili in una Sardegna messa in ginocchio dall’inclemenza
di un clima che sta restituendo alla società gli schiaffi che l’uomo ha
dato alla natura, e che può riuscire a essere così crudele anche e
soprattutto per il male che l’uomo è riuscito a fare ai propri simili
non soltanto non curando, ma spesso violentando un territorio che è tra
i meno salvaguardati sulla faccia della terra.
Anche questi lutti mettono in luce
l’incapacità della nostra politica nel riuscire a far qualcosa che sia
di sostanza prima che di propaganda. E in quest’ottica, pur di rendere
più gradevole la realtà, è riuscita anche a truccare il vocabolario. Un
esempio che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi è quello della
“Protezione civile”, organizzazione più che benemerita, ma che porta un
nome completamente sbagliato. “Protezione”, infatti, deriva da
proteggere, dal latino pro (davanti, e quindi prima) e tegere (coprire).
Quindi proteggere vuol dire fare scudo, intervenire in anticipo e non a
frittata già fatta, quando si tratta di raccogliere morti e feriti, di
recuperare quel poco che non è stato distrutto, di fare i pesanti conti
dei danni, di rattoppare alla bell’e meglio comunità che portano ferite
tanto gravi da non riprendersi più, se non trasformandosi profondamente;
e non sempre in meglio. In realtà la Protezione civile che conosciamo
dovrebbe chiamarsi, più puntualmente, “Soccorso civile” e dovrebbe
rimanere pronta a intervenire sui disastri perché mai l’uomo riuscirà a
innalzarsi completamente sopra la natura e a evitarli del tutto; ma
accanto ci dovrebbe essere una vera e propria “Protezione civile” intesa
non solo come organizzazione, ma anche e soprattutto come sincera
filosofia politica che possa essere messa in condizioni di lavorare per
la prevenzione.
Una politica che riuscisse anche a
dialogare con l’Europa – e prima ancora a ragionare con se stessa – per
far capire che gli interventi sul territorio non sono spese, bensì
investimenti. Basterebbe pensare soltanto a quanti danni sarebbero
evitati – per non parlare del costo incalcolabile in termini di vite
umane – se in Sardegna - e in Friuli c'è da preoccuparsi almeno altrettanto - si fosse fatto per tempo quello che si sarebbe
dovuto fare in termini di adeguamento e pulizia degli alvei, di
controlli di staticità dei ponti, di pulizia, se non di rafforzamento
dei versanti.
Vien quasi da dire amaramente e
paradossalmente che purtroppo la malavita organizzata non ama molto la
cultura: se un boss delle varie mafie esistenti nel nostro Paese avesse
ottenuto una laurea in geologia forse avrebbe pensato di guadagnare
proprio con la prevenzione. E in tal caso le ruberie sarebbero state le
stesse, ma il nostro Paese sarebbe stato più sicuro.
Beato il Paese che ha un ceto politico capace di rendere impossibile la nascita di certi pensieri.
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