giovedì 24 febbraio 2022

La falsa comodità

Kiev Ci era comodo non crederci – uso il noi, anche per me, in quanto ci eravamo dentro praticamente tutti – e non ci abbiamo creduto fino alla fine; ma era una falsa comodità e ora l’Ucraina è invasa. Da tempo si parlava delle conseguenze economiche per noi di un’eventuale guerra tra Russia e Ucraina e abbiamo preferito aspettare e sperare barattando volentieri l’indipendenza, la sicurezza, la vita degli ucraini con la nostra teorica tranquillità; e ancora continuiamo con la nostra cecità, visto che, solo per dare un esempio, gli autotrasportatori stanno protestando per il caro-carburanti contro il governo italiano e non – anche se sarebbe comunque del tutto inutile – contro Putin.

Eppure molti di noi conoscono la storia e, infatti, in tanti hanno capito che ormai la guerra era arrivata quando Putin ha riconosciuto l’indipendenza di Donesk e Lugansk, facendosi immediatamente chiamare dai due nuovi Stati fantoccio come “salvatore” dai cattivi ucraini, come giustificazione per invadere e annettersi non soltanto le due nuove repubbliche, ma anche l’intero Donbass. Eppure è stata l’identica trafila delle invasioni sovietiche di Budapest nel 1956 e di Praga nel 1968.

E lo si era capito anche quando lo stesso Putin, in uno dei suoi ultimi discorsi pubblici aveva clamorosamente distorto la storia affermando che l’Ucraina è parte integrante della Russia e della sua storia, mentre è noto che soltanto nella seconda metà del Settecento l’Impero russo si è annesso l’Ucraina e che in tutto l’Ottocento gli zar hanno messo in opera continue repressioni e un processo di russificazione per soffocare le aspirazioni di indipendenza dell’Ucraina stessa.

Si dirà che queste uscite televisive di Putin sono tutte accadute in questi ultimi giorni. D’accordo. Ma al di là del fatto che nessuno poteva ragionevolmente fidarsi dell’integrità di un personaggio amico intimo delle festicciole “eleganti” di Silvio Berlusconi, ammirato da Matteo Salvini che diceva di sentirsi più libero in Russia che in Italia, idolatrato da Donald Trump che comunque gli doveva gratitudine per le piraterie informatiche che lo avevano aiutato a farsi eleggere, come ci si poteva fidare del nuovo zar? E, poi, c’erano già troppi segnali non recentissimi di quello che stava succedendo.

È del 2014 l’invasione e l’annessione di fatto della Crimea e i più hanno fatto finta di niente perché – dicevano – la Russia doveva pur avere un accesso più largo al Mar Nero. Qualcuno ricorda forse che fu proprio un porto, quello di Danzica, come pochi anni fa Sebastopoli, fu la scusa adottata da Hitler per “giustificare” l’invasione della Polonia che diede inizio alla seconda guerra mondiale? Qualcuno ricorda che proprio come Putin pretende di salvaguardare gli interessi dei russofoni dell’Ucraina, così Hitler pretendeva di salvaguardare gli interessi dei germanofoni dei Sudeti, immediatamente annessi, come già prima l’Austria, nell’assordante silenzio internazionale?

E potremmo andare avanti elencando similitudini desolanti tra l’attuale zar del Cremlino e l’allora Führer di Berlino, nonché, a livello di culto della propria personalità, soprattutto dal punto di vista fisico, tra Putin e il Duce che ha oscurato e insanguinato l’Italia per un tragico ventennio.

Si dirà che Putin è un esperto giocatore di poker, gioco che non mi è mai piaciuto, perché quando un gioco può causare la rovina di una persona e di coloro che lo circondano non è certamente un gioco. Se poi questo “gioco” ha come posta le vite umane, diventa ancora più inaccettabile. E, allora, è inutile sedersi al tavolo se non si è capaci di partecipare: pretendere di allargare un’alleanza militare come la Nato, senza averlo già fatto, senza avere le carte in mano, vuol dire soltanto esporsi, indifesi, a qualunque bluff dell’avversario. Sempre che di bluff si tratti e non di megalomane pazzia.

L’unica strada – e purtroppo non è una strada né attuale, né semplice – è quella di dare davvero sostanza alla dizione “Organizzazione Nazioni Unite”. In cui il concetto di unità implica una parziale rinuncia alla propria sovranità, proprio come è ancora parzialmente avvenuto per la realizzazione dell’Unione europea.

È un’utopia? Sicuramente sì, ma le utopie sono da sempre non luoghi che non esistono, ma posti in cui non si è ancora arrivati. Sarà un percorso difficilissimo e lunghissimo? Certamente sì. È sicuro che noi non ne vedremo la conclusione, ma i nostri figli e i nostri nipoti probabilmente sì, se ci impegneremo davvero. E, almeno per loro, non merita impegnarsi in questo senso?

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