lunedì 21 febbraio 2022

Bellico, il contrario di bello

atom Il 25 settembre 1961 John Fitzgerald Kennedy, nel suo discorso all’ONU, diceva: «La guerra non ci si propone più come un’alternativa razionale». E poi rincarava la dose: «L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità». Entrambi erano e sono concetti incontrovertibili, ma – si sarebbe tentati di dire – lo spettro della guerra torna a farsi vivo sessantun anni dopo.

In realtà non è così perché la guerra non ci ha mai lasciato in questi sei decenni: semplicemente abbiamo fatto finta che non ci fosse perché non ci coinvolgeva direttamente. Ed eravamo diventati tanto bravi in questo nascondere la testa sotto la sabbia da riuscire a non vedere questa realtà non soltanto quando i combattimenti e le stragi avvenivano lontanissime da noi (tra Asia e Africa l’elenco degli eventi bellici è praticamente infinito), ma anche quando succedevano davanti alla porta di casa nostra, come nell’ex Jugoslavia. D’accordo: ci si commuoveva, ci si indignava, ma con l’animo leggero di chi è convinto che mai il morbo della guerra avrebbe infettato anche casa nostra.

Poi abbiamo avuto decine di morti italiani in Congo, Iraq, Afghanistan, Siria e in altri Paesi dove la guerra era di casa, ma, una volta assistito, più o meno commossi, alle esequie solenni tributate alle vittime italiane, abbiamo continuato tranquillamente la nostra vita, come se i soldati uccisi non fossero stati vittime di guerra, ma avessero perso la vita in un pur doloroso e raccapricciante incidente stradale.

Alla fine si è cominciato a capire che ogni guerra, anche se non tocca direttamente, ha sempre conseguenze su tutto il mondo per gli enormi flussi migratori che innesca. Ma per molti si è trattato di fastidio più che di compassione, o di paura di essere davvero coinvolti.

Ora le smanie di allargamento di Putin da una parte, e della NATO dall’altra – pur con significati e contenuti profondamente diversi – ci fanno capire che lo spettro è davvero tornato e che non sarà facile ricacciarlo dove lo avevamo nascosto. Ed è importante notare che a smuovere le nostre teoriche coscienze non è il fatto che l’Ucraina ci sia vicina (del resto quando pochi anni fa Putin si è annesso la Crimea non ci abbiamo fatto troppo caso), ma l’evidenza che si sta parlando di nuovo di armi nucleari. E che in questi decenni, ben lungi dal metterle al bando, si sono spesi colossali masse di denaro per renderle ancora più efficienti nel distruggere non il pianeta, ma il genere umano.

E davanti tutto questo soltanto timidamente si comincia a sentir parlare di manifestazioni contro la guerra, di gente che torna in piazza, come ai tempi del Vietnam, per far sapere, con evidenza, che di guerra non ne vuole sapere, che rifiuta gli imperialismi, che non crede ai desideri di indipendenza da parte di chi cambia soltanto sovrano, che il concetto di nazione è ormai superato nella ragione, anche se non ancora nella realtà.

Ma il problema è che oggi ci sono ancora lodevoli ricorrenze fisse, ad Assisi, ad Aviano, dove ci si esprime contro la guerra, ma nel contempo – i no-vax e i no-pass insegnano – si indicono manifestazioni quasi soltanto per difendere piccoli interessi personali, o di gruppo, anche se mettono in secondo piano gli interessi di un’intera comunità che proprio anche a causa di egoismi assortiti, ha perduto oltre 150 mila suoi componenti.

Ora, forse, con l’incubo atomico di nuovo sopra le nostre teste, un po’ di più gente, oltre che gli studenti che chiedono una scuola migliore, ricorderà che è necessario scendere in piazza perché le democrazie vere non vivono di sondaggi, ma di espressioni politiche dei desideri dei cittadini, espressioni politiche che, se sono etiche e rappresentano la maggioranza, devono indirizzare le scelte di coloro che i cittadini rappresentano.

E ci si ricorderà anche che bellico e bello si assomigliano foneticamente, ma hanno etimologie totalmente divergenti. Bellico deriverebbe da “belua”, bestia feroce, quasi a ricordare la ferocia crudeltà inumana con cui gli uomini si combattono, mentre l’origine di bello va ricercata nel diminutivo di “bonus”, che, riferito ai bambini, diventa “benulus” e poi “bellus”.

Proprio sull’accostamento di bellum e bello, così simili nel suono ma opposti nel significato, Isidoro di Siviglia, dottore della Chiesa, ha coniato la frase: «Bellum quod res bella non sit» (La guerra si chiama bellum perché non è una cosa bella). Poi, per evitare confusioni, l’italiano ha scelto il termine guerra, dal germanico “werra” che significa zuffa.

Erich Maria Remarque ha messo in luce il rischio di confondere “bellico” con “bello” nel suo film “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Ricordiamocene. E, soprattutto, facciamo sapere che ce ne ricordiamo.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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