Sarà anche l’uomo della provvidenza e sicuramente continueremo a fare il tifo per lui mentre si dà da fare per gestire i problemi legati alla pandemia: dalle vaccinazioni alla gradualità di quelle riaperture che Salvini vede come cespite di voti mentre la maggior parte degli scienziati le guarda come un rischio pazzesco e come la dimostrazione che non sempre dall’esperienza si impara qualcosa; dalla necessità di aiutare coloro che ne hanno bisogno, allo studio di come affrontare il peso di un debito pubblico per il quale bisognerebbe inventare un superlativo di gigantesco.
Ma per il resto Mario Draghi non appare certamente il presidente del Consiglio dei sogni. Ci sono già stati alcuni intoppi sul suo cammino da inquilino di palazzo Chigi, ma quello che è accaduto nella conferenza di venerdì mi appare francamente sconcertante sotto diversi punti di vista.
Davanti alla domanda se il governo italiano, come richiesto dal Senato con un ordine del giorno quasi unanime, concederà la cittadinanza italiana a Patrick Zaky, il giovane ricercatore egiziano che studiava a Bologna e che ora si trova in carcere in Egitto da oltre un anno, oggetto di accuse risibili e senza essere mai stato giudicato, Draghi ha risposto: «Quella su Patrick Zaky è un'iniziativa parlamentare in cui il governo non è coinvolto, al momento». Una frase che lascia terribilmente perplessi sotto molti punti di vista.
Il primo riguarda la sensibilità democratica e istituzionale di Draghi stesso. In una democrazia parlamentare e rappresentativa, quale significato ha separare le iniziative del Parlamento che rappresenta i cittadini che lo hanno eletto dalle azioni del governo? Forse che Draghi e i suoi ministri, una volta designati, non hanno più obblighi nei confronti di coloro che hanno votato loro la fiducia? O pensa che questa fiducia, più che essere illimitata, diventi una licenza assoluta di fare ciò che si vuole senza dover rendere più conto al Parlamento e, quindi, ai cittadini? Oppure, con quel «al momento», si ritiene che tra tutto quello che decide il Parlamento si debba tenere conto soltanto delle cose che fanno comodo stabilendo così una specie di primato del potere esecutivo su quello legislativo e andando a minare ulteriormente quell’equilibrio tra i poteri voluto dalla Costituzione e già messo più volte in pericolo nella storia degli ultimi decenni della Repubblica?
Non meno importanti sono i dubbi legati alla sensibilità personale del presidente del Consiglio, una sensibilità che non è richiesta ufficialmente da alcuna legge, ma che da sempre è fondamentale se si vuole sperare che chi può decidere agisca nella direzione di quella umanità e solidarietà che, nonostante gli sforzi di molti degli esponenti politici che ammorbano telegiornali, talk show, giornali di carta e notiziari web, continuano a essere molto diffusi in una popolazione che non manca quasi mai di spendersi con un volontariato diffusissimo per ammorbidire gli acuminati spuntoni dei drammi di chi ha bisogno di aiuto.
Il terzo grande dubbio riguarda il fatto che Draghi non appare coerente con se stesso perché usa due pesi e due misure. Tanto è stato giustamente trasparente quando ha citato Erdogan chiamandolo “dittatore”, tanto appare ipocrita nel silenzio con il quale accompagna ogni suo riferimento ad Al Sisi e al suo regime. Se ha voluto allontanare le responsabilità del governo dalla concessione della cittadinanza a Zaki, è probabile che lo abbia fatto per i conosciuti grandi interessi economici, soprattutto in termini di armamenti, con l’Egitto. E in questo caso la sua statura morale e politica non può essere considerata molto diversa da quella del suo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che appare come un dannoso fantasma annuente sul difficile palcoscenico del Mediterraneo.
Ultima considerazione, che è anche una domanda: se Draghi finisce per cedere alle voglie di Salvini di autoproclamarsi “vincitore”, forse anche per il timore di indebolire la maggioranza, perché si comporta diversamente davanti alle richieste della sinistra (ormai piccola e residuale nelle aule parlamentari, ma non così nel Paese)? L’uso di due pesi e due misure è soltanto Realpolitik, oppure semplicemente tranquilla convinzione che la sinistra e i suoi vicini non abbiano più il coraggio di sostenere con i fatti le proprie idee e i propri valori?
Anche il PD dovrebbe meditare su questi fatti; ma non, come sempre, tanto a lungo da non arrivare mai ad alcuna conclusione.
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