È di grande
interesse il sondaggio condotto da Ilvo Diamanti su “Le parole del
nostro tempo” e intitolato dalla Repubblica “Il dizionario degli
italiani”. Non per il risultato in sé, che non desta troppe sorprese, ma
per il fatto che richiama ancora una volta l’attenzione generale
sull’importanza della parola che non è soltanto vibrazione dell’aria che
penetra nelle nostre orecchie, o contrasto cromatico che colpisce i
nostri occhi, ma è contemporaneamente materia ed energia che penetra nel
nostro cervello con una forza che può essere capace di cambiarne la
complicata geografia delle sinapsi e, quindi, il ragionare e il sentire.
Dicevo che, tanto per fare alcuni esempi, non possono destare sorpresa
né le ottime valutazioni date ad ambiente, Papa Francesco, lavoro,
speranza, meritocrazia, né le contraddittorie valutazioni che toccano a
social media e democrazia digitale, né, infine, il totale rigetto che
spetta ai politici, ai partiti e, soprattutto, ai loro leader.
Quello che non convince è il fatto
che questo sondaggio guarda soltanto in una direzione, mentre ignora
totalmente quella contraria. Per capirci, vengono analizzate le reazioni
degli italiani di fronte a diverse singole parole, ma non viene preso
in considerazione quanto siano state le parole pronunciate in questi
anni a far cambiare il sentire comune e, quindi, in definitiva a
influire sul gradimento delle parole stesse.
Si potrebbe tirare dritto dicendo
che si tratta di una specie di discorso circolare, fine a se stesso, che
può interessare soltanto, a livello statistico, gente che studia
comunicazione, o che si interessa di politica; ma così non è perché
rivela, invece, non soltanto la determinazione con la quale molti
politici hanno tentato di modificare la visione del mondo adattandola ai
propri gusti e – apparentemente – alle proprie convenienze, ma
soprattutto mette in luce la miopia di quegli stessi politici che, alla
lunga, quasi sempre hanno provocato e determinato situazioni esattamente
contrarie a quelle che avrebbero desiderato raggiungere. Così non
fosse, non troveremmo i partiti e i loro leader sugli ultimissimi
gradini della scala di gradimento.
Qualche esempio. Sono ormai decenni
che sentiamo alzare inni sperticati all’antipolitica, alla necessità di
rendere la cura della polis qualcosa di apparentemente gratuito e,
quindi, dilettantesco; dunque, sostanzialmente riservata soltanto a chi
non ha già un solido mestiere, o un’affermata professione che dovrebbe
lasciare per dedicarsi anima e corpo alla polis. Ma se in Parlamento
dovessero arrivare soltanto persone di secondo piano (e , comunque,
rispetto a certi figure che si vedono girare oggi a Montecitorio e a
Palazzo Madama il secondo piano sarebbe già un miglioramento), perché la
gente dovrebbe interessarsi alla politica e apprezzarne i protagonisti?
E, a questo proposito, appare del
tutto assurdo anche il reiterato richiamo alla meritocrazia che fa
sempre capolino nelle parole di ogni politico, ma resta quasi sempre
profondamente sepolta nel momento di effettuare delle scelte.
O, ancora, quante volte abbiamo
sentito parlare della necessità generica di tagliare le spese? Ebbene,
non serve essere un genio dell’economia e della finanza per capire che
ogni risparmio fatto tagliando le spese per il personale corrisponde
alla scomparsa di stipendi e, quindi, alla sparizione di grandi quantità
di denaro liquido che una volta entravano nel cosiddetto mercato e lo
arricchivano, mentre oggi la loro mancanza non soltanto lo rende
asfittico, ma innesca un aggravamento della miopia perché si pensa ancor
di più a non spendere e non a far circolare il denaro in maniera più
efficace. Il fatto è che i risparmi sono necessari, ma soltanto negli
sprechi e soprattutto negli anfratti dove i soldi entrano per essere
girati immediatamente sotto forma di tangenti e bustarelle a una
quantità di persone il cui ultimo pensiero è ovviamente quello di
rimettere in circolo il maltolto.
Potremmo andare avanti a lungo, ma
vorrei concludere con un esempio attuale che si lega alla cosiddetta
“spiaggia fascista” di Chioggia dove il titolare dello stabilimento
espone immagini di Mussolini, cartelli con frasi chiaramente
riconducibili al modo di parlare fascista, e fa anche ascoltare alcune
musiche care al regime del ventennio. Va ricordato che la XII
disposizione finale della nostra Costituzione vieta «la riorganizzazione
del partito fascista» e che una legge del 1952 punisce con la
reclusione da 6 mesi a 2 anni la propaganda e l’apologia del fascismo.
Ora Fiano, del PD, tenta di allargare il campo dei divieti estendendolo
al saluto romano, fatto in qualsiasi occasione, e prendendo in
considerazione anche il web, finora campo libero perché –
inevitabilmente – non citato in alcuna legge scritta prima che il web
esistesse.
Ebbene, i grillini insorgono
accusando questa proposta di legge di essere «liberticida». E torniamo
alle parole e al loro uso. Al di là del fatto che liberticida era il
regime fascista e che impedirne la rinascita significa limpidamente
tentare di difendere la libertà, da Grillo e dai suoi – ammesso che se
ne rendano conto – viene forse fatto passare il concetto che qualunque
forma di limitazione della libertà (detenzione compresa) può essere
sostanzialmente illegittima? Oppure la possibilità di essere liberticidi
è riservata soltanto al garante del Movimento Cinque Stelle quando i
risultati delle “comunarie” di Genova non lo soddisfano?
La sensazione è ancora quella che i
politici più che del dizionario degli italiani siano interessati a
creare un loro dizionario per gli italiani.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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