lunedì 10 luglio 2017

Un dizionario per gli italiani

È di grande interesse il sondaggio condotto da Ilvo Diamanti su “Le parole del nostro tempo” e intitolato dalla Repubblica “Il dizionario degli italiani”. Non per il risultato in sé, che non desta troppe sorprese, ma per il fatto che richiama ancora una volta l’attenzione generale sull’importanza della parola che non è soltanto vibrazione dell’aria che penetra nelle nostre orecchie, o contrasto cromatico che colpisce i nostri occhi, ma è contemporaneamente materia ed energia che penetra nel nostro cervello con una forza che può essere capace di cambiarne la complicata geografia delle sinapsi e, quindi, il ragionare e il sentire.

Dicevo che, tanto per fare alcuni esempi, non possono destare sorpresa né le ottime valutazioni date ad ambiente, Papa Francesco, lavoro, speranza, meritocrazia, né le contraddittorie valutazioni che toccano a social media e democrazia digitale, né, infine, il totale rigetto che spetta ai politici, ai partiti e, soprattutto, ai loro leader.


Quello che non convince è il fatto che questo sondaggio guarda soltanto in una direzione, mentre ignora totalmente quella contraria. Per capirci, vengono analizzate le reazioni degli italiani di fronte a diverse singole parole, ma non viene preso in considerazione quanto siano state le parole pronunciate in questi anni a far cambiare il sentire comune e, quindi, in definitiva a influire sul gradimento delle parole stesse.

Si potrebbe tirare dritto dicendo che si tratta di una specie di discorso circolare, fine a se stesso, che può interessare soltanto, a livello statistico, gente che studia comunicazione, o che si interessa di politica; ma così non è perché rivela, invece, non soltanto la determinazione con la quale molti politici hanno tentato di modificare la visione del mondo adattandola ai propri gusti e – apparentemente – alle proprie convenienze, ma soprattutto mette in luce la miopia di quegli stessi politici che, alla lunga, quasi sempre hanno provocato e determinato situazioni esattamente contrarie a quelle che avrebbero desiderato raggiungere. Così non fosse, non troveremmo i partiti e i loro leader sugli ultimissimi gradini della scala di gradimento.

Qualche esempio. Sono ormai decenni che sentiamo alzare inni sperticati all’antipolitica, alla necessità di rendere la cura della polis qualcosa di apparentemente gratuito e, quindi, dilettantesco; dunque, sostanzialmente riservata soltanto a chi non ha già un solido mestiere, o un’affermata professione che dovrebbe lasciare per dedicarsi anima e corpo alla polis. Ma se in Parlamento dovessero arrivare soltanto persone di secondo piano (e , comunque, rispetto a certi figure che si vedono girare oggi a Montecitorio e a Palazzo Madama il secondo piano sarebbe già un miglioramento), perché la gente dovrebbe interessarsi alla politica e apprezzarne i protagonisti?

E, a questo proposito, appare del tutto assurdo anche il reiterato richiamo alla meritocrazia che fa sempre capolino nelle parole di ogni politico, ma resta quasi sempre profondamente sepolta nel momento di effettuare delle scelte.

O, ancora, quante volte abbiamo sentito parlare della necessità generica di tagliare le spese? Ebbene, non serve essere un genio dell’economia e della finanza per capire che ogni risparmio fatto tagliando le spese per il personale corrisponde alla scomparsa di stipendi e, quindi, alla sparizione di grandi quantità di denaro liquido che una volta entravano nel cosiddetto mercato e lo arricchivano, mentre oggi la loro mancanza non soltanto lo rende asfittico, ma innesca un aggravamento della miopia perché si pensa ancor di più a non spendere e non a far circolare il denaro in maniera più efficace. Il fatto è che i risparmi sono necessari, ma soltanto negli sprechi e soprattutto negli anfratti dove i soldi entrano per essere girati immediatamente sotto forma di tangenti e bustarelle a una quantità di persone il cui ultimo pensiero è ovviamente quello di rimettere in circolo il maltolto.

Potremmo andare avanti a lungo, ma vorrei concludere con un esempio attuale che si lega alla cosiddetta “spiaggia fascista” di Chioggia dove il titolare dello stabilimento espone immagini di Mussolini, cartelli con frasi chiaramente riconducibili al modo di parlare fascista, e fa anche ascoltare alcune musiche care al regime del ventennio. Va ricordato che la XII disposizione finale della nostra Costituzione vieta «la riorganizzazione del partito fascista» e che una legge del 1952 punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni la propaganda e l’apologia del fascismo. Ora Fiano, del PD, tenta di allargare il campo dei divieti estendendolo al saluto romano, fatto in qualsiasi occasione, e prendendo in considerazione anche il web, finora campo libero perché – inevitabilmente – non citato in alcuna legge scritta prima che il web esistesse.

Ebbene, i grillini insorgono accusando questa proposta di legge di essere «liberticida». E torniamo alle parole e al loro uso. Al di là del fatto che liberticida era il regime fascista e che impedirne la rinascita significa limpidamente tentare di difendere la libertà, da Grillo e dai suoi – ammesso che se ne rendano conto – viene forse fatto passare il concetto che qualunque forma di limitazione della libertà (detenzione compresa) può essere sostanzialmente illegittima? Oppure la possibilità di essere liberticidi è riservata soltanto al garante del Movimento Cinque Stelle quando i risultati delle “comunarie” di Genova non lo soddisfano?

La sensazione è ancora quella che i politici più che del dizionario degli italiani siano interessati a creare un loro dizionario per gli italiani.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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