La becera e
stupida semplificazione della frase «Aiutiamoli a casa loro», che questa
volta non è stata pronunciata da Matteo Salvini, ma è stata scritta da
Matteo Renzi, forse può diventare utile per fare un po’ di luce su una
questione che, invece, è di grande complessità e importanza e che
potrebbe essere condensata in questa domanda: di cosa parliamo quando
usiamo la parola “politica” e quanto è cambiato negli anni l’essenza di
questo concetto?
Per secoli si è continuato a pensare
alla politica legandola all’estensione del suo significato etimologico
che la indicava come ricerca del bene per la polis che, nell’antica
Grecia, era la città, ma contemporaneamente anche lo Stato. Poi la
politica è diventata l’esercizio del potere e, infine, l’arte della
conservazione del potere. E il bene della polis? Non interessa a molti
e, comunque, è diventato un obbiettivo del tutto secondario scatenando
così un inevitabile effetto uguale e contrario. Se, infatti, la politica
dimostra che non le interessa della polis, perché mai alla polis
dovrebbe importare della politica? E, in quest’ottica, non può
sorprendere il fatto che ormai metà degli italiani non va più alle urne
se non quando si rende conto, come in occasione del referendum
costituzionale, che può decidere in maniera diretta della propria
libertà e della sopravvivenza della democrazia.
Renzi ha girato di 180 gradi la
tradizionale impostazione della sinistra sui migranti non per una gaffe,
o perché illuminato sulla via di Damasco da una folgorazione su come
risolvere un problema epocale e globale che è sempre esistito, ma che
ora avvertiamo più distintamente perché tocca direttamente noi. Lo ha
fatto, andando a ruota di Grillo, semplicemente perché è stato convinto a
farlo dai sondaggi di opinione che da un po’ di tempo indicano quello
della migrazione come il problema che potrà orientare consistenti
quantità di voti nelle prossime elezioni politiche. Lo ha fatto non per
governare la piazza, ma per dare l’idea di farsi governare dalla piazza;
lo ha fatto proprio per quel populismo contro il quale vorrebbe ergersi
a difensore e che vorrebbe distruggere non perché abietto, ma perché è
già sfruttato dai suoi possibili avversari e non già da lui stesso.
Cito, sottoscrivendole totalmente,
alcune frasi di Roberto Saviano: «Mi permetto di parafrasare così le
parole del segretario del partito di centrosinistra, ossatura della
maggioranza di governo: se vi considerate di sinistra non dovete
sentirvi moralmente in colpa se iniziate ad avvertire impulsi razzisti.
Non siete voi a essere razzisti, sono i negri a essere troppi. Ma vi
assicuro che continuerò ad avere moralmente a cuore gli affari di chi
tra voi produce armi da vendere ai paesi in guerra, impedendo che si
creino condizioni di vita accettabili per i negri “a casa loro”. Per
Renzi dunque l’Italia non ha il “dovere morale di accogliere”, ma di
“aiutare a casa loro”».
Eppure, aggiunge Saviano: «Renzi sa
perfettamente che l’Italia realizza l’esatto contrario perché aiuta sì
chi decide di lasciare il proprio paese, ma soprattutto coloro che
restano ad ammazzarsi a casa propria. La prova? Le esportazioni di armi
italiane: 2,7 miliardi di euro nel 2014. 7,9 miliardi di euro nel 2015.
14,6 miliardi di euro nel 2016. Queste cifre mostrano come è cresciuto
negli ultimi 3 anni (e Renzi ne è al corrente) il valore complessivo
delle esportazioni di armi dall’Italia».
E prosegue: «Ma il dato
politicamente importante è il boom di vendite verso Paesi in guerra in
violazione della legge 185/1990, che vieta l’esportazione e il transito
di armamenti verso Paesi in stato di conflitto e responsabili di gravi
violazioni dei diritti umani. L’Italia nel 2014-2015 è stato l’unico
paese della Ue ad aver fornito pistole, revolver, fucili e carabine alle
forze di polizia e di sicurezza del regime di al Sisi. Con quale faccia
chiedono verità per Giulio Regeni?».
Sta di fatto che le parole di Renzi
appaiono stridenti nei confronti di entrambe le teoriche anime del PD;
sia riguardo al comune sentire della sinistra, sia alle parole del Papa
che invita a non respingere gli ultimi a ricordare che se l’Europa è
così ricca lo deve anche ai frutti del colonialismo. Due anime che
comunque, fino a pochi decenni fa, pur tra errori anche drammatici,
miravano entrambe a raggiungere, anche se lo vedevano indubitabilmente
diverso, quello che ritenevano essere il bene della polis. Le parole di
Renzi mostrano senza infingimenti che lo scopo di quella che ci
ostiniamo stolidamente a chiamare politica è soltanto quello di vincere
le elezioni.
Ci dicono che è necessario vincerle
se non si vuole che siano i grillini, o la destra, a governare l’Italia
con le loro idee. Ma se io so con certezza che le idee della destra mi
sono aliene e che quelle dei grillini sono vaganti, oltre che vaghe, e
comunque sempre sottoposte al volere del capo, quali motivazioni
politiche (nel senso vero del temine), quali idee – ammesso che ci siano
e non dipendano soltanto dai sondaggi del giorno – potrebbero attrarmi
nel partito di Renzi?
Pierluigi Bersani è rimasto in
quella che considerava la sua “ditta” fino a quando non si è reso conto
che non fabbricava più i prodotti tradizionali, ma cose nuove totalmente
diverse, se non addirittura opposte. Ma più che di cambio di ragione
sociale sarebbe stato giusto parlare di perdita di quell’anima che aveva
dato vita al PD e che aveva attratto tanta gente di sinistra e tanta
gente di centro che è stata disposta a sacrificare un pezzetto di sé pur
di costruire una forza davvero riformista che avesse alcuni caposaldi
solidissimi e irrinunciabili e altri obbiettivi procrastinabili nel
tempo.
Forse sarebbe il caso che tanti che
ancora sono nel PD, o che quantomeno pensano che lo voteranno ancora, si
rendano conto che quando un partito perde l’anima la fa perdere anche a
coloro che lì dentro rimangono. Fare opposizione può essere fastidioso,
ma sopportabile; tradire i propri principi e quelli dei vecchi compagni
di strada non può essere degno, né accettabile.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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