«We live in a
political world», cantava Bon Dylan e da poco lo stesso brano è stato
cantato in italiano da Francesco De Gregori: «Viviamo in un mondo
politico». Rimarcando che qualunque nostro atto, anche privato, ha
sempre un significato politico che finisce per influenzare, e quindi per
indirizzare, il progredire, o il regredire, dell’intera società.
È per questo che colpisce la
decisione della Corte Costituzionale – così recita una nota diffusa dal
suo presidente Paolo Grossi, sentito il collegio – «di rinviare a nuovo
ruolo la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale
sollevate dai Tribunali di Messina e Torino in merito alla legge 52/2015
(Italicum) previste per l’udienza pubblica del 4 ottobre».
Colpisce perché di questa decisione
si parla come se il rinvio non fosse di per se stesso una decisione
politica, mentre non soltanto lo è, ma comporta anche il fatto che
moltiplica i suoi effetti visto che lascia libera l’interpretazione di
questo stesso atto.
«È ragionevole - ha commentato il
costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore Pd ed esponente del
gruppo di coloro che sostengono il Sì - che l'organo di garanzia voglia
prendere una decisione nei tempi e nei modi tali da non essere
interpretato come organo politico».
E anche Miguel Gotor, sinistra PD,
in eterno dubbio se dichiararsi pubblicamente per il No, commenta:
«Trovo la decisione estremamente saggia. Ora la politica, a partire da
Renzi e dal Pd, non ha più alibi e, se vuole veramente cambiare
l’Italicum prima del referendum, ha l’occasione e il tempo per farlo».
È indiscutibile che le sentenze si
devono rispettare sempre, ma questa non è una sentenza: è un
procrastinare una decisione e personalmente trovo questa scelta saggia
soltanto se la si guarda dal punto di vista di chi preferisce non
esporsi prima di sapere come andrà a finire; perché anche quando la
scelta popolare sulla riforma costituzionale sarà stata fatta e sarà
nota a tutti, la decisione della Suprema Corte sarà considerata
politica, come politiche sono state inevitabilmente ritenute tantissime
sentenze di questo organo di garanzia soprattutto quando è stato
chiamato a decidere qualcosa che riguardava da vicino il mondo politico,
appunto.
L’articolo 134 della Costituzione –
non toccato dalla revisione – nel suo primo comma recita: «La Corte
costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello
Stato e delle Regioni.
E per questo ritengo che la Corte
Costituzionale sia sempre chiamata a decidere nel merito se una scelta
politica è un vulnus alla Costituzione e alla democrazia, o se non lo è.
E che, pur avendo assoluta sovranità nel redigere il calendario delle
udienze, non sia chiamata ad aspettare gli eventuali cambiamenti decisi
dalla politica, o dalla volontà popolare perché, così facendo abdica al
proprio compito.
Comunque almeno una cosa la Consulta
l’ha già detta e Ceccanti, forse inconsapevolmente, l’ha ribadita: che
Italicum e riforma costituzionale sono inestricabilmente legati, anche
se Renzi e i suoi per mesi, sapendo bene di mentire, continuavano a
sostenere che tra le due cose non c’è alcun legame. Il combinato
disposto, insomma, c’era e ancora c’è. Con tutta la sua pericolosità.
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