martedì 20 settembre 2016

Un mondo politico

«We live in a political world», cantava Bon Dylan e da poco lo stesso brano è stato cantato in italiano da Francesco De Gregori: «Viviamo in un mondo politico». Rimarcando che qualunque nostro atto, anche privato, ha sempre un significato politico che finisce per influenzare, e quindi per indirizzare, il progredire, o il regredire, dell’intera società.

È per questo che colpisce la decisione della Corte Costituzionale – così recita una nota diffusa dal suo presidente Paolo Grossi, sentito il collegio – «di rinviare a nuovo ruolo la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Messina e Torino in merito alla legge 52/2015 (Italicum) previste per l’udienza pubblica del 4 ottobre».

Colpisce perché di questa decisione si parla come se il rinvio non fosse di per se stesso una decisione politica, mentre non soltanto lo è, ma comporta anche il fatto che moltiplica i suoi effetti visto che lascia libera l’interpretazione di questo stesso atto.

«È ragionevole - ha commentato il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore Pd ed esponente del gruppo di coloro che sostengono il Sì - che l'organo di garanzia voglia prendere una decisione nei tempi e nei modi tali da non essere interpretato come organo politico».

E anche Miguel Gotor, sinistra PD, in eterno dubbio se dichiararsi pubblicamente per il No, commenta: «Trovo la decisione estremamente saggia. Ora la politica, a partire da Renzi e dal Pd, non ha più alibi e, se vuole veramente cambiare l’Italicum prima del referendum, ha l’occasione e il tempo per farlo».

È indiscutibile che le sentenze si devono rispettare sempre, ma questa non è una sentenza: è un procrastinare una decisione e personalmente trovo questa scelta saggia soltanto se la si guarda dal punto di vista di chi preferisce non esporsi prima di sapere come andrà a finire; perché anche quando la scelta popolare sulla riforma costituzionale sarà stata fatta e sarà nota a tutti, la decisione della Suprema Corte sarà considerata politica, come politiche sono state inevitabilmente ritenute tantissime sentenze di questo organo di garanzia soprattutto quando è stato chiamato a decidere qualcosa che riguardava da vicino il mondo politico, appunto.

L’articolo 134 della Costituzione – non toccato dalla revisione – nel suo primo comma recita: «La Corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni.

E per questo ritengo che la Corte Costituzionale sia sempre chiamata a decidere nel merito se una scelta politica è un vulnus alla Costituzione e alla democrazia, o se non lo è. E che, pur avendo assoluta sovranità nel redigere il calendario delle udienze, non sia chiamata ad aspettare gli eventuali cambiamenti decisi dalla politica, o dalla volontà popolare perché, così facendo abdica al proprio compito.

Comunque almeno una cosa la Consulta l’ha già detta e Ceccanti, forse inconsapevolmente, l’ha ribadita: che Italicum e riforma costituzionale sono inestricabilmente legati, anche se Renzi e i suoi per mesi, sapendo bene di mentire, continuavano a sostenere che tra le due cose non c’è alcun legame. Il combinato disposto, insomma, c’era e ancora c’è. Con tutta la sua pericolosità.


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