Non so se ve lo
ricordate, ma domani entrerà in vigore l’Italicum, anche se la parola
“vigore”, tutto sommato, mi sembra la meno adatta da accompagnare alla
nuova legge elettorale. È comunque una legge che nasce, ma i suoi
genitori non sanno se festeggiare o mettere il lutto, visto che su di
essa, infatti, al di là della raccolta di firme per un referendum con il
quale abolire l’abnorme premio di maggioranza e i capolista bloccati,
si addensano ben altre nubi: la sentenza della Consulta sulla sua
costituzionalità e, ormai, la rivolta di deputati e senatori della
minoranza (e questo è abbastanza normale), ma anche della maggioranza di
governo (Alfano minaccia di andarsene se non sarà cambiata) e della
minoranza interna al PD. E a ognuno di loro, che ora sembrano decisi,
vorrei chiedere cosa stava passandogli per la testa quando hanno votato a
favore mentre Renzi glielo comandava con fiducie e canguri assortiti e
mentre moltissimi al di fuori del Parlamento protestavano contro una
legge che assomiglia in maniera troppo impressionante per essere casuale
al Porcellum già dichiarato incostituzionale.
Dopo la batosta subita dal PD alle
amministrative in cui molti hanno scelto il proprio voto, o la propria
astensione, per motivi politici più che per motivazioni amministrative, i
nodi hanno cominciato a venire al pettine e addirittura all’interno dei
renziani qualcuno ha osato esprimere i propri dubbi sulla legge voluta
dal capo che mal sopporta un doppio controllo parlamentare e che,
quindi, a maggior ragione, tollera che qualcuno possa essere in dissenso
all’interno del suo stesso partito. Però si è accorto anche lui che
questa legge ormai ben difficilmente potrà resistere com’è fino alle
prossime elezioni e, pur continuando a dire che mai nulla sarà cambiato,
ha mutato visibilmente atteggiamento nei confronti dei suoi che
avanzavano l’ipotesi di qualche cambiamento, o che dicevano, come
Guerini, frasi assolutamente prive di senso come «L’Italicum non sarà
assolutamente toccato, ma siamo pronti a discuterne». Però, visto quello
che è successo ieri, Renzi deve essersi dimenticato di parlarne alla
fedelissima ministra Boschi.
Nel pomeriggio Arturo Scotto,
capogruppo di Sinistra Italiana alla Camera annuncia che i deputati
torneranno a occuparsi dell’Italicum a settembre, subito dopo la pausa
estiva, con un dibattito su una mozione relativa alla possibile
incostituzionalità di alcune parti e sulle conseguenti modifiche da
apportare alla legge elettorale. La Boschi risponde che «La conferenza
dei capigruppo della Camera non ha calendarizzato la mozione». E Scotto
ribatte che forse «La ministra non ha letto bene il programma dei
lavori. La mozione sulla revisione dell’Italicum è nella quota di
Sinistra Italiana e il governo non può sindacarlo». E Renzi
implicitamente gli dà ragione dicendo con la sua solita spocchia che fa
capire molto bene il suo concetto di democrazia: «Perché preoccuparsi? È
una mozione dell'opposizione che si discuterà in Parlamento: ce ne sono
tante...».
Il problema vero per Renzi è che non sa ancora come togliersi
dall’impiccio che appare per lui il maggiore ostacolo davanti al
referendum costituzionale di ottobre: quello del combinato disposto tra
la proposta di nuova Costituzione e l’Italicum. E questo suo imbarazzo è
tanto vero che di questo combinato disposto lui non parla mai e sul
tema tacciono senza eccezioni anche tutti i suoi.
Forse pensa che se lo disinnesca
mutando parzialmente la legge elettorale, le sue prospettive
referendarie sulla Costituzione e plebiscitarie sulla sua persona
cambierebbero in meglio, ma la Costituzione renziana non ha soltanto
questo difetto e va cancellata al di là della sopravvivenza, o meno,
dell’Italicum. È utile ricapitolare in un breve elenco, pur alla
rinfusa, i motivi per cui non deve rovinare il nostro Paese: vengono
indeboliti fortemente gli organi di garanzia che sono fondamentali in un
sistema che per le leggi ordinarie diventa, oltre che maggioritario,
anche praticamente monocamerale; crea un monstrum indecifrabile nel
nuovo Senato che, a detta di Renzi e della Boschi, viene cambiato anche
per risparmiare, mentre in realtà le spese senatoriali diminuirebbero
soltanto di un 10 per cento; è scritta talmente male che è di
difficilissima interpretazione e, infatti, rimanda aspetti fondamentali a
leggi ordinarie da stabilire più avanti; con il discorso sulle
autonomie svuota di senso l’articolo 5 della Costituzione che, tra
l’altro, si trova tra quei Principi fondamentali che teoricamente non
sarebbero toccati; ritocca all’insù il numero di firme necessarie per
avere un referendum, o una legge di iniziativa popolare per rendere più
difficile, anche in questi campi, disturbare il manovratore; non fa
aumentare la velocità della produzione legislativa perché è già troppo
elevata visto che il totale delle leggi approvate dal nostro Parlamento è
da sempre considerato abnorme e straripante rispetto alle legislazioni
di tutte le altre democrazie occidentali.
Tenendo poi presente che tutte le
poche cose apprezzabili del nuovo testo costituzionale potevano essere
approvate a larghissima maggioranza dal Parlamento senza scomodare un
referendum, ma che così non è stato fatto proprio per mettere qualche
specchietto per le allodole in una trappola pericolosissima, mi
piacerebbe ricordare che ogni legge va giudicata non per la velocità con
cui è approvata, ma per i benefici che porta ai cittadini. E questo
vale anche e soprattutto per la Costituzione.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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