Per comprendere
cos’è il renzismo, nessuna spiegazione può essere più chiara e
illuminante di una frase-slogan, pronunciata ieri, nel cantiere
dell'ultimo diaframma della Salerno – Reggio Calabria, dallo stesso
fondatore di questa ideologia che discende in linea diretta dal
berlusconismo: «Ci vuole l'Italia che corre, non l'Italia che ricorre».
Chiara e illuminante perché nelle
sue due concise parti spiega benissimo come la pensa e come agisce il
presidente del Consiglio pro tempore che contemporaneamente è anche
segretario del PD.
La prima considerazione, che scaturisce inevitabile dall’intero
enunciato, è che, visto quello che sta accadendo, dato per assodato che
Renzi è tutt’altro che stupido, l’unica alternativa possibile è che egli
ritenga stupidi tutti gli italiani. Quando, infatti, uno dice, con
sorridente arroganza, due scemenze insieme, se non le indirizza verso se
stesso, inevitabilmente vuol dire che è convinto di poter fare da
imbonitore nei confronti di tutti gli altri.
La scemenza iniziale – «L’Italia che
corre» – è uno dei suoi cavalli di battaglia; anzi quello che gli è più
facile da usare, visto che quello della rottamazione è da tempo che ha
rivelato tutta la sua assurdità e il suo squallore. Ma il correre, la
velocità, è un bene assoluto soltanto in poche, determinate circostanze,
mentre nella quasi totalità delle altre – e nel governare certamente –
porta con sé dei terribili rischi connessi alla fretta che impedisce di
ragionare e che fa assumere decisioni personali come fossero quelle di
tutti perché chi ha il potere di decidere finisce per ritenersi
infallibile.
La scemenza successiva nasconde
malamente una totale mancanza del rispetto delle regole perché «l’Italia
che ricorre» non lo fa soltanto per ingannare il tempo, ma in quanto si
trova di fronte a palesi violazioni. E disprezzare coloro che vogliono
il rispetto delle regole porta con sé tutta una serie di conseguenze
perniciose.
La prima è che ci si pone tra coloro
che alle regole non tengono. Ma questo, dal punto di vista di Renzi,
sarebbe il male minore visto che i nuovi ingressi nel PD non hanno mai
brillato per il loro comportamento cristallino.
La seconda fa capire che all’attuale
presidente del Consiglio interessa vincere, non come si vince, o perché
si vince. Ma anche questa era una caratteristica alla quale i nuovi
arrivati – quasi tutti dal disastrato campo berlusconiano – erano ben
abituati e senza la quale si sentirebbero sicuramente a disagio.
La terza consiste nel fatto che, se
l’esperienza ligure ha insegnato qualcosa, con i comportamenti di Napoli
e di Roma, crescono a dismisura i rischi che anche in quelle due città
si verifichi nuovamente quello che è già accaduto in Liguria: un PD –
non riesco proprio più a chiamarlo centrosinistra – che va a perdere,
sia perché alla sua sinistra si formano altri schieramenti, sia in
quanto perde una grande quantità di elettori delusi, o schifati, com’è
successo alle ultime regionali emiliane, dove il PD, partendo da un
pronostico favorevolissimo, è riuscito a non perdere, ma ha visto
l’affluenza alle urne sprofondare sotto il 50 per cento. E non è escluso
che questa delusione finisca per riverberarsi anche sulle città non
direttamente toccate dagli scandali che penalmente non hanno grande
sostanza, ma eticamente fanno proprio schifo.
La quarta più che da Renzi, dipende
da coloro che, a prescindere, ripetono – quasi comandati da un
ventriloquo – le cose che Renzi pensa, ancor prima che le abbia rese
pubbliche. Maria Elena Boschi che ripete a pappagallo quello che sente
dal capo e che nasconde il suo vuoto dietro a una promessa di futura
riflessione quando si trova davanti a una domanda inattesa, alla quale
non era preparata; Matteo Orfini e Lorenzo Guerini che, più che
anticipare, dettano la linea della cosiddetta commissione di garanzia
del partito; Debora Serracchiani che, pur a disagio e senza mettersi
troppo in mostra, conferma la linea del capo.
Renzi accusa «i gufi umani, quelli che pensano che si debba fare il tifo
perché l'Italia non ce la faccia», ma sbaglia: quelli che lui chiama
gufi sono, invece, italiani che sperano disperatamente che l’Italia non
cada ancora una volta nelle mani dell’ennesimo imbonitore istituzionale.
Ho sempre avuto grande rispetto per
coloro che hanno voluto restare nel PD per riconquistarlo dall’interno,
ma dopo aver sentito l’onorevole Speranza – l’unico ossimoro composto da
una sola parola – evadere la domanda su come voterà al referendum
costituzionale ricordando che in aula ha votato “sì” e auspicando che
Renzi graziosamente decida di ritoccare la legge elettorale, non posso
non domandarmi, e domandare, se davvero sperano, con simili guide, di
scalzare Renzi dal suo trono, o se non sarebbe meglio uscire
definitivamente da un partito che di quello che era ha mantenuto
soltanto il nome. Almeno i vari abbracci di Renzi con la destra non
potrebbero più essere nascosti da frasi sul tipo «hanno votato con noi,
ma non ne avevamo bisogno».
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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