Seguite con attenzione gli ultimi passi del progetto cosiddetto politico di Matteo Renzi.
Prima mossa: definire un “Patto con
gli italiani” nel quale il presidente del Consiglio pro tempore dice:
«Se voi voterete le riforme esattamente come le voglio, mi impegno, a
cose fatte, a ridurre le tasse». E già qui un paio di considerazioni
sono inevitabili. La prima riguarda l’assonanza con il “Contratto con
gli italiani” di berlusconiana memoria; ma in realtà quello di oggi è
decisamente peggiore perché, mentre Berlusconi giocava quasi soltanto
sulla creduloneria degli italiani, Renzi usa, senza la minima remora,
l’antica e sempre efficace arma del ricatto. La seconda è che Renzi,
anche per la sede in cui lo dice, in realtà non si rivolge agli
italiani, che dovrebbero tornare al voto soltanto nel 2018, ma ai
parlamentari del PD che sono chiamati a votare nei prossimi mesi le sue
cosiddette riforme.
Seconda mossa: chiedere alla
Commissione parlamentare antimafia di posticipare la valutazione delle
relazioni degli ispettori e del prefetto Gabrielli sulla questione di
Mafia capitale; posticiparla rispetto alle decisioni del governo
sull’eventuale commissariamento del Comune retto dal sindaco Marino. E
anche qui una considerazione appare scontata: Renzi pensa che il potere
esecutivo debba essere superiore a quello del Parlamento e, quindi, non
accetta indicazioni da un organismo preposto alla valutazione di fatti
legati alla malavita organizzata, ma, anzi, vuole mettere in difficoltà
la Commissione presieduta dall’antipatica e testarda Bindi che poi
sceglie una bizantina via di mezzo, evitando che qualsiasi decisione
potesse prendere in futuro, in accordo o in contrasto con quella già
presa dal governo, finisse per essere accusata di acquiescenza, oppure
di finalità politiche di opposizione.
Terza mossa, non annunciata
direttamente da Renzi, ma fatta annunciare, tramite il solito
ventriloquio, dai suoi fidi, tra cui ora spicca il nuovo capogruppo alla
Camera, l’obbedientissimo Ettore Rosato che, più o meno, ha detto:
«Prima si discute nei gruppi parlamentari e nel partito; poi la
minoranza deve adeguarsi e votare come vuole la maggioranza, altrimenti
ci saranno sanzioni fino all’espulsione». E poi, da comico consumato
qual è (forse addirittura anche a Renzi sarebbe scappato da ridere),
aggiunge che non si tratta di benzina gettata sul fuoco dello scontro
interno, ma della «seconda parte dell’offerta fatta alla minoranza per
lavorare insieme al meglio. È un gesto di grande disponibilità». E anche
qui il ricatto appare evidente, pur se mascherato dietro un’apparente
democrazia che potrebbe anche essere reale se deputati e senatori
fossero eletti e non nominati. Ma nominati sono e sanno anche che il
loro futuro da parlamentari, magari con un'unica camera reale, dipenderà
dalle nomine future, da parte dei vertici del partito, sia direttamente
in Parlamento, sia nelle liste elettorali.
Ora si potrebbe discutere a lungo
sulla scarsa attendibilità economica e realizzabilità delle promesse
fatte (tagli a Imu e Tasi nel 2016, tagli all’Ires nel 2017, tagli
all’Irpef nel 2018) e, quindi, di un patto che vede uno sbilanciamento
totale a favore di uno solo dei teorici contraenti, ma non è su questo
che ritengo sia importante appuntare la nostra attenzione, bensì sul
fatto che se uno – a maggior ragione se è il presidente del Consiglio – è
palesemente infastidito dalle regole democratiche anche all’interno del
proprio gruppo, perché mai dovrebbe applicarle e difenderle all’esterno
di quel gruppo, in questo caso nell’intero Paese?
Scrivo da tempo che è vero che una
crisi economica è durissima e che ci vogliono tanti sacrifici e alcuni
anni per uscirne, ma che una crisi democratica è infinitamente più
grave, che i prezzi personali e sociali da pagare per riconquistare la
democrazia perduta sono molto più pesanti e che il periodo in cui
bisogna lottare per riconquistare quanto si è perso – la storia lo
insegna – possono abbracciare anche più di una generazione. Non serve
nemmeno pensare al fascismo, al nazismo, al comunismo sovietico, al
franchismo, ai tanti regimi militari: basta pensare alla Grecia di oggi
che, dopo aver sofferto per strappare il governo ai colonnelli, si è
lasciata trasportare dai miraggi economici di un governo di socialisti e
di uomini di destra, tanto da diventare ostaggio dei poteri economici e
ora, nonostante i voti per Tsipras e il referendum che ha urlato un
chiaro «No!», si trova a dover fare quello che vogliono gli altri, non
la fantomatica Europa, ma la finanza e i poteri economici. Denaro in
cambio di democrazia, che è lo scambio più squallido e scandaloso perché
è ancora più pesante, ampio e coinvolgente per altri, di quello di
denaro in cambio del proprio corpo.
Questo è un momento politico molto
importante perché le mosse di Renzi sono l’ennesima – e forse definitiva
– conferma che coloro che vorrebbero far cambiare il PD dall’interno,
facendolo tornare su una via che almeno parzialmente torni a guardare a
sinistra, devono cancellare ogni speranza di farcela, se non
rassegnandosi a raccogliere le macerie che inevitabilmente lo stesso
Renzi lascerà dopo aver distrutto scientemente la maggiore massa
gravitazionale politica del centrosinistra italiano.
Molti speravano che le evidenti
disaffezioni, come le uscite di esponenti di primo piano, o l’enorme
quantità di persone di centrosinistra che hanno preferito non andare a
votare in Emilia Romagna perché non se la sentivano più di votare questo
PD, o le sconfitte incassate nell’ultima tornata delle amministrative
per le medesime motivazioni, potessero far cambiare idea a Renzi. Ora
devono ricredersi sulla speranza che questi avvenimenti possano spingere
il presidente del Consiglio pro tempore a tentare di recuperare i voti
persi a sinistra, perché a Renzi della sinistra non interessa
minimamente, se non per camuffarsi citandola di tanto in tanto. Anzi
alla sinistra è forse addirittura allergico, o quantomeno intollerante.
Lui preferisce continuare a tentare di recuperare voti a destra e le
cose che fa e quelle che promette non lasciano dubbi su questa sua
strategia. Come molti dubbi non possono essere lasciati dal silenzio
assordante da lui osservato nel suo lunghissimo comizio milanese su
argomenti come la lotta all’evasione, o la questione morale nella
rigorosità della scelta dei candidati anche con regole serie per le
primarie.
Ora le carte sono quasi tutte in
tavola e non può più bastare una critica, pur serrata, alle azioni di
Renzi, dei suoi fidi e di coloro che fidi fanno finta di essere per
timore di essere estromessi dalle stanze dove ci si sente importanti.
Adesso serve elaborare di nuovo programmi e proposte di sinistra e farle
sentire alla gente. E serve riprendere a dire “No!” mettendo in gioco
se stessi , sapendo bene che se non ci si oppone a qualcosa di sbagliato
se ne può diventare automaticamente complici.
Tutto questo significa anche che non
funziona più il vecchio sistema di sperare di vincere contando sul
fatto che la gente finisca per votare il meno peggio. La sconfitta
ligure, ma anche altri recenti risultati, non lasciano dubbi sul fatto
che l’andazzo è cambiato. E che inevitabilmente cambierà anche per
coloro che sperano di cavarsela operando localmente in maniera diversa
da come si comportano a livello nazionale. Perché in ballo sempre più
c’è la democrazia che non può funzionare soltanto, come l’economia,
geograficamente, a macchie di leopardo.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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