Probabilmente era scontato che dovesse finire così: con una cesura tra il governo Monti e una parte sempre crescente degli italiani. Non credo si tratti soltanto di un’intolleranza di tipo economico causata dal fatto che, al contrario dei posti di lavoro, le tasse sono aumentate, o perché sono sempre di più coloro che quelle stesse tasse sono costretti a pagarle. E non è neppure il rifiuto del ritorno a una sobrietà che da troppo tempo mancava dai palazzi di maggior potere. Ritengo, invece, che le motivazioni dello sfilacciamento di un idillio che sembrava solidissimo risiedano in una causa ben più nobile, anche se quasi inconscia: l’ancora profondo desiderio di tornare a una vera democrazia.
Non sto ovviamente dicendo che viviamo in un regime, ma è certo che ci troviamo in una specie di limbo laico, della cui esistenza ci si è cominciati a rendere conto quando anche le comunicazioni tra i vertici e le basi, e viceversa, sono diventate quasi indistinguibili, quasi fossero pronunciate in lingue diverse.
Non si tratta della tradizionale antipatia con cui vengono guardati i “professori”, che nella mente di chi non è più giovanissimo sono ancora gli unici giudici le cui decisioni sono insindacabili. È, invece, l’amore per la democrazia che, anche in un Paese smagato come l’Italia, torna a galla. Già il passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario aveva ulteriormente allontanato, e quindi reso meno sopportabile, la democrazia rappresentativa; poi il “Porcellum” aveva tolto ancor più significato all’aggettivo “rappresentativa”; infine il fatto che anche i cosiddetti rappresentanti del popolo fossero a loro volta rappresentati da altri ha reso praticamente impossibile la comunicazione, e quindi la comprensione, tra il popolo e chi lo governa e viceversa. Fino a perdere il senso di alcune prospettive consolidate, come il fatto che siano gli elettori a dover dare il voto agli eletti e non viceversa.
Si è passati, insomma, da una democrazia rappresentativa, e quindi di secondo grado, a una democrazia delegata. E quando la democrazia diventa di terzo grado inevitabilmente lascia in bocca l’amaro sospetto che in realtà si tratti di una democrazia sospesa in cui le cosiddette “richieste dei mercati” abbiano molta più voce in capitolo delle reali necessità dei cittadini.
Questa parentesi “tecnica”, però, almeno un merito ce l’ha, al di là del settore economico: quello di aver fatto riscoprire ai più che i valori sociali esistono ancora: possono essere di destra o di sinistra, cattolici o laici, ma ci sono ancora e spetta a tutti, ma soprattutto alla gente, il dovere di difenderli con vigore ricollocandoli nella posizione che loro spetta in questo nostro Paese.
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