In tutta sincerità, il fatto che Bossi si sia dimesso e che se ne vada dalla vita politica italiana (ammesso che se ne vada davvero) mi riempie contemporaneamente di gioia perché è come se si fosse aperta una finestra e un po' di aria fresca fosse entrata a spazzare via alcuni dei tanti miasmi che ci soffocano, ma anche mi rattrista in quanto sono stati motivi legati al denaro, anzi al cattivo uso del denaro altrui, a costringerlo al grande passo; non quei miasmi tra cui il razzismo, l'intolleranza culturale, etnica, linguistica, religiosa, la violenza verbale, l'assenza di rispetto per le istituzioni, la minacciosità verso chi non credeva alle sue invenzioni pseudopolitiche - Padania in testa - e alle sue panzane in tutti i campi.
E ancora più triste mi rende il fatto che sembra che soltanto il denaro sia usato per mettere in crisi i leader dei partiti e che soltanto il denaro sia in grado di riuscirci. Anche per Berlusconi vale lo stesso discorso perché soltanto il crack economico nazionale è riuscito a fare quello che infinite considerazioni etiche e politiche, non soltanto personali, avrebbero dovuto riuscire a provocare ben prima.
Anche questo è un perverso frutto di quel sistema elettorale che molti si ostinano a presentare come un puro aspetto tecnico della politica e che, invece, è davvero sostanziale. Perché è il maggioritario che impone i leader e che, quindi, rende inevitabile che fortune e disgrazie di ogni partito dipendano più dalle qualità e dai difetti dei leader che non dalle idee che portano avanti.
Ogni fragorosa caduta dei leader di partito, ogni loro traballare mi fa tornare la voglia di proporzionale; corretto, sì, ma proporzionale. Perché se è questa la "governabilità" che il maggioritario assicura, allora guardo con sempre maggiore nostalgia a un'Italia in cui i governi magari cadevano un po' troppo spesso, ma nella quale comunque si continuava a cescere economicamente e socialmente e in cui ogni categoria di questo Paese riusciva a farsi ascoltare e, in piccola o grande parte, a influire sulle decisioni finali, senza mai sentirsi rispondere che il popolo non era preparato alle necessità tecniche della situazione.
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