Ti viene il dubbio che sia un po’ strano scegliere di parlare del Pd mentre Berlusconi intasca non soltanto la testa di Boffo, ma anche un nuovo pezzo di quella libertà di stampa che in questo Paese diminuisce sempre più. Ma è proprio per tentare di capire se è possibile mettere democraticamente fine a questa minaccia per la democrazia e per l’Italia stessa che credo sia necessario appuntare la propria attenzione su quello che potrebbe diventare il Pd. E in questo il tema delle primarie non è di piccola importanza.
Ho già parlato del rischio di confondere i simulacri della democrazia con la democrazia stessa: questo, secondo me, può accadere anche per le primarie. Infatti, mentre sono convinto che per scegliere ruoli elettivi siano un’ottima soluzione, ritengo, invece, che adottare lo stesso metodo per designazioni politiche sia un non senso democratico. Se nel primo caso, infatti, il partito decidere di sottoporre ai possibili elettori la scelta su chi potrà essere il candidato con le maggiori possibilità di vittoria in un sistema maggioritario, nel caso della scelta di un segretario politico si va incontro a una semplificazione di giudizio che rischia di essere terribilmente dannosa.
Prendiamo il caso attuale, con tre candidati alla segreteria nazionale. Immediatamente dopo l’ufficializzazione delle candidature, abbiamo assistito a moltissime dichiarazioni di schieramento che indubbiamente – visto la qualità delle persone che le hanno effettuate – sono il frutto di una meditazione, ma che portano con sé anche alcuni difetti.
Il primo è quello che una presa di posizione di questo tipo taglia già in partenza qualsiasi dibattito e, visto che nessuno può essere perfettamente d’accordo, fin nei minimi particolari, su una delle tre mozioni, ne deriva che decade un dibattito interno che invece avrebbe potuto essere più utile ed efficace per qualche correzione e miglioramento.
Ma ancor più grave è che mancano gli eventuali riflessi di questo dibattito sui non iscritti, su coloro che saranno chiamati a votare in seconda istanza, ma che non sono chiamati né a discutere, né ad ascoltare. E che non potranno fare altro che votare per consonanza di intenti all’ingrosso, per stima personale, o per apprezzamenti costruiti nel passato.
Il risultato sarà – anche a livello regionale – che l’elezione toccherà sicuramente a colui che sarà il più gradito all’elettorato del Pd, ma non altrettanto sicuramente a colui che politicamente e organizzativamente sarebbe il più adatto a portare il Pd dall’opposizione al successo elettorale.
Insomma, secondo me è il partito ad avere il dovere, ancor prima che il diritto, di scegliere direttamente i propri dirigenti; e ha il dovere di assumersene la responsabilità senza scaricarne parte sulle spalle di elettori che sicuramente vogliono collaborare, ma che non è detto abbiano tutti i mezzi conoscitivi per effettuare una scelta che, posta in questa maniera, costringe a una semplificazione che è sempre il contrario di partecipazione e, quindi, di democrazia.
Detto questo, andrò sicuramente a votare, da non iscritto, alle primarie: soprattutto per dimostrare che si è ancora in tanti a voler veder cambiare questo Paese, ma con la convinzione che non sempre la novità corrisponde alla soluzione migliore.
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