Oggi è il 28 gennaio e sarebbe ipocrita, oltre che stupido, sentirsi a posto con la coscienza perché ieri, 27 gennaio abbiamo celebrato la Giornata della Memoria. Perché la Memoria, se c’è, non dura soltanto una giornata. E perché, se si può dedicare un giorno a ricordare le vittime, serve l’intera vita – anche se può sembrare paradossale – per ricordare i carnefici, l’aberrazione del razzismo, l’orrore dello sterminio e per individuare i germi della xenofobia e dell’eterofobia che non sono meno gravi del “razzismo”: ne sono soltanto la pericolosissima anticamera.
Tutti conoscete la realtà dei Lager nazisti. Pensateci un po’, richiamatela alla mente e poi chiudete gli occhi e portatela avanti nel tempo di ottant’anni: portatela a oggi. Dite che è impossibile perché non ci sono le camere a gas e i forni crematori? È vero: non ci sono più – almeno per quanto ci è dato di sapere – in nessuna parte del mondo. Vi sentite rassicurati? Non credo e se così fosse, sbagliereste clamorosamente perché le camere a gas e i forni crematori erano soltanto la pur orrenda apparenza: la sostanza erano le uccisioni, gli omicidi, le crudeltà, le stragi, a prescindere dai mezzi usati.
Il fatto è che noi siamo schiavi delle rigidità che istintivamente diamo alle parole e alle immagini. Per esempio, continuiamo a domandarci se quello che troppo spesso ci appare davanti sia fascismo, o meno, e continuiamo anche a lasciarci rispondere, senza indignarci profondamente, che il fascismo non può tornare perché è un relitto della storia. Eppure dovremmo sapere che il fascismo non è soltanto il saluto romano, il colore nero, le urla “Presente”: queste sono apparenza, non sostanza e l’apparenza è praticata solo dai meno furbi. Il fascismo è molto di più: è disprezzo per le altre vite umane, è insofferenza per la democrazia, è soddisfazione per l’approfondirsi delle diseguaglianze tra i ceti sociali, è il rancore, se non l’odio, per altre nazioni, altre religioni, altre lingue, altre inclinazioni sessuali, altre convinzioni politiche. Vi pare che di queste realtà sia priva l’Italia di oggi? E vi sembra sia importante il nome con cui questi figuri si autodefiniscono per distinguere se siano fascisti, o qualcos’altro?
E se pensiamo alla Shoah, che vuol dire “tempesta devastante”, e a quello che succede oggi, ritenete che la scelta tra chi deve vivere ancora per un po’ e chi deve morire subito sia tanto diversa se viene fatta non appena le persone scendono da un carro bestiame, o se dipende da chi c’è e chi non c’è in un condominio contro il quale si lancia una bomba sapendo benissimo che si faranno certamente centinaia di vittime innocenti soltanto per la presunzione di riuscire a uccidere un colpevole?
Credete che ci sia una differenza davvero sostanziale tra il programmare di uccidere tutti gli appartenenti a un gruppo umano e il decidere “soltanto” di ucciderne il più possibile? O che ci sia davvero un abisso tra i campi circondati da filo spinato e dotati di torrette con le mitragliatrici pronte per tenere prigionieri degli innocenti, e le alte e impenetrabili mura dei CPT dove sono tenuti prigionieri, nell’indifferenza praticamente generale, esseri umani che non hanno commesso alcun reato e che sono talmente imbottiti di farmaci, calmanti e droghe che, prima o dopo, in non pochi casi, passano senza scossoni dalla disperazione al suicidio?
Ha ragione Papa Francesco quando dice che «Viviamo in una terza guerra mondiale combattuta a pezzi». E nella stessa maniera stiamo assistendo anche a uno sterminio a pezzi, che non si svolge con tutte le sue possibili apparenze nel medesimo posto e nello stesso tempo, ma che in tanti posti diversi punta ad assassinare il maggior numero possibile di esseri umani. Con l’aggravante che quella volta si poteva davvero non sapere quello che stava accadendo, o, almeno, si poteva pensare di essere creduti se si diceva di non sapere. Oggi abbiamo tutto davanti ai nostri occhi e, quindi, non sapere è impossibile: possiamo solo far finta di non sapere per non doverci sentire nel fastidioso obbligo di indignarsi davvero e, quindi, di reagire.
Come si può vedere quello che ci succede attorno, anche a pochi chilometri di distanza, e non partecipare, per come si riesce, alla vita sociale e politica del proprio Paese, addirittura non andando nemmeno a votare? Come si fa a restare indifferenti mentre i simboli fascisti e nazisti tornano a fare proseliti che si accaparrano maggioranze anche davvero molto relative, ma che, nei computi democratici, sempre maggioranze restano?
Insomma: è necessario continuare a far vivere la Giornata della Memoria anche oggi, domani e nei giorni a seguire perché non è il negazionismo l’aspetto più pericoloso della questione, bensì la voglia di non parlare di quanto è accaduto. Il negazionismo è tanto lontano da una realtà storica più che abbondantemente provata, da non attrarre nessuno che non voglia già in partenza essere attratto. Più preoccupanti sono i tentativi di camuffare la storia e di riscriverla per lavare, soprattutto in politica, alcuni panni sporchi. Ma terribilmente pericoloso è il lasciar perdere, il lasciar dimenticare un po’ alla volta con il silenzio, perché – frase abusata ma non per questo meno valida – chi non ricorda i propri errori è condannato a ripeterli.
Un’esagerazione? Provate a pensare a quanti mattatoi si sono reincarnati nell’ex Jugoslavia, in Afghanistan, in decine di altri Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America centrale e meridionale. Provate a pensare a Gaza che non è considerato come un Lager per le sue dimensioni, non per la sua terribile realtà; pensate a quello che Trump sta imponendo non solo sul confine con il Messico, pensate al Mediterraneo dove vengono lasciati annegare migliaia di disperati e rabbrividite. Il problema è che perché il male trionfi, basta che i cosiddetti buoni non facciano niente per ostacolarlo. E sappiamo benissimo che esiste un solo miglioramento possibile per un ghetto, o per un Lager: eliminarlo.
Insomma, bisogna essere memoria, ancor prima che fare memoria. Ed essere memoria è domandarsi: cosa avrei fatto io allora? E soprattutto, pretendendo da sé stessi una risposta sincere: cosa sto facendo, per quanto posso, oggi?
Nessun commento:
Posta un commento