Vi siete mai chiesti quale sia il principale segno distintivo di ogni dittatura? Pensate alla violenza, alla crudeltà, all’impego abnorme delle forze di polizia, alla soppressione di ogni forma di democrazia reale? Ci siete vicini, ma la storia non è avara di racconti di dittature che, per almeno un periodo della loro esistenza, non abbiano evitato, o che siano riuscite a tenere ben nascoste, queste caratteristiche.
La vera e inevitabile peculiarità comune, invece, è quella che i protagonisti del regime dittatoriale, anche in fase di preparazione dell’assalto definitivo al potere, raccontano menzogne evidentissime con la convinzione di riuscire a farle passare come verità, almeno in buona parte della popolazione. Per loro, insomma diventa decisamente più importante la cosiddetta realtà virtuale che fa comodo, mentre scompare la vita reale che potrebbe indurre i sudditi a pensare e a tornare cittadini.
Prendete, come esempio palmare, il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, e il suo intervento in Senato sul caso del generale libico Najeem Osema Almasri Habish, oggetto di un mandato d'arresto internazionale a fini di estradizione, emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aja perché considerato responsabile di omicidi, stragi, torture, violenze fisiche e sessuali e altre amenità del genere nei confronti dei migranti bloccati nelle carceri – ma sarebbe più giusto chiamarle Lager – della Libia.
Piantedosi ha detto, rispondendo al question time senatoriale, che Almasri è stato rilasciato «per poi essere rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto». E mi è difficile trovare un esempio più chiaro di disprezzo dell’intelligenza dell’ascoltatore.
Per cominciare: se un attentatore islamico compie un attentato nel nostro Paese, vista la sua evidente pericolosità, Piantedosi farebbe preparare un aereo di Stato per portarlo velocemente e comodamente nel suo Paese? O riuscite forse a concepire che se, per esempio, nel 1972 fossero stati arrestati in Italia i terroristi di Settembre nero, autori della strage alle Olimpiadi di Monaco, il ministro degli interni dell’epoca avrebbe tenuto lo stesso comportamento di Piantedosi? Evidentemente no.
Qualcuno potrebbe dire che si è trattato di un’assurda alzata d’ingegno del ministro e magari potrebbe richiederne le dimissioni. Ma che senso avrebbe? Pensate davvero che Piantedosi abbia agito da solo senza consultare nessuno?
Se, visto che si trattava di mandato d’arresto internazionale e che andava a toccare patti internazionali, appunto, sottoscritti dall’Italia, non avesse avvertito il ministro degli Esteri Tajani, allora sarebbe lo stesso Tajani a sollevare un polverone contro Piantedosi. Ma invece Tajani risponde, evidentemente alterato, alle domande dei giornalisti: «L’Italia è un Paese sovrano e non è sotto scacco di nessuno». Laddove per scacco, visto che non si può interpretare in tal modo un trattato liberamente sottoscritto, è evidente il riferimento alla Libia con il sottinteso «Se non lo avessimo lasciato andare, la Libia non ci avrebbe più aiutato a bloccare l’emigrazione». E poi, indifferente con che modi li trattiene.
Per me già il concetto che un po’ di morti nelle carceri di Tripoli e migliaia di morti tra le onde del Mediterraneo possano essere considerati “utili” per disincentivare le fughe dalle guerre, dalla fame, dalle dittature, sarebbe più che sufficiente per considerare questo governo – come consideravo anche l’ex ministro Marco Minnitti – totalmente inadatto a rappresentare un Paese civile.
E vi sembra possibile che di tutto sia stata tenuta all’oscuro la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni? E che da lei, che tutto sempre vuole controllare, non sia arrivato il necessario imprimatur alla liberazione del criminale e al suo viaggio immediato su un aereo di Stato? Lo conferma anche il rumorosissimo silenzio del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sempre pronto a parlare, ma in questa occasione evidentemente scavalcato da ordini superiori.
Stiamo continuamente cercando tracce di fascismo, pur evidenti, ma ci stiamo dimenticando che le dittature possono essere anche diverse nell’apparenza, ma non nella sostanza che è soprattutto quella di pretendere che i propri sudditi non vedano più la realtà, ma accettino una narrazione virtuale che nel concreto non esiste.
Il potere mente spudoratamente per coprire l'inaccettabile.
RispondiEliminaCaro Gianpaolo bentornato, anche se eri sempre stato con noi. L'impegno difficile come non mai è comprendere queste nuove forme di potere. Mi pare che non sia utile richiamare forme storiche. La trasformazione del potere avviene in quella che a tutti gli effetti è un’area complessa, sbaragliante, grazie ad atti di sedazione, distrazione, obnubilamento, saturazione, che a poco a poco spengono l'attenzione e l'interesse e dove l'indifferenza diventa fonte di consenso. La guerra dell’informazione ha per target la nostra mente, perché senza la nostra provocata indifferenza, senza la nostra pressoché compiuta incapacità di ricordare, connettere e vigilare su ciò che sta avvenendo e potrebbe/dovrebbe non avvenire, senza la nostra sempre più fantasmatica interpretazione del mondo, non si potrebbero avvalorare le palesi falsità che spostano l’asse del potere mandando in crisi la democrazia, il diritto internazionale e l’idea stessa di giustizia. L'ambasciatore tedesco negli USA ha l'altro ieri inviato un telegramma a Berlino in cui comunica che Trump sta preparando procedimenti per smantellare il sistema legislativo e la libertà dei media informativi.
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