Raramente una
Giornata della memoria ha avuto toni cupi come questi, in cui il barlume
della speranza rischia di essere soffocato da quella malvagità che si
sta diffondendo e che sembra assorbire ogni traccia di luce. Come ben
difficilmente vivremo un 25 aprile che non ci faccia ascoltare
annichiliti personaggi che non dovrebbero poter parlare della Resistenza
e che ancora una volta non sapranno far altro che tentare di
contrapporre i lager alle foibe, sperando di riuscire a nascondere un
orrore con un altro orrore, senza nemmeno rendersi conto che due
negatività anche nella vita come in matematica, si sommano e non si
elidono a vicenda.
Dicono che questo che stiamo vivendo
non è fascismo. Dicono che questo non è nazismo. Dicono che questo non è
razzismo. E un personaggio, che purtroppo è diventato il ministro della
paura, tenta di dissimulare la propria disumanità e il disprezzo delle
regole internazionali di convivenza autodefinendosi “buon padre di
famiglia”. E forse ancora più grave è che oltre a quelli che la pensano
come lui, ci sono altri che applaudono perché tentano sempre di stare
con coloro che appaiono temporaneamente i vincitori e altri ancora che,
temendo di perdere la loro poltrona, diventano suoi consapevoli complici
fornendogli il puntello per non far cadere quel governo che permette –
anzi, vuole – un simile scempio.
Dicono che non si può parlare di
fascismo, nazismo, razzismo perché la storia non ripresenta mai gli
stessi avvenimenti. E allora, per confutare questa tesi senza ricorrere a
tesi politiche, proviamo ad affidarci alla letteratura, cominciando da
un passo dell’Eneide scritta da Virgilio un po’ più di duemila anni fa.
«Qui, in pochi, nuotammo alle vostre
spiagge. Che razza di uomini è questa? O quale patria così barbara
permette simile usanza? Ci negano il rifugio della sabbia; dichiarano
guerra e ci vietano di fermarci sulla terra più vicina. Se disprezzate
il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei, memori
del bene e del male». Enea e i suoi stanno per raggiungere le coste
della Sicilia, dopo sette anni di navigazione, ma arriva la tempesta
che, al contrario di quel che succede oggi, lo spinge a sud, verso la
Libia dove, con queste parole, l’eroe troiano si sforza di convincere
Didone, la regina di Cartagine, a dargli ospitalità. Ed Enea è il
progenitore di quei romani che saranno i padri di quella stessa Italia
che oggi nega ad altri disperati l'approdo e, dunque, la salvezza.
E adesso avviciniamoci di molto
fermandoci a circa settant’anni fa, quanto Primo Levi scrisse questi
versi: «Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case, / voi che
trovate tornando a sera / il cibo caldo e visi amici: / Considerate se
questo è un uomo / che lavora nel fango / che non conosce pace / che
lotta per mezzo pane / che muore per un si o per un no. / Considerate se
questa è una donna, / senza capelli e senza nome / senza più forza di
ricordare / vuoti gli occhi e freddo il grembo / come una rana
d'inverno. / Meditate che questo è stato: / vi comando queste parole. /
Scolpitele nel vostro cuore / stando in casa andando per via, /
coricandovi, alzandovi. / Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia
la casa, / la malattia vi impedisca, / i vostri nati torcano il viso da
voi».
Sono entrambi brani che cominciano
descrivendo dolori e orrori e che si concludono con terribili
maledizioni per chi nega all’uomo la sua vita, la sua dignità, la sua
umanità.
Sono brani che sono stati scritti a
più di diciannove secoli di distanza tra loro e che potrebbero
attagliarsi, pur se non si è ancora arrivati ai vertici della metà degli
Anni Quaranta, anche ai nostri giorni, mentre ci sono naufraghi che non
vengono soccorsi e ai quali si proibisce di toccare terra, mentre ci
sono dei figuri che parlano di nuovo di censimenti di nomadi e altri
ceffi che vomitano frasi antisemite o dirette contro chiunque abbia la
pelle più scura; e personaggi schifosi che vogliono rimettere in
discussioni molte della leggi che, dopo tante fatiche, hanno cominciato a
smussare quelle asperità che da sempre separano gli uomini dalle donne,
gli eterosessuali dagli omosessuali, coloro che professano una
religione da coloro che credono in un altro Dio.
Sono brani che fanno anche capire
perché l’istruzione e la cultura sono sempre osteggiate da chi è al
potere. Se hai studiato e hai imparato e, soprattutto se continui ad
ascoltare e a imparare finisce che conosci troppe cose per poter
rifiutarti di pensare. E chi pensa finisce sempre per far paura a chi
chiede soltanto consensi per assicurarsi il potere.
Ma oggi finalmente si torna a vedere
un barlume di luce e parlamentari, sindaci e gente comune si rifiuta di
dire «Obbedisco» a Salvini. Pronuncia quel “No” che è la più bella
parola del mondo perché permette il rifiuto di ragione e di coscienza e
consente la vita di ogni democrazia. Sono loro, parlamentari, sindaci e
gente comune che stanno diradando quella cupezza che stava intristendo
al di là del lecito la Giornata della memoria. Sono loro che ci danno la
certezza che questa maledetta notte dovrà pur finire.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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