domenica 27 gennaio 2019

Memoria, luci e tenebre

Raramente una Giornata della memoria ha avuto toni cupi come questi, in cui il barlume della speranza rischia di essere soffocato da quella malvagità che si sta diffondendo e che sembra assorbire ogni traccia di luce. Come ben difficilmente vivremo un 25 aprile che non ci faccia ascoltare annichiliti personaggi che non dovrebbero poter parlare della Resistenza e che ancora una volta non sapranno far altro che tentare di contrapporre i lager alle foibe, sperando di riuscire a nascondere un orrore con un altro orrore, senza nemmeno rendersi conto che due negatività anche nella vita come in matematica, si sommano e non si elidono a vicenda.

Dicono che questo che stiamo vivendo non è fascismo. Dicono che questo non è nazismo. Dicono che questo non è razzismo. E un personaggio, che purtroppo è diventato il ministro della paura, tenta di dissimulare la propria disumanità e il disprezzo delle regole internazionali di convivenza autodefinendosi “buon padre di famiglia”. E forse ancora più grave è che oltre a quelli che la pensano come lui, ci sono altri che applaudono perché tentano sempre di stare con coloro che appaiono temporaneamente i vincitori e altri ancora che, temendo di perdere la loro poltrona, diventano suoi consapevoli complici fornendogli il puntello per non far cadere quel governo che permette – anzi, vuole – un simile scempio.

Dicono che non si può parlare di fascismo, nazismo, razzismo perché la storia non ripresenta mai gli stessi avvenimenti. E allora, per confutare questa tesi senza ricorrere a tesi politiche, proviamo ad affidarci alla letteratura, cominciando da un passo dell’Eneide scritta da Virgilio un po’ più di duemila anni fa.

«Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge. Che razza di uomini è questa? O quale patria così barbara permette simile usanza? Ci negano il rifugio della sabbia; dichiarano guerra e ci vietano di fermarci sulla terra più vicina. Se disprezzate il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei, memori del bene e del male». Enea e i suoi stanno per raggiungere le coste della Sicilia, dopo sette anni di navigazione, ma arriva la tempesta che, al contrario di quel che succede oggi, lo spinge a sud, verso la Libia dove, con queste parole, l’eroe troiano si sforza di convincere Didone, la regina di Cartagine, a dargli ospitalità. Ed Enea è il progenitore di quei romani che saranno i padri di quella stessa Italia che oggi nega ad altri disperati l'approdo e, dunque, la salvezza.

E adesso avviciniamoci di molto fermandoci a circa settant’anni fa, quanto Primo Levi scrisse questi versi: «Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case, / voi che trovate tornando a sera / il cibo caldo e visi amici: / Considerate se questo è un uomo / che lavora nel fango / che non conosce pace / che lotta per mezzo pane / che muore per un si o per un no. / Considerate se questa è una donna, / senza capelli e senza nome / senza più forza di ricordare / vuoti gli occhi e freddo il grembo / come una rana d'inverno. / Meditate che questo è stato: / vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / stando in casa andando per via, / coricandovi, alzandovi. / Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa, / la malattia vi impedisca, / i vostri nati torcano il viso da voi».

Sono entrambi brani che cominciano descrivendo dolori e orrori e che si concludono con terribili maledizioni per chi nega all’uomo la sua vita, la sua dignità, la sua umanità.

Sono brani che sono stati scritti a più di diciannove secoli di distanza tra loro e che potrebbero attagliarsi, pur se non si è ancora arrivati ai vertici della metà degli Anni Quaranta, anche ai nostri giorni, mentre ci sono naufraghi che non vengono soccorsi e ai quali si proibisce di toccare terra, mentre ci sono dei figuri che parlano di nuovo di censimenti di nomadi e altri ceffi che vomitano frasi antisemite o dirette contro chiunque abbia la pelle più scura; e personaggi schifosi che vogliono rimettere in discussioni molte della leggi che, dopo tante fatiche, hanno cominciato a smussare quelle asperità che da sempre separano gli uomini dalle donne, gli eterosessuali dagli omosessuali, coloro che professano una religione da coloro che credono in un altro Dio.

Sono brani che fanno anche capire perché l’istruzione e la cultura sono sempre osteggiate da chi è al potere. Se hai studiato e hai imparato e, soprattutto se continui ad ascoltare e a imparare finisce che conosci troppe cose per poter rifiutarti di pensare. E chi pensa finisce sempre per far paura a chi chiede soltanto consensi per assicurarsi il potere.

Ma oggi finalmente si torna a vedere un barlume di luce e parlamentari, sindaci e gente comune si rifiuta di dire «Obbedisco» a Salvini. Pronuncia quel “No” che è la più bella parola del mondo perché permette il rifiuto di ragione e di coscienza e consente la vita di ogni democrazia. Sono loro, parlamentari, sindaci e gente comune che stanno diradando quella cupezza che stava intristendo al di là del lecito la Giornata della memoria. Sono loro che ci danno la certezza che questa maledetta notte dovrà pur finire.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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