È come sentirsi
sbalzare da un universo a un altro, da un mondo familiare a uno alieno
che con il primo ha pochissimi addentellati; quasi nessuno. Finire di
leggere “Scolpitelo nel vostro cuore”, di Liliana Segre e poi, subito
dopo, aprire un giornale e sentirsi imbrattare dalle dichiarazioni di
Salvini è come ricevere un pugno nello stomaco.
Prima si respira a pieni polmoni e
ci si illumina per frasi come «Per un futuro senza indifferenza e senza
odio», e «Mi rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica
possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli
nomadi». Poi si sprofonda in un buio maleodorante quando si è colpiti da
espressioni di disumana spietatezza come «E cosa dovevano fare?
Offrirgli cappuccio e brioches?», riferendosi al trentaduenne tunisino
morto per un malore mentre era nelle mani della polizia con le manette
ai polsi e con una corda che gli legava le caviglie. Oppure come «Sono
tornate le Ong, gli scafisti tornano a fare affari e a uccidere. Io non
torno indietro: i numeri mi danno ragione», come unico commento alla
morte per annegamento di oltre 170 migranti affondati in due naufragi
nel Mediterraneo e scomparsi tra le onde gelide. Sono questi i numeri di
cui Salvini parla? Il ministro della paura si rende conto che quei
numeri sono vite umane e che vanno moltiplicati a dismisura per il
dolore che da quelle morti si irradia ad agghiacciare madri, padri,
mogli, mariti, figli, fratelli, amici, in una sofferenza che non è
assolutamente diversa da quella dei genitori spagnoli che hanno visto il
loro bimbo di due anni inghiottito da un pozzo?
Sono 170 i morti in una sola
giornata: tutti, meno quattro, risucchiati dalle acque mentre
aspettavano invano i teorici soccorritori libici, quelli ai quali
Salvini ha pensato di delegare le sue – e purtroppo anche le nostre –
responsabilità pagandoli invano, ma profumatamente, con i soldi delle
nostre tasse, che una volta servivano per salvare i migranti naufraghi e
che ora servono a farli morire. «Così – sogghignava una volta il
Fregoli delle divise – capiranno che non è il caso di mettersi in mare».
Sono davvero mondi impossibili da
avvicinare che finiscono per provocare uno stato di ansia crescente.
Intanto perché mai si sarebbe pensato che si potesse retrocedere tanto e
tanto velocemente sulla via del progresso umano e sociale. Poi in
quanto, se era prevedibile che prima o poi sulla strada dell’umanità si
potesse nuovamente presentare un essere che della propria disumanità si
fa vanto e la eleva a metodo di vita, molto meno ipotizzabile era che,
come al tempo del fascismo, ci fosse tanta gente disposta a lasciarsi
indottrinare e a gettare nell’immondizia la propria umanità e dignità
pur di sentirsi nel gruppo dei teorici e comunque temporanei vincitori.
Che ci fossero anche partiti che, pur di restare agganciati al potere,
sconfessano non tanto se stessi, quanto le promesse elettorali che
avevano fatto.
È soprattutto su questo che occorre
ragionare e tentar di capire, perché oggi, tra giornali, radio,
televisioni, siti internet, social, nessuno potrà tentare l’alibi di
dire che non sapeva cosa stava succedendo. Per dirla con il catechismo
che ci hanno insegnato da bambini, oltre alla materia grave, ci sono,
indubitabilmente, anche la piena avvertenza e il deliberato consenso. Ed
è anche questa consapevolezza che rende difficile, sia dimenticare gli
insegnamenti di una storia che sempre più da vicino ci ricorda momenti
che avremmo voluto cancellare dalla memoria, sia cercare un dialogo che
dia nuova ragionevolezza e solidarietà a persone che ormai, non appena
tocchiamo qualche argomento serio, sentiamo aliene e non soltanto perché
sembrano parlare un’altra lingua, ma in quanto sono proprio i modi di
ragionare che sono diversi perché partono da valori addirittura
divergenti, da scale di importanza che poco possono avere in comune
perché sono le basi che le sostengono a essere poggiate su terreni
incompatibili, come incompatibile è il dare la prevalenza all’umanità, o
darla all’economia, il ritenere che siamo tutti uguali, o il pensare
che ci siano esseri umani di serie A ed esseri umani di serie B. Magari
senza rendersi conto che è proprio questa la base del razzismo; anzi,
che è razzismo tout court.
Liliana Segre, reduce da Auschwitz e
dai tanti disonesti negazionismi, o dagli assurdi tentativi di
cancellare un orrore contrapponendogli un altro di segno opposto,
raccomanda di volere «un futuro senza indifferenza e senza odio» e, a
prima vista, potrebbe sembrare facile, se davanti alle stragi del
Mediterraneo si fa fatica a trattenere le lacrime e se si ha ben
presente che odiare vuol dire volere il male di qualcuno. Molto più
difficile, se si vuole tentar di cambiare questa situazione, è superare
il disprezzo che, in definitiva è un odio ripulito dal desiderio di
vendetta, o, comunque, di veder soffrire quello che consideriamo un
nemico. Ed è innegabile che per Salvini e i suoi complici e
fiancheggiatori provo un disprezzo che mi rende difficile anche
respirare la loro stessa aria.
Fatte le debite proporzioni, però,
bisognerebbe essere come la Segre che, a un certo punto, si è trovata di
fronte il proprio aguzzino disarmato e in fuga e ha avuto la lucida
umanità di non raccogliere la sua pistola e sparargli. «Potevo farlo. È
stato un attimo – dice – ma poi ho capito. Io non ero come lui».
È un insegnamento grandissimo:
l’importante non è l’esultanza del momento della vittoria, ma – e questo
dovrebbero capirlo anche i politici del centrosinistra – è riuscire a
saper far fruttare la propria vittoria per far vincere anche tutti gli
altri, la democrazia, l’umanità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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