martedì 24 aprile 2018

Quel 98 per cento

È difficile dire se è più ridicola l’idea di Di Maio di affidare ai cosiddetti “esperti” il compito di trovare punti di convergenza tra il programma elettorale dei 5stelle, quello del Centrodestra e quello del PD, oppure quella di appiccicare il concetto di “scientificità” a una simile impresa.
 
Sta di fatto che il risultato del confronto tra le tre esagerate promesse elettorali parla di dieci possibili punti in comune, però in realtà estremamente generici, mentre la sentenza finale deve ammettere che «le divergenze riguardano temi e problemi tra quelli più rilevanti per l'azione dello Stato, all'interno e all'esterno, e sono quindi tali da rendere ardua la formazione di un governo coeso».

Questa propagandistica e inevitabilmente vana ricerca di punti di contatto ricorda molto da vicino la frase «Sono molte di più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono» che spesso si è sentito dire quando forze diverse hanno deciso di dare vita a un’alleanza elettorale che quasi invariabilmente ha mostrato la corda non appena si è tentato di spostare l’accordo sul piano davvero politico.

Il problema è che, nella valutazione di quello che unisce e di quello che divide, non si tratta di valutare la quantità, bensì la qualità. E tento di spiegarmi: gli scimpanzé hanno un corredo genetico simile al nostro per il 98%, eppure sono indiscutibilmente molto diversi dagli uomini. La stessa cosa vale pure in politica; e, infatti, quanto a valori e ideali, ho delle grosse, anche se variabili, difficoltà a sentirmi vicino a fascisti, leghisti, berlusconiani, grillini e renziani.

Ma il fatto è che, anche se davvero le differenze fossero poche, sarebbe su quelle che è necessario lavorare con fatica e testardaggine; mentre non ci si dovrebbe adagiare sulle cose sulle quali si è d’accordo. La storia della sinistra – dove si è abituati a ragionare e a eccepire, a guardare e a cogliere le sfumature, tutte attività che, se ti affidi a un capo diventano inutili – insegna abbondantemente che il tralasciare di intestardirsi a smussare piccoli angoli ha finito per far lacerare il tessuto politico e sociale sul quale quei modesti spuntoni continuavano a strusciare giorno dopo giorno. È su questa convinzione, sulla necessità di capirsi davvero, senza far finta di farlo, che nasce il programma di SinistrAperta che punta a ricostruire una sinistra ormai prostrata non soltanto dalle divisioni interne, ma anche dalla protervia di Renzi e dei suoi.

Ma al di là di queste aspirazioni politiche, la situazione dovrebbe farci meditare anche sul fatto che l’attuale enorme e inevitabile difficoltà di creare un governo ci mette di fronte a un bivio nel quale, se dovessimo scegliere la strada sbagliata, correremmo rischi gravissimi.

Davanti alla distanza dei programmi, alle manie di protagonismo e ai tantissimi veti incrociati, sono molti quelli che pensano che la soluzione sia rappresentata da un sistema maggioritario vero e senza correzioni, che consegni spensieratamente in mano al vincitore una specie di dittatura a tempo che permetta scelte veloci e, quindi, né dibattute, né tantomeno condivise, senza curarsi del fatto che la Costituzione – che parla di una Repubblica parlamentare e non di una presidenziale – sarebbe stravolta e che l’appetito decisionista del vincitore accoppiata alla convinzione di essere sempre nel giusto, tanto da diventare “l’uomo della provvidenza”, potrebbe aumentare fino a far sparire la locuzione “a tempo”.

Molto più democratica e fruttuosa è, invece, la strada del ritorno a un vero sistema proporzionale che ricordi che in democrazia non è detto che chi ha la maggioranza ha anche contemporaneamente ragione, che rispetti il concetto di rappresentanza e che cerchi la governabilità non nel decisionismo, ma nella mediazione tra le diverse necessità sociali del Paese. Un proporzionale che torni a far capire a tutti che in ogni avversario non ci sono soltanto cose da distruggere a prescindere, ma che il dialogo – a cui ci si è ormai il maggioritario ha totalmente disabituato – è non soltanto necessario, ma soprattutto utile per arrivare a risultati di valore assoluto.

Dicono che con il proporzionale ci si impantana in discussioni che non portano a nulla. Eppure la nostra storia dimostra il contrario. È stato con Parlamenti eletti con il proporzionale che l’Italia è riuscita a ricostruirsi in tutti i sensi dopo i disastri della guerra e a fare leggi – cito solo tre esempi, ma sono soltanto i più eclatanti – che dimostrano la bontà del sistema: le leggi sul divorzio e sull’aborto e quella che creò l’attualmente smantellato Statuto dei lavoratori che – non lo si dovrebbe mai dimenticare – furono approvate mentre erano in carica, come sempre, del resto, in quei decenni, dei governi a guida democristiana. Altro che ingovernabilità! Era, invece, una governabilità che riusciva a far emergere le tendenze degli italiani e non dei capi del momento.

Buon 25 aprile a tutti coloro che si ricordano che è dalla Resistenza e dal sangue versato da chi si è opposto al fascismo e al nazismo che è nata la nostra Costituzione che va difesa strenuamente e testardamente anche dai furbeschi tentativi di cambiarla nella sostanza, pur senza mutarne il testo.

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