È difficile dire
se è più ridicola l’idea di Di Maio di affidare ai cosiddetti “esperti”
il compito di trovare punti di convergenza tra il programma elettorale
dei 5stelle, quello del Centrodestra e quello del PD, oppure quella di
appiccicare il concetto di “scientificità” a una simile impresa.
Sta di fatto che il risultato del
confronto tra le tre esagerate promesse elettorali parla di dieci
possibili punti in comune, però in realtà estremamente generici, mentre
la sentenza finale deve ammettere che «le divergenze riguardano temi e
problemi tra quelli più rilevanti per l'azione dello Stato, all'interno e
all'esterno, e sono quindi tali da rendere ardua la formazione di un
governo coeso».
Questa propagandistica e
inevitabilmente vana ricerca di punti di contatto ricorda molto da
vicino la frase «Sono molte di più le cose che ci uniscono di quelle che
ci dividono» che spesso si è sentito dire quando forze diverse hanno
deciso di dare vita a un’alleanza elettorale che quasi invariabilmente
ha mostrato la corda non appena si è tentato di spostare l’accordo sul
piano davvero politico.
Il problema è che, nella valutazione
di quello che unisce e di quello che divide, non si tratta di valutare
la quantità, bensì la qualità. E tento di spiegarmi: gli scimpanzé hanno
un corredo genetico simile al nostro per il 98%, eppure sono
indiscutibilmente molto diversi dagli uomini. La stessa cosa vale pure
in politica; e, infatti, quanto a valori e ideali, ho delle grosse,
anche se variabili, difficoltà a sentirmi vicino a fascisti, leghisti,
berlusconiani, grillini e renziani.
Ma il fatto è che, anche se davvero
le differenze fossero poche, sarebbe su quelle che è necessario lavorare
con fatica e testardaggine; mentre non ci si dovrebbe adagiare sulle
cose sulle quali si è d’accordo. La storia della sinistra – dove si è
abituati a ragionare e a eccepire, a guardare e a cogliere le sfumature,
tutte attività che, se ti affidi a un capo diventano inutili – insegna
abbondantemente che il tralasciare di intestardirsi a smussare piccoli
angoli ha finito per far lacerare il tessuto politico e sociale sul
quale quei modesti spuntoni continuavano a strusciare giorno dopo
giorno. È su questa convinzione, sulla necessità di capirsi davvero,
senza far finta di farlo, che nasce il programma di SinistrAperta che
punta a ricostruire una sinistra ormai prostrata non soltanto dalle
divisioni interne, ma anche dalla protervia di Renzi e dei suoi.
Ma al di là di queste aspirazioni
politiche, la situazione dovrebbe farci meditare anche sul fatto che
l’attuale enorme e inevitabile difficoltà di creare un governo ci mette
di fronte a un bivio nel quale, se dovessimo scegliere la strada
sbagliata, correremmo rischi gravissimi.
Davanti alla distanza dei programmi,
alle manie di protagonismo e ai tantissimi veti incrociati, sono molti
quelli che pensano che la soluzione sia rappresentata da un sistema
maggioritario vero e senza correzioni, che consegni spensieratamente in
mano al vincitore una specie di dittatura a tempo che permetta scelte
veloci e, quindi, né dibattute, né tantomeno condivise, senza curarsi
del fatto che la Costituzione – che parla di una Repubblica parlamentare
e non di una presidenziale – sarebbe stravolta e che l’appetito
decisionista del vincitore accoppiata alla convinzione di essere sempre
nel giusto, tanto da diventare “l’uomo della provvidenza”, potrebbe
aumentare fino a far sparire la locuzione “a tempo”.
Molto più democratica e fruttuosa è,
invece, la strada del ritorno a un vero sistema proporzionale che
ricordi che in democrazia non è detto che chi ha la maggioranza ha anche
contemporaneamente ragione, che rispetti il concetto di rappresentanza e
che cerchi la governabilità non nel decisionismo, ma nella mediazione
tra le diverse necessità sociali del Paese. Un proporzionale che torni a
far capire a tutti che in ogni avversario non ci sono soltanto cose da
distruggere a prescindere, ma che il dialogo – a cui ci si è ormai il
maggioritario ha totalmente disabituato – è non soltanto necessario, ma
soprattutto utile per arrivare a risultati di valore assoluto.
Dicono che con il proporzionale ci
si impantana in discussioni che non portano a nulla. Eppure la nostra
storia dimostra il contrario. È stato con Parlamenti eletti con il
proporzionale che l’Italia è riuscita a ricostruirsi in tutti i sensi
dopo i disastri della guerra e a fare leggi – cito solo tre esempi, ma
sono soltanto i più eclatanti – che dimostrano la bontà del sistema: le
leggi sul divorzio e sull’aborto e quella che creò l’attualmente
smantellato Statuto dei lavoratori che – non lo si dovrebbe mai
dimenticare – furono approvate mentre erano in carica, come sempre, del
resto, in quei decenni, dei governi a guida democristiana. Altro che
ingovernabilità! Era, invece, una governabilità che riusciva a far
emergere le tendenze degli italiani e non dei capi del momento.
Buon 25 aprile a tutti coloro che si
ricordano che è dalla Resistenza e dal sangue versato da chi si è
opposto al fascismo e al nazismo che è nata la nostra Costituzione che
va difesa strenuamente e testardamente anche dai furbeschi tentativi di
cambiarla nella sostanza, pur senza mutarne il testo.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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