La
scomparsa di Franco Colle spalanca tanti grandi vuoti in una comunità
che sempre meno tende a sentirsi tale se non in alcuni temporanei
momenti, come questo, di dispiacere condiviso.
La sua morte ha creato voragini di
dolore all’interno della sua famiglia che per lui è stata sempre un
punto di ancoraggio irrinunciabile, oltre che preziosissimo. E ha
profondamente rigato di tristezza un mondo dello sport – e non solo
dell’atletica – in cui la sua figura si è stagliata per decenni come una
specie di sicuro punto di riferimento, di faro capace di illuminare la
rotta di atleti che gli dovranno per sempre tantissimo tra cui alcuni –
Venanzio Ortis in primis, hanno mantenuto per lui un affetto profondo.
Un faro non soltanto dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto
dal punto di vista umano e su quel piano etico in cui non ha mai ceduto
neppure di un millimetro, neppure in un’epoca in cui l’apparire è
diventato apparentemente molto più importante dell’essere; in cui sembra
che soltanto vincere, in qualsiasi modo, soltanto l’arrivare primi,
possa placare per un po’ quella continua sete di successo nei confronti
degli altri, mentre si è completamente perduto il concetto del diritto
alla sconfitta, a quella sconfitta nella quale spessissimo si cela,
invece, il successo nei confronti di noi stessi.
Ovviamente non intendo ricordare
Franco, né dal punto di vista della famiglia, né da quello del mondo
dello sport che da qualche anno aveva dovuto abbandonare sul campo, ma
mai nel pensiero. Il mio ricordo vuole essere un po’ personale, un po’ a
nome di tanti altri amici che di sportivo hanno ben poco ma che di lui
sentono profondamente l’assenza.
Per prima cosa la mia gratitudine
trova forza nel ricordare quanti preziosi suggerimenti musicali e
letterari mi ha dato nel corso di tanti anni. Era un costante
ascoltatore di musica classica e non appena trovava un’interpretazione
davvero degna di nota, la raccomandava con calore. Come con altrettanta
passione segnalava i titoli dei libri sui quali, tra i tanti che
leggeva, poi desiderava discutere.
Ma l’aspetto che più mi preme
ricordare di lui è quello della rigorosità di quell’impegno etico e
sociale che ha portato anche fuori dai teoricamente ovattati ambienti
delle gare, per applicarlo nel ben più caotico mondo di ogni giorno in
cui le regole non solo spesso non sono rispettate, ma, non tanto
raramente, non sono neppure scritte, né tantomeno condivise. E lo ha
sempre fatto con uno sguardo e un sorriso accogliente, con una
delicatezza di approccio che restava tale anche se e quando le
divergenze con il suo interlocutore erano profonde.
Di politica e società si discuteva
spesso durante pranzi e cene in compagnia, mentre si avvertivano sempre
più distintamente gli scricchiolii che preannunciavano il crollo di
molte certezze democratiche del nostro Paese. Nel 2002, uscendo da una
libreria, mi chiese se ritenevo possibile che ci si limitasse soltanto a
parlare e a criticare quello che stava accadendo nel nostro Paese con
il dilagare del berlusconismo; se non fossimo colpevoli di una rinuncia a
impegnarci , per quel che potevamo fare, a tentare di impedire
l’aggravarsi del disastro. Mancava poco più di un anno alle elezioni
regionali del 2003 e, su spinta di Franco, dopo un paio di
affollatissime riunioni in un’osteria che ci lasciava una stanza libera
per discutere, nacque il Movimento Propositivo che da quel momento
continuò a organizzare discussioni e incontri non per propagandare il
nome di un candidato, ma per testimoniare, parlando e ragionando, la
validità di un programma di centrosinistra.
Ovviamente nessuno tenta di
attribuirsi meriti che non ha, ma sta di fatto che il Movimento
Propositivo, con le sue donne e i suoi uomini, è stato una costante di
quella campagna elettorale e che Franco Colle ne è sempre stata l’anima
fino alle elezioni che hanno visto il successo di Riccardo Illy contro
Alessandra Guerra.
Poi l’esaurirsi di gran parte della
spinta dei vari movimenti e il successivo ritiro, anche per motivi di
salute, di Franco dall’attività diretta, ma mai da quella del ragionare e
dello spronare a far sì che la volontà popolare sia capace di pungolare
la politica.
Perché Franco, oltre al rigore
etico, non dimenticava mai che il suo contagioso desiderio era quello di
veder nascere e irrobustirsi una comunità che non si sentisse tale solo
in momenti tristi come questo, ma che pensasse davvero che soltanto
insieme, soltanto chiamando a lavorare unitamente tutti, anche e
soprattutto gli esclusi, ci si sarebbe potuti nuovamente chiamare, a
pieno titolo, “umanità”.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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