Qui non si
tratta più di rassegnarsi a una sconfitta comunque quasi scontata. In
questo caso la sconfitta – anche se è difficile dirlo – in realtà è
auspicabile. Perché una cosiddetta vittoria conseguita grazie ad
alchimie di alleanze sempre più spericolate e sempre meno politiche non
farebbe altro che conficcare un’altra dozzina di chiodi sulla bara del
centrosinistra, mentre una sconfitta finalmente potrebbe dare – e
sottolineo che sto usando il condizionale – una scossa per far rinascere
un centrosinistra di fatto e non di nome. E, dicendo questo, non penso
soltanto al bene della sinistra, ma dell’intero Paese perché l’Italia,
al di là dei risultati elettorali ha assoluto bisogno di una sinistra
illuminata che sappia coniugare i principi di uguaglianza, giustizia
sociale, solidarietà, accoglienza e dignità. Come del resto ha bisogno
anche di una destra illuminata che sia in grado di mantenere alti i
concetti del conservatorismo e delle differenze sociali senza scadere in
concetti come quelli del razzismo, dell’egoismo, del nazionalismo, del
diritto del più forte nei confronti del più debole.
Ma a me interessa della sinistra e,
sapendo bene che in questo momento il centrosinistra non può vincere
senza il PD, mi convinco sempre di più che con questo PD non si può
stare e che, quindi sia più opportuno cercare di sfruttare al meglio,
lavorando per un futuro il più possibile prossimo, un’inevitabile
sconfitta.
Parole senza senso, le mie? Forse,
ma al di là di tutto quello che è successo e del fatto che non si
possono dimenticare né il 4 dicembre 2016, né leggi come il Jobs Act, o
la Buona scuola, o quel moncherino criticato anche dall’Europa e
chiamato Legge sulla tortura, tanto per citarne soltanto tre, vi invito a
riflettere su un altro paio di cose.
Alla Festa dell’Unità (avvilente
umorismo involontario) di Bologna, gli organizzatori hanno distribuito
un questionario nel quale, dopo tante domande generiche, si chiede ai
frequentatori dell’appuntamento se è meglio che il PD si allei con Beppe
Grillo, con il centrodestra, o (terza e ultima opzione) con la
sinistra.
I dirigenti del PD bolognese lo
descrivono come «una bella scelta di democrazia» e non si rendono
neppure più conto che una scelta politica dovrebbe corrispondere a un
progetto che dovrebbe a sua volta discendere da una scelta ideale, anche
se non più ideologica. Trattano l’avvenire dell’Italia come se fosse un
problema di preferenza tra tortellini, pasticcio o spaghetti, in cui
tutte e tre le cose sono capaci di nutrire il commensale in maniera sana
e in cui i dubbi possono dipendere soltanto dai gusti personali ed
eventualmente da un veloce calcolo delle calorie.
Chiedere agli elettori quale linea
politica preferirebbero fosse scelta dal loro partito non è ricerca di
democrazia, ma semplicemente caccia al voto andando a promettere quelle
alleanze (sempre ammesso che le controparti siano poi disposte a
sottoscriverle) che siano capaci di soddisfare il maggior numero di
coloro che poi potrebbero votare PD.
Sottoporre agli elettori un
questionario simile, infatti, significa rovesciare completamente la
realtà. Secondo l’articolo 49 di quella nostra Costituzione che dal PD
renziano non è amata svisceratamente, «tutti i cittadini hanno diritto
di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale», ma tenendo ben
presente che i partiti politici possono essere definiti come
associazioni di persone che hanno le stesse idee e gli stessi interessi e
che, quindi, prendono parte, sono partigiani e, attraverso
un’organizzazione stabile, hanno l’obiettivo di influenzare l’indirizzo
politico del Paese. Quindi le principali funzioni dei partiti politici
in Italia, come in tutti gli altri Paesi democratici, sono quattro:
hanno il compito di “formare” gli elettori dal punto di vista ideologico
e politico; di selezionare i candidati da presentare nelle liste
elettorali; di inquadrare gli eletti con la disciplina e la coerenza di
partito; e di garantire la comunicazione tra elettori ed eletti tra un
elezione e l’altra.
Qui, invece, non si formano gli
elettori, ma neppure si viene formati da loro perché il concetto di
forma è qualcosa di stabile e ben definito, mentre il partito, secondo
questo nuovo concetto, è totalmente plastico e flessibile, ben
disponibile a cambiare forma, e anche contenuto, a seconda delle
convenienze. La realtà è che non si tratta più di partiti politici, ma
di puri e semplici comitati elettorali. E, personalmente, se sono pronto
a spendere tempo e impegno per difendere un ideale, non sono
assolutamente disponibile a farlo per garantire l’elezione a un uomo, o a
una donna, che hanno come primo obbiettivo la gestione del potere e non
la ricerca del bene dei cittadini che a lui, o a lei, si sono affidati.
Dicono anche che, però, si dovrebbe
dare spazio a iniziative come quelle di Pisapia che operano più
sull’inclusione che sull’esclusione. Si tratta di una formula
affascinante che, però, mostra subito la corda in quanto non proprio
tutto può essere incluso, soprattutto se alcuni ideali da tentar di
tenere insieme sono addirittura divergenti. In più anche la coerenza è
un valore importante soprattutto se non si vuole prendere in giro gli
elettori che si vorrebbe convincere a votare per sé. Per venire alla
cronaca, Pisapia non può dire che «È evidente che Alfano è incompatibile
con il centrosinistra» e poi, un paio di giorni dopo, fare un’alleanza
per le elezioni siciliane alla quale partecipa proprio Alfano. O,
meglio, lo si può dire, ma senza pretendere di parlare ancora di
centrosinistra. E anche senza ipotizzare di diventare la guida che
riporterà in primo piano i valori del centrosinistra.
Una cosa simile l’ha già fatta Renzi
e i fatti sono lì a dimostrare che sono centinaia di migliaia di
iscritti al PD, di simpatizzanti e di votanti che da quel partito si
sono allontanati con la piena coscienza che era diventato un altro
partito. Assolutamente legittimo, ma assolutamente non di
centrosinistra.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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