Devo
ammettere che non mi è facile commentare la tappa udinese di Giuliano
Pisapia, perché l’unità del centrosinistra è cosa che personalmente
sogno ormai da decenni, ma mi sembrerebbe sbagliato esimermi dal
palesare le mie sensazioni. E lo faccio proprio raccogliendo una delle
tante sollecitazioni lanciate dall’ex sindaco di Milano; forse la più
condivisibile, ma probabilmente anche la più pericolosa: «Una delle
chiavi fondamentali per unirci – ha detto – è quella di parlare chiaro.
Poi ci potremo scontrare, ma è anche l’unico modo per individuare i
punti di contatto e per smussare gli spigoli che rischiano di
lacerarci».
Allora, se bisogna parlare chiaro,
la prima cosa da sottolineare è che, tentando di non spezzare
ulteriormente prima di tentar di incollare, è rimasta assolutamente
nebulosa la sostanza del progetto: il con chi, il come, il con quali
regole. Perché non basta pensare a un'alleanza aperta, chiamata Campo
Progressista, per essere sicuri di fare cose di sinistra. Intanto perché
un’alleanza., se è aperta, lo è sia in entrata, sia in uscita (e, in
questo senso, abbiamo già abbondantemente dato). Poi perché, prima, è
necessario rispondere a una domanda fondamentale: cosa intendiamo per
sinistra, se davvero intendiamo tentare di unirla?
Tento di spiegarmi. Sono
perfettamente d’accordo con Pisapia sul fatto che bisogna unire e non
dividere e dico anche che non ho il minimo dubbio sul fatto che nella
politica siano necessari dei compromessi in quanto la politica è un
ininterrotto susseguirsi di avvicinamenti reciproci per trovare
mediazioni accettabili dalle varie parti in causa al fine di raggiungere
soluzioni che facciano il bene dell’intera società. Però, uno dei punti
fondamentali nella ricerca di compromessi che mantengano la sostanza
nobile del termine e non quella deteriore, consiste nel fatto che
bisogna aver ben chiari quelli che potremmo definire i propri confini
etici: fin dove si può arrivare senza tradire i propri valori? Cos’è
lecito e cosa non lo è? Senza risposte precise a questi interrogativi i
compromessi sono destinati a diventare sconfitte, o – peggio –
compravendite, se non cessioni.
Ed è importante anche annotare il
fatto che normalmente i confini individuali racchiudono territori molto
più stretti di quelli delimitati dai confini collettivi di un gruppo,
come può essere un partito politico. Ma è evidente che, se un cittadino
può decidere di appaltare alcune sue scelte ad altri (si chiama
democrazia rappresentativa) se i patti sono ben chiari, è altrettanto
palese che questa delega non può funzionare e viene immediatamente
ritirata se quei confini di cui parliamo diventano steccati etici
vaganti più che vaghi. È semplicemente questa la storia dei milioni di
voti perduti dal centrosinistra anche e soprattutto in quelle regioni
che erano considerate “rosse” e che, quindi, erano quelle in cui più
radicati erano i valori di uguaglianza, libertà e solidarietà.
Allora, possiamo anche –
faticosamente, lo ammetto, ma sinceramente – soprassedere al fatto che
sia uno che si è schierato con il sì al referendum del 4 dicembre a
parlare di valori di quella democrazia che la riforma costituzionale
voleva scambiare, almeno in parte, con quella che chiamavano “maggiore
governabilità”, ma non è possibile dimenticare – tanto per fare un solo
esempio – che il Jobs Act e la cancellazione dell’articolo 18 hanno
sconfinato ampiamente dai compromessi non soltanto possibili, ma
addirittura immaginabili. E non basta che oggi una giovane
rappresentante di uno dei sindacati che ha appoggiato quel massacro
faccia finta di dimenticarsene e parli di errore.
Come pure non appare possibile che
si parli dell’importanza del più grosso partito di centrosinistra senza
chiedersi se davvero è rimasto di centrosinistra, visto che una sua
enorme parte – di dirigenti, ma anche di semplici elettori – lo ha
abbandonato perché non lo ritiene più tale. E questa sensazione non è
certamente cambiata dopo la plebiscitaria conferma di Renzi alla
segreteria. E, ancora, appare inutile far finta di non sapere che lo
stesso Renzi ritiene di aver diritto, avendo vinto le primarie del suo
partito, di essere il candidato di tutto il centrosinistra.
È vero che il popolo di sinistra non
aspetta altro che sentir parlare concretamente di unità e che, per
rendere possibile ciò, è disposto ad ascoltare per un po’ anche persone
che chiaramente, più che parlare del centrosinistra, sono già entrati in
una loro anticipatissima campagna elettorale. Ma, se davvero si vuole,
come ha detto Pisapia, «riuscire a parlare ai tanti disillusi che non
sono più andati a votare, o hanno votato turandosi il naso e restituire
l’entusiasmo di fare politica agli italiani di sinistra che l’hanno
perso», quegli steccati etici invalicabili devono essere ben chiari per
tutti.
E deve anche essere molto chiaro il
fatto che importanti sono gli ideali e non le persone, ma che se una
persona ha fatto di tutto per calpestare e distruggere quegli ideali,
allora quella persona deve starsene da un’altra parte. Altrimenti
saranno sempre di più quelli che si allontaneranno.
So che appare difficile crederlo, ma
sinceramente questo vuole essere un contributo costruttivo, e non
distruttivo, a chi vuole ricostruire il centrosinistra. In quanto la
speranza è comune e perché senza quella chiarezza che lui stesso invoca,
anche lo sforzo di Pisapia sarebbe già arrivato al capolinea.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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