Della vittoria
di Podemos nelle elezioni amministrative di Barcellona e Madrid sono
ovviamente contento anche e soprattutto in proiezione verso le elezioni
politiche spagnole di novembre che potrebbero far cambiare ulteriormente
alcuni atteggiamenti europei, ma quello che più mi ha piacevolmente
colpito è il commento del leader di Podemos, Pablo Iglesias, a spoglio
concluso: «Il risultato delle elezioni di oggi segna l’inizio della fine
del bipartitismo in Spagna» e «il cambiamento ora è irreversibile».
Insomma, è un primo serio colpo non
soltanto filosofico, ma concreto, al mito del bipartitismo che tanto
affascina una grande parte della politica italiana e che finora ha posto
soltanto le basi per distruggere quello che il tanto vituperato
multipartitismo era riuscito a costruire prendendo un’Italia che era
soltanto un cumulo di macerie belliche e trasformandola in pochissimi
decenni non soltanto in uno dei Paesi industrialmente più potenti del
mondo, ma anche, in contemporanea, in una delle nazioni socialmente più
avanzate. Oggi, in entrambe le classifiche siamo scesi molto all’ingiù.
Se davvero il successo di Podemos
mette in crisi il concetto di bipartitismo in Spagna, figuriamoci cosa
potrebbe fare un simile successo in Italia contro il sogno renziano di
quel “Partito Nazionale”, unico e potentissimo che nessuna nazione che
abbia già avuto esperienze di dittatura – Spagna e Germania in testa –
potrebbe mai accettare e che un governo che ha già scarsi concetti di
democrazia, al di là della pura conta dei voti quando conviene, potrebbe
rendere letale per la nostra democrazia, appunto.
Del resto, è sempre lo stesso Renzi a
sognare un sindacato unico che dovrebbe arrivare al teorico scontro con
il governo già sfibrato e annacquato dalle preventive trattative
interne tra le sue varie anime. Il tutto, mentre Draghi, pensando
soltanto ai bilanci delle aziende, delle banche e degli Stati, invita i
Paesi europei a spingere sulla contrattazione aziendale privilegiandola
rispetto a quella nazionale e, quindi, indebolendo tutti i lavoratori,
anche quelli che tanto deboli ancora non erano. Davanti a simili
posizioni non molti anni fa le strade e le piazze si sarebbero riempite
quasi spontaneamente per la protesta: oggi si registrano posizioni
intransigentemente negative di Camusso (Cgil), Landini (Fiom),
Barbagallo (Uil), mentre Furlan (Cisl) resta sempre più defilata e nelle
varie periferie i concetti di Renzi e Draghi sembrano non sollevare
eccessiva indignazione.
Vorrei ribadire, pur molto
grezzamente per ragioni di spazio, un vecchio concetto: il maggioritario
va decisamente bene alla destra, dove l’arrivo di un capo che decide
per tutti è considerata una benedizione; il proporzionale è il sistema
di voto della sinistra in cui nessuno rinuncia in partenza a pensare, ma
– salvo alcune deprecabili eccezioni – è poi disposto a collaborare per
raggiungere obbiettivi comuni.
Costruire nuove realtà politiche
restando attaccati ai vecchi capi che amano il decisionismo, o, al
contrario, escludendo in partenza dialoghi sia pur difficilissimi, non
può che rendere ancor più lisce le strade scelte da gente come Renzi e
come Draghi.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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