Sembra quasi che
il principio del rovesciamento della realtà sia diventato, a tutti i
livelli e in tutto il mondo, uno dei pilastri su cui si regge quella che
ci ostiniamo a chiamare politica, senza neppure specificare che
dell’etimologia originale rimane ormai ben poco.
Prendete, per esempio l’Unione
Europea e il caso legato al ministro greco delle Finanze, Janis
Varoufakis che, a un mese di distanza, ha rivelato che nel vertice di
Riga nessuno lo aveva mai accusato di essere «dilettante, perditempo e
giocatore d’azzardo» e che, come prova, può presentare una registrazione
completa dell’intera seduta. Gli ha risposto lividamente il presidente
dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbleom non confutando minimamente la
smentita di Varoufakis, ma accusando il greco di aver registrato una
seduta riservata il cui contenuto non può essere né registrato, né
diffuso. Al di là della stranezza del fatto che Dijsselbleom non ritenga
importante che qualcuno, tramite la stampa di mezzo mondo, abbia
diffamato Varoufakis, e, quindi uno Stato membro, è interessante notare
che lo stesso Dijsselbleom non si era minimamente sognato di dire che il
contenuto di un vertice non poteva essere diffuso quando qualcun altro
aveva diffuso false notizie sulla pretesa umiliazione di Varoufakis.
Per venire all’Italia, molto
colpisce l’uscita del ministro dell’Economia Carlo Padoan che ha
accusato la Corte costituzionale di non aver valutato il buco che si
sarebbe prodotto nel bilancio dello Stato quando ha dichiarato
illegittima la legge sul blocco della rivalutazione delle pensioni. Al
di là del fatto che la Corte costituzionale è un organo dello Stato
istituito appositamente per sorvegliare che non sia tradita la
Costituzione e non per sorvegliare i pareggi di bilancio, e che una tale
disinvoltura istituzionale da parte di un ministro spiega
abbondantemente come il declino democratico di questo Paese appaia
sempre più pronunciato, a Padoan non viene in testa che, accusando la
Consulta, sta rovesciando la realtà? Non sarebbe stato il caso, invece,
di accusare il governo Monti e i suoi ministri di non aver consultato
attentamente la Carta fondamentale prima di adottare una legge che, in
questa forma, ha degli evidenti riflessi di illegittimità e che avrebbe
potuto ottenere gli stessi obbiettivi con una stesura diversa – legata
non alla rivalutazione, ma alla fiscalità – che avrebbe, però, fatto
dispiacere ai ceti più abbienti, quelli più vicini a quel governo? E
che, comunque, la legittimità costituzionale dichiarata da una
commissione parlamentare – e quindi politica e usa a obbedire ai
capipartito – non è proprio una garanzia di obbiettività di giudizio
costituzionale?
Ma, forse, è proprio un problema di
comprensione di quello che si sta dicendo, perché altrimenti non si
capirebbe come Renzi possa affermare che lui «non prende lezioni da
nessuno sulla legalità», proprio durante un'iniziativa elettorale con il
candidato alla Presidenza della Campania, Vincenzo De Luca, affermando
poi, più tardi, in tv, che il Pd è pulito mentre sono sporche le liste
che lo affiancano e sostengono. In pratica, che per lui basta non rubare
per poter vivere tranquillamente a fianco di ladri, senza denunciarli.
E, infatti, sulla comprensione,
finisce per ammettere: «Non capisco Cgil,Cisl e Uil. Spero che prima o
poi si arrivi al sindacato unico». Renzi, infatti, preferirebbe anche un
partito unico – lo chiama Nazionale – sempre a patto che alla guida di
quel partito ci fosse ovviamente lui. La quasi totalità degli italiani,
invece, di partiti unici non vuol più sentir parlare. Se almeno la
maggior parte di loro decidesse di tornare a votare e di non astenersi
più, allora probabilmente di Renzi avremmo soltanto un ricordo e il
centrosinistra potrebbe ricostruire un partito che sia tale non soltanto
di nome, ma anche di fatto.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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