Merita tornare per un momento sulla notte di Lampedusa, quella in cui 527 profughi sono stati strappati al mare da forze dell’ordine, volontari, semplici cittadini in uno sforzo di disinteressata solidarietà che, grazie anche alla bravura narrativa dei miei colleghi, ci ha fatto inumidire il ciglio.
Ebbene, mentre tutti si affannano a dire che di quella notte dobbiamo gloriarci perché gli italiani sono generosi, danno il meglio di sé nei momenti più tragici, e così via con i consueti luoghi comuni laudativi che ci riguardano, io credo che di quella notte dovremmo vergognarci. Non per quello che è stato fatto da tanta brava gente in quelle ore, ovviamente, ma per quello che non è stato fatto prima, per quello che noi non abbiamo fatto prima per impedire che si arrivasse alle condizioni che hanno reso possibile si verificasse sia quella strage sfiorata, sia le tante altre stragi che sono accadute davvero.
Perché è colpa nostra se abbiamo permesso che leghisti e altri razzisti ed eterofobi in genere potessero dare vita a leggi che continuano a creare i presupposti di queste tragedie; se abbiamo consentito che dagli altri Paesi del mondo ci considerino tra i peggiori esempi di accoglienza, Malta esclusa; se dobbiamo gloriarci dell’eroismo di pochi per sperare di lavare la coscienza di una nazione intera.
È stata colpa nostra ed è una colpa che si rinnova ogni volta in cui non reagiamo con evidenza e forza davanti a qualcuno che maltratta un altro essere umano soltanto perché ha pelle, lingua, o vestiti diversi dai nostri; davanti a chi fa discorsi schifosi e inaccettabili, anche al bar, anche se non lo conosciamo minimamente e pronuncia frasi inaccettabili. È colpa nostra se pensiamo che le nostre emozioni debbano restare nel chiuso della nostra anima e che non debbano essere rese palesi a tutti quelli che ci circondano per ridare dignità ai nostri valori, alle nostre convinzioni, per far capire che la passione esiste ancora e che deve tornare anche a innervare la politica.
Dovremmo prendere lezioni da Napolitano che non si è vergognato del fatto che la sua voce si sia rotta parlando dei magistrati uccisi dal terrorismo e di quegli schifosi che pubblica, pagano e ispirano l’assalto alla Giustizia paragonando i giudici ai brigatisti.
Credo davvero che dovremmo imparare nuovamente a piangere quando c’è da piangere e a urlare quando c’è da urlare.
Forse sarebbero molti di più a capire quello che vogliamo dire. E magari anche a crederci, o almeno a essere indotti a controllare qual è la verità al di là di alcuni telegiornali totalmente privi di notizie scomode per chi detiene il potere.
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