Il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoé, afferma in pubblico che gli sarà molto difficile avere rapporti cordiali con il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, perché non può sentirsi in alcun modo vicino a chi ha accettato che la sua elezione e altre sue apparizioni fossero festeggiate da molti con il saluto fascista. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ribadisce che è intollerabile che taluni denigrino e offendano la lotta partigiana che è stata fondamentale per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo e molti giornali danno ampio rilievo a questa frase, mentre altri la ignorano, o la affogano tra le miriadi di notizie che riempiono un quotidiano.
Come sempre ci si avvicina al 25 aprile pensando, sessant’anni dopo, di non doverne più parlare. E, invece, ci si rende conto che parlarne ancora non è assolutamente demodé: anzi, ricordarne origini e significato è un dovere e partecipare alle manifestazioni in suo onore è un obbligo di testimonianza.
Perché il 25 aprile, la giornata che celebra la Resistenza non è una festa di tutti. È nata ricordando una profonda divisione tra gli italiani – da una parte fascisti e nazisti e dall’altra coloro che volevano libertà e democrazia – ed esiste per ricordare questa contrapposizione che non è assolutamente da vituperare, né da dimenticare, ma, anzi, è da tenere ben cara perché, fin quando il ricordo di questa contrapposizione vivrà, vorrà dire che esistono ancor vitali anticorpi contro la perdita della democrazia.
Curioso ma non divertente, poi, che il valore della Resistenza sia riscoperto soltanto oggi da coloro che, nella mitologia politica attuale, pensano di essere ormai riusciti a convincere la maggior parte degli italiani che i fascisti non esistono più mentre i comunisti esistono ancora.
Il fatto è che la Resistenza non è di tutti. Anche se sono tanti quelli che hanno tentato e tentano di mescolare le carte puntando a mettere sullo stesso piano coloro che al fascismo si sono opposti e quelli che il fascismo hanno sostenuto. Un’operazione inammissibile e non perché i primi abbiano vinto la guerra e i secondi l’abbiano perduta, ma perché il fascismo è stato le leggi razziali, le spedizioni di aggressione coloniale, l’ingresso in guerra a fianco dell’orrore nazista, l’uccisione di Matteotti, dei fratelli Rosselli, di Amendola e di tanti dissidenti, l’invio al confino – e non in vacanza – di molti che si opponevano perché si rifiutavano di smettere di pensare; è stato la soppressione della libertà di stampa, l’eliminazione della maggior parte dei diritti civili, la dissuasione violenta nei confronti del libero pensiero.
Perché il fascismo è stata la negazione dell’umanità mentre la Resistenza, di quella stessa umanità, è stata la più alta affermazione laica.
La Resistenza non è soltanto di chi l’ha combattuta, ma anche di chi ha saputo farne tesoro, tra cui anche, con buona pace di chi quotidianamente dice il contrario, i comunisti italiani che subito dopo aver finito di combattere, si sono messi assieme a popolari cristiani, socialisti e liberali a edificare concordemente quella Costituzione che ancora oggi è una delle più avanzate del mondo e che è riuscita a creare una mirabile architettura di pesi e contrappesi che qualcuno oggi vorrebbe disequilibrare nel nome di quella cosiddetta “governabilità” che in realtà significa soltanto riduzione dei controlli.
Il 25 aprile serve per ringraziare coloro che per la nostra libertà hanno sacrificato la gioventù e spesso la vita. Anche i comunisti, ma non i fascisti. Serve per guardare al frutto della Resistenza che si estrinseca nella nostra Costituzione. Serve per ricordare chi ha difeso questa Costituzione e i suoi valori; chi ha saputo trasformare quel drammatico modo di vivere e combattere in pacifica pratica quotidiana difendendo la libertà, la democrazia, il lavoro, l’uguaglianza, la dignità, la solidarietà; battendosi per i diritti umani di tutti e non soltanto di determinati, pur vastissimi, gruppi razziali, religiosi o economici; ripudiando la guerra.
La Resistenza non è e non sarà mai di chi a questi valori – anche a uno soltanto di questi valori – si oppone. Di chi può avere le sue idee, ma non può pretendere di impadronirsi anche degli ideali altrui.
La scorsa settimana, parlando con Loris Mazzetti al Festival dell’inchiesta di Pordenone, ho detto che il partigiano Enzo Biagi sui monti dell’Appennino emiliano ha compreso l’enorme valore del “diritto di resistenza” e ne ha fatto tesoro tanto da elaborarlo in “dovere di resistenza” in ogni giornata della sua vita personale e professionale. Il 25 aprile non può appartenere contemporaneamente a Enzo Biagi e a chi lo ha fatto cacciare dalla Rai con un editto dalla Bulgaria.
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