Tra le tante cose strane che si sono sentite sulla manifestazione romana della Cgil, una mi ha colpito particolarmente: che – hanno accusato i politici del centrodestra e il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni – la manifestazione non è stata sindacale, bensì politica.
Una volta, con una politica che si reggeva su un sistema elettorale proporzionale, questa accusa poteva anche reggere perché tante erano le sfumature di pensiero che una presa di posizione netta faceva impressione. Oggi, con il maggioritario, tutto è cambiato: o sei di qua, o sei di là. Non esiste più una posizione mediana. E, allora: perché si parla di manifestazione sindacale politica? E perché non si parla di inerzia sindacale politica? Di acquiescenza sindacale politica? Di pace sindacale politica? Perché deve essere interpretata politicamente soltanto la lotta e non il silenzio?
Il fatto è che accettare questa logica di identificare tutto e il contrario di tutto con un atteggiamento politico, nel senso di schieramento partitico, vorrebbe dire realizzare un ingabbiamento che immobilizzerebbe e ucciderebbe il sindacato impedendogli qualsiasi presa di posizione.
Invece da questa logica devono assolutamente sfuggire i concetti di solidarietà e di libertà che sono sempre stati alla base del sindacalismo e che, nei decenni, hanno permesso di migliorare di molto le condizioni di vita dei lavoratori.
E spuntata mi appare anche l’accusa rivolta alla Cgil di appiattirsi sulle posizioni del centrosinistra e di osteggiare le idee del centrodestra. Accade esattamente il contrario: è il sindacato ad avere una propria concezione sulla difesa e la progressiva emancipazione – perché in tanti casi ancora di emancipazione si tratta – e sono i partiti politici ad accettare o a rifiutare questa posizione. Se al centrosinistra sembra più logico essere vicino all’idea della Cgil di preoccuparsi per chi sta peggio e non arriva a fine mese, mentre per il centrodestra questo è secondario rispetto alla sofferenza delle aziende, il problema non è della Cgil, bensì dei politici.
Che poi le accuse alla Cgil arrivino non soltanto da ministri, sottosegretari, senatori e deputati del centrodestra, ma anche da Bonnani, questo è un fatto che lascia l’amaro in bocca e che ci fa chiedere come mai Bonanni ritenga di non essere lui stesso a prendere posizioni politiche.
Inoltre il richiamare i lavoratori a esprimere tutti insieme le proprie posizioni – diciamolo pure, politiche – ha anche un grande valore sociale perché, in un’epoca i cittadini non possono più nemmeno esprimere le preferenze su chi dovrebbe rappresentarli in Parlamento, permette la sopravvivenza di una delle pochissime agorà democratiche ancora esistenti nella sostanza.
Ed è una cosa talmente importante che – per dare un segno tangibile dell’utilità che le attribuisco – ho intenzione di chiedere un secondo tesseramento sindacale: oltre all’iscrizione alla Federazione nazionale della stampa, se mi sarà concesso, vorrei essere iscritto anche alla Cgil.
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