giovedì 4 maggio 2017

Compromessi e confini

Devo ammettere che non mi è facile commentare la tappa udinese di Giuliano Pisapia, perché l’unità del centrosinistra è cosa che personalmente sogno ormai da decenni, ma mi sembrerebbe sbagliato esimermi dal palesare le mie sensazioni. E lo faccio proprio raccogliendo una delle tante sollecitazioni lanciate dall’ex sindaco di Milano; forse la più condivisibile, ma probabilmente anche la più pericolosa: «Una delle chiavi fondamentali per unirci – ha detto – è quella di parlare chiaro. Poi ci potremo scontrare, ma è anche l’unico modo per individuare i punti di contatto e per smussare gli spigoli che rischiano di lacerarci».

Allora, se bisogna parlare chiaro, la prima cosa da sottolineare è che, tentando di non spezzare ulteriormente prima di tentar di incollare, è rimasta assolutamente nebulosa la sostanza del progetto: il con chi, il come, il con quali regole. Perché non basta pensare a un'alleanza aperta, chiamata Campo Progressista, per essere sicuri di fare cose di sinistra. Intanto perché un’alleanza., se è aperta, lo è sia in entrata, sia in uscita (e, in questo senso, abbiamo già abbondantemente dato). Poi perché, prima, è necessario rispondere a una domanda fondamentale: cosa intendiamo per sinistra, se davvero intendiamo tentare di unirla?

Tento di spiegarmi. Sono perfettamente d’accordo con Pisapia sul fatto che bisogna unire e non dividere e dico anche che non ho il minimo dubbio sul fatto che nella politica siano necessari dei compromessi in quanto la politica è un ininterrotto susseguirsi di avvicinamenti reciproci per trovare mediazioni accettabili dalle varie parti in causa al fine di raggiungere soluzioni che facciano il bene dell’intera società. Però, uno dei punti fondamentali nella ricerca di compromessi che mantengano la sostanza nobile del termine e non quella deteriore, consiste nel fatto che bisogna aver ben chiari quelli che potremmo definire i propri confini etici: fin dove si può arrivare senza tradire i propri valori? Cos’è lecito e cosa non lo è? Senza risposte precise a questi interrogativi i compromessi sono destinati a diventare sconfitte, o – peggio – compravendite, se non cessioni.

Ed è importante anche annotare il fatto che normalmente i confini individuali racchiudono territori molto più stretti di quelli delimitati dai confini collettivi di un gruppo, come può essere un partito politico. Ma è evidente che, se un cittadino può decidere di appaltare alcune sue scelte ad altri (si chiama democrazia rappresentativa) se i patti sono ben chiari, è altrettanto palese che questa delega non può funzionare e viene immediatamente ritirata se quei confini di cui parliamo diventano steccati etici vaganti più che vaghi. È semplicemente questa la storia dei milioni di voti perduti dal centrosinistra anche e soprattutto in quelle regioni che erano considerate “rosse” e che, quindi, erano quelle in cui più radicati erano i valori di uguaglianza, libertà e solidarietà.

Allora, possiamo anche – faticosamente, lo ammetto, ma sinceramente – soprassedere al fatto che sia uno che si è schierato con il sì al referendum del 4 dicembre a parlare di valori di quella democrazia che la riforma costituzionale voleva scambiare, almeno in parte, con quella che chiamavano “maggiore governabilità”, ma non è possibile dimenticare – tanto per fare un solo esempio – che il Jobs Act e la cancellazione dell’articolo 18 hanno sconfinato ampiamente dai compromessi non soltanto possibili, ma addirittura immaginabili. E non basta che oggi una giovane rappresentante di uno dei sindacati che ha appoggiato quel massacro faccia finta di dimenticarsene e parli di errore.

Come pure non appare possibile che si parli dell’importanza del più grosso partito di centrosinistra senza chiedersi se davvero è rimasto di centrosinistra, visto che una sua enorme parte – di dirigenti, ma anche di semplici elettori – lo ha abbandonato perché non lo ritiene più tale. E questa sensazione non è certamente cambiata dopo la plebiscitaria conferma di Renzi alla segreteria. E, ancora, appare inutile far finta di non sapere che lo stesso Renzi ritiene di aver diritto, avendo vinto le primarie del suo partito, di essere il candidato di tutto il centrosinistra.

È vero che il popolo di sinistra non aspetta altro che sentir parlare concretamente di unità e che, per rendere possibile ciò, è disposto ad ascoltare per un po’ anche persone che chiaramente, più che parlare del centrosinistra, sono già entrati in una loro anticipatissima campagna elettorale. Ma, se davvero si vuole, come ha detto Pisapia, «riuscire a parlare ai tanti disillusi che non sono più andati a votare, o hanno votato turandosi il naso e restituire l’entusiasmo di fare politica agli italiani di sinistra che l’hanno perso», quegli steccati etici invalicabili devono essere ben chiari per tutti.

E deve anche essere molto chiaro il fatto che importanti sono gli ideali e non le persone, ma che se una persona ha fatto di tutto per calpestare e distruggere quegli ideali, allora quella persona deve starsene da un’altra parte. Altrimenti saranno sempre di più quelli che si allontaneranno.

So che appare difficile crederlo, ma sinceramente questo vuole essere un contributo costruttivo, e non distruttivo, a chi vuole ricostruire il centrosinistra. In quanto la speranza è comune e perché senza quella chiarezza che lui stesso invoca, anche lo sforzo di Pisapia sarebbe già arrivato al capolinea.


Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

Nessun commento:

Posta un commento