sabato 31 marzo 2012

Democrazia di terzo grado

Probabilmente era scontato che dovesse finire così: con una cesura tra il governo Monti e una parte sempre crescente degli italiani. Non credo si tratti soltanto di un’intolleranza di tipo economico causata dal fatto che, al contrario dei posti di lavoro, le tasse sono aumentate, o perché sono sempre di più coloro che quelle stesse tasse sono costretti a pagarle. E non è neppure il rifiuto del ritorno a una sobrietà che da troppo tempo mancava dai palazzi di maggior potere. Ritengo, invece, che le motivazioni dello sfilacciamento di un idillio che sembrava solidissimo risiedano in una causa ben più nobile, anche se quasi inconscia: l’ancora profondo desiderio di tornare a una vera democrazia.
Non sto ovviamente dicendo che viviamo in un regime, ma è certo che ci troviamo in una specie di limbo laico, della cui esistenza ci si è cominciati a rendere conto quando anche le comunicazioni tra i vertici e le basi, e viceversa, sono diventate quasi indistinguibili, quasi fossero pronunciate in lingue diverse.
Non si tratta della tradizionale antipatia con cui vengono guardati i “professori”, che nella mente di chi non è più giovanissimo sono ancora gli unici giudici le cui decisioni sono insindacabili. È, invece, l’amore per la democrazia che, anche in un Paese smagato come l’Italia, torna a galla. Già il passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario aveva ulteriormente allontanato, e quindi reso meno sopportabile, la democrazia rappresentativa; poi il “Porcellum” aveva tolto ancor più significato all’aggettivo “rappresentativa”; infine il fatto che anche i cosiddetti rappresentanti del popolo fossero a loro volta rappresentati da altri ha reso praticamente impossibile la comunicazione, e quindi la comprensione, tra il popolo e chi lo governa e viceversa. Fino a perdere il senso di alcune prospettive consolidate, come il fatto che siano gli elettori a dover dare il voto agli eletti e non viceversa.
Si è passati, insomma, da una democrazia rappresentativa, e quindi di secondo grado, a una democrazia delegata. E quando la democrazia diventa di terzo grado inevitabilmente lascia in bocca l’amaro sospetto che in realtà si tratti di una democrazia sospesa in cui le cosiddette “richieste dei mercati” abbiano molta più voce in capitolo delle reali necessità dei cittadini.
Questa parentesi “tecnica”, però, almeno un merito ce l’ha, al di là del settore economico: quello di aver fatto riscoprire ai più che i valori sociali esistono ancora: possono essere di destra o di sinistra, cattolici o laici, ma ci sono ancora e spetta a tutti, ma soprattutto alla gente, il dovere di difenderli con vigore ricollocandoli nella posizione che loro spetta in questo nostro Paese.

mercoledì 21 marzo 2012

Diritto di veto

Monti dice alla Cgil: «Mi spiace, ma nessuno ha più il diritto di veto». È una bella frase, a effetto, ma se viene accompagnata anche dall’altra specificazione del presidente del Consiglio- «Sull’articolo 18 la trattativa è chiusa, basta esami» - dà un’idea abbastanza precisa di come molte siano le discontinuità tra l’era berlusconiana e quella montiana, ma non sull’uso strumentale delle parole, né soprattutto sul concetto che la democrazia – e quindi la discussione – venga considerata un po’ fastidiosa. È pur vero, infatti, che a un certo punto è la maggioranza – e quindi il parlamento - a decidere, ma è altrettanto incontestabile che dopo la decisione si può e si deve continuare a discutere. E che si può esprimere il proprio motivato dissenso anche a decisione in corso.
Parlare in questi termini di negazione del “diritto di veto” può apparire a prima vista una cosa saggia, ma in realtà non tiene conto del fatto che Susanna Camusso rappresenta il maggiore sindacato italiano e, quindi, milioni di lavoratori che hanno pieno diritto di tentare di difendersi. Perché è sulla pelle dei lavoratori che l’articolo 18 viene macellato. Proibire loro di dissentire sarebbe come sostenere che un uomo non ha diritto di opporsi a chi gli sottrae qualcosa perché nessuno ha il diritto di “veto”.
Il dietrofront di Bonanni e Angeletti non stupisce più di tanto perché testimonia la loro coerenza nell’essere politicamente sempre filogovernativi, a prescindere da chi sia al governo, ma voler anche imporre il silenzio a chi combatte per salvaguardare diritti conquistati con anni di lotte sindacali sembra davvero eccessivo.
E comunque, poi, resta la curiosità di capire perché questa frase non sia stata usata anche rivolgendosi alla Marcegaglia quando sosteneva che la Confindustria non avrebbe firmato un accordo che non le piaceva. Intendiamoci, la frase sarebbe stata comunque sbagliata, ma almeno sarebbe stata rivolta anche a coloro che non sono i più deboli e che, tra l’altro, qualche parte nella genesi di questa crisi ce l’hanno pure visto che in non piccola parte pretendevano che il mercato continuasse a girare mentre loro, licenziando, prepensionando e delocalizzando, gli toglievano buona parte di quel carburante necessario rappresentato dal denaro di stipendi che non ci sono più.

sabato 17 marzo 2012

Meglio poveri che schiavi

Monti, rivolegndosi ai sindacati dice: «Credo che in questi giorni avrò bisogno di chiamare ancora le forze sociali a uno spirito di coesione. Se veramente teniamo al futuro e crediamo gli uni negli altri, allora bisogna cedere qualcosa rispetto al legittimo interesse di parte».
Presidente, ma, visto che i sindacati sono, in realtà, i lavoratori, non le sembra che questa categoria abbia già ceduto abbastanza in posti di lavoro, stipendi, dignità e diritti in cambio di precarietà, disoccupazione, povertà e avvilimento? Non mi sembra che questa esortazione a "cedere qualcosa" sia stata fatta concretamente anche agli imprenditori e alle banche che, tutto sommato, qualche piccola parte in questo disastro ce l'hanno pure e che hanno riversato senza battere ciglio il loro "rischio d'intrapresa" sulle spalle di coloro che non possono partecipare né alle decisioni, né agli utili, ma soltanto, e in larga parte, alle perdite.
Curioso, poi, mi pare quel suo richiamo: «Se veramente crediamo gli uni negli altri...». Ma come si può credere agli "altri"? Il quasi ventennio berlusconiano è stato cancellato dalla memoria generale? E se questo fosse vero, come mai si parla di nuovo a palazzo Chigi di limitare l'azione dei giudici e le intercettazioni e di depenalizzare un reato come la concussione che - casualmente, è chiaro - riguarda il silente ma operoso ex presidente del Consiglio e i processi in cui è coinvolto e che sono ancora troppo lontani dalla prescrizione?
Presidente, non le viene il dubbio che, al di là della gratitudine per avere ridato all'Italia un volto presentabile all'estero (ma dopo Berlusconi ci sarebbe riuscito praticamente chiunque), e avere dato un po' di fiato a un'economia ancora asfittica, più d'uno potrebbe cominciare a pensare che è meglio essere poveri piuttosto che schiavi? Perché da poveri si può essere almeno liberi, mentre da schiavi si resta poveri comunque.

lunedì 12 marzo 2012

Bisogna ringraziare Alfano

Bisogna ringraziare Angelino Alfano, o, più probabilmente, Silvio Berlusconi che continua a tirarne le redini. Angosciati come eravamo per i problemi economici personali, collettivi e sovrannazionali e preoccupati perché Mario Monti non sembra curarsi molto degli intralci della democrazia pur di centrare i suoi obbiettivi "tecnici", ci eravamo quasi dimenticati dell'esistenza della politica, quella vera, che ogni tanto ha continuato a fare capolino quasi esclusivamente a causa delle estemporanee iniziative di quei rompiscatole de sindacalisti di sinistra che continuano a insistere a porre al centro dell'attenzione il problema del lavoro e, quindi, del benessere materiale e psicologico dei cittadini che in questa Italia vivono.
Bisogna ringraziare Alfano perché ci ha ricordato che la politica esiste ancora; magari nella sua forma deteriore, ma esiste ancora.
Dopo mesi di quasi assoluta sonnolenza si è svegliato per dire, in rapida sequenza, che non si deve parlare di giustizia e di Rai (argomenti sensibilissimi per il capo), che il PD non può permettersi di tracciare un'agenda politica (incombenza che evidentemente deve restare di stretta pertinenza berlusconiana), che se le elezioni fossero vinte dal centrosinistra in Italia ci sarebbero le nozze gay e le coppie di fatto.
Dal canto suo non pochi del PD hanno tentato di inserirsi sulla stessa linea di allontanamento della politica dal bene comune continuando a massacrarsi tra fratelli pur di conquistare piccoli privilegi personali o di corrente. Ma sinceramente bisogna ammettere che non è riuscito a reggere il paragone con il segretario del Pdl.
Ringraziare Alfano per tutto questo può sembrare irragionevole, se non addirittura stupido, ma va sottolineato con forza che una politica, per quanto cattiva, è sempre meglio di quell'assenza di politica che rivela inequivocabilmente anche l'assenza della democrazia. Il fatto è che qualcuno dovrebbe riuscire davvero a fare politica vera - e quindi virtuosa - perché tutti si ricordino del vero valore del regalo di libertà e democrazia che ci è arrivato dalla Resistenza.