sabato 27 novembre 2010

Un’esca nel mare di liquami

Bisogna ammetterlo: la Gelmini ha ragione quando dice che non capisce perché gli studenti protestino per difendere i “baroni” universitari. Intendo, ovviamente, che ha ragione quando dice che non capisce. Perché gli studenti salgono sui monumenti e sui tetti, scendono in strada, occupano facoltà, presidiano rettorati, dipingono cartelli di protesta, urlano slogan nei cortei non per difendere i baroni ma per contestare tutte le mille carognate che nella legge di riforma universitaria sono poste attorno a quell’unica norma che il ministro chiama in causa in ogni suo intervento.
Una norma, tra l’altro, che potrebbe anche essere approvata, ma è sicuramente debolissima, visto che si propone di abbattere il nepotismo diretto impedendo di partecipare ai concorsi di docenza a figli e parenti di docenti della medesima università, ma che non tocca né la possibilità del “posto di scambio” tra i parenti di docenti di università diverse, né quella del posto concesso all’amico proprio o di amici potenti. È una norma che rende un po’ più complicata la parentocrazia, ma non si sogna minimamente di andare a toccare l’essenza stessa dei concorsi e delle commissioni per cancellare quelle negatività che possono mettere in secondo piano la tanto sbandierata meritocrazia.
La Gelmini, curiosamente ma evidentemente, pensa davvero che gli universitari siano la parte meno intelligente del Paese se pensa di infinocchiarli presentando loro un’unica esca appetibile che galleggia in un mare di liquami, da portarsi a casa in un pacco unico, talmente velenosi che vanno a cancellare le autonomie economiche – e quindi scientifiche ed etiche – delle università. Quelle autonomie sancite dalla Costituzione.
Perché, secondo il disegno suo o di chi glielo ha dettato, appare evidente che le università dovrebbero essere costrette, per sopravvivere, a mettersi economicamente a disposizione delle industrie che così potranno indirizzare le ricerche dove meglio loro aggrada risparmiando anche le spese di laboratori scientifici interni. E le facoltà che alle industrie non interessano, che chiudano pure.
La storia insegna che è sempre da diffidare quando i re o gli imperatori dicono che i baroni vanno cancellati perché hanno troppo potere. Di solito questo succede perché vogliono andare a occupare anche quelle residue sacche di potere di cui finora non sono ancora riusciti a impadronirsi.
Ma vi sembra verosimile che davvero a Berlusconi, Gelmini, Brunetta, Bondi e compagnia interessi quella cultura che, secondo l’illuminato Tremonti, «non dà da mangiare»?

mercoledì 24 novembre 2010

Parole geneticamente modificate

Nella serata di Ballarò abbiamo sentito il principe dei mistificatori, ovviamente Silvio Berlusconi, che dava del mistificatore a Giovanni Floris per la trasmissione di un servizio nel quale si vedevano le immagini delle promesse fatte dal presidente del Consiglio sulla risoluzione in pochi giorni del problema dei rifiuti in Campania e in cui poi si mandava in onda la visione delle piramidi di immondizie che intasano le strade oggi. E l’ineffabile Berlusconi alzava la voce sostenendo che lui non aveva assolutamente mentito.
Ora, stante il fatto che anche il megalomane più spinto ben difficilmente può pensare di realizzare le cose soltanto promettendole o desiderandole, la spiegazione di una simile impudente e imprudente telefonata in diretta televisiva senza accettare qualunque forma di pur promesso contraddittorio, si può trovare soltanto nella convinzione che si possa impunemente e in eterno trasformare il significato delle parole, attività che il presidente del consiglio pro tempore ha splendidamente praticato in questi anni, abusando di termini come "libertà" e "amore", ma anche "lodo" e "fare" e, ovviamente, "democrazia" e "popolo" per far passare messaggi totalmente distorti utilizzando vocaboli ai quali ha finito per rubare l’originario dna per sostituirlo con un altro al fine di dare dare vita a PGM (parole geneticamente modificate) molto diverse - pur se apparentemente uguali - da quelle originali e create esclusivamente per essere funzionali ai suoi bisogni.
E questa mistificazione non viene fatta soltanto da lui e dagli specialisti Bonaiuti e Capezzone, ma da tutti i suoi accoliti. Prendete, per esempio, il direttore generale della Rai, Mauro Masi: oltre il 90 per cento dei giornalisti della Rai partecipa al voto di sfiducia nei suoi confronti e oltre il 90 per cento dei votanti lo sfiducia. La reazione di Masi è: «Vogliono intimidirmi». Per fortuna, questa volta, gli rispondono: «No. A nessuno interessa di intimidirti. Quasi tutti, invece, vogliono che tu te ne vada». Lui fa finta di niente, ma almeno non tenta più di mistificare con le parole il risultato.
Ecco, forse uno degli errori più gravi fatti da noi è stato quello di non essere puntiglioso nel difendere le parole dalle violenze di Berlusconi, dei berlusconiani e dei leghisti. Difendendo le parole avremmo difeso anche la comprensione effettiva di quello che stava succedendo e quindi avremmo difeso la democrazia e anche noi stessi.

lunedì 15 novembre 2010

Ignoranza costituzionale

Come sempre i momenti potenzialmente più pericolosi sono quelli in cui chi si rende conto di avere le spalle al muro pensa di non avere più nulla da perdere ed è disposto a intraprendere qualsiasi mossa avventata e pericolosa per gli altri pur di tentare di togliersi dalle panie di una rete che sta per imprigionarlo. E, riferendosi a Berlusconi, i vocaboli usati non sono casuali.
Il presidente del Consiglio pro tempore, infatti, le sta tentando tutte pur di riuscire a mantenere per sé quella sedia che lo mette momentaneamente al riparo da quei giudizi che non è ancora riuscito a impedire cambiando le leggi, o ritardando tanto i processi da farli cadere in prescrizione.
Minaccia, copiando Bossi, di far scendere in strada milioni di italiani per una sorta di guerra civile nel caso non restasse a capo del governo presente o prossimo che sia – e tenta di far perdere di valore la mozione di sfiducia presentata alla Camera, facendo presentare al Senato – dove conta di avere ancora una risicata maggioranza – una mozione di fiducia non si sa su cosa.
Poi vorrebbe che Napolitano sciogliesse soltanto la Camera, dov’è in minoranza, sperando che nuove elezioni gli diano una nuova maggioranza. Si appella all’articolo 88 della Costituzione che permette al Presidente della Repubblica di sciogliere uno solo dei due rami del Parlamento, ma dimentica sia che la prerogativa di scioglimento spetta esclusivamente al Presidente della Repubblica, sia che questa possibilità è stata usata una sola volta, nella seconda legislatura, quando il Senato interruppe anticipatamente il suo mandato, che allora era di sei anni, per permettere di appaiare costituzionalmente le durate dei due rami del Parlamento.
Quando Prodi godeva della maggioranza alla Camera, ma non al Senato, un’ipotesi di scioglimento a metà non fu nemmeno ventilato.
Ma nella sua ignoranza costituzionale Berlusconi è in ottima compagnia con i suoi ministri. Sacconi a Cividale ha detto «che gli italiani non possono essere espropriati del loro diritto di scegliere chi li guida». Ma il ministro non sa che il «chi li guida» costituzionale non è il presidente del Consiglio, bensì il Parlamento che a sua volta è formato dagli eletti le cui funzioni primarie sono fissate dall’articolo 67 della tanto trascurata Costituzione: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Il vero rischio è che a furia di sentire le baggianate di Berlusconi e dei suoi, aumentino quelli disposti a credere alla loro realtà virtuale. Per questo oggi parlare senza stancarsi di ribadire i fatti non è soltanto doveroso: è davvero obbligatorio.

venerdì 12 novembre 2010

Quali sgravi fiscali?

Provate a mettere insieme queste due notizie. La prima è che le industrie vedono aumentare l’export, mentre precipitano le vendite in Italia. La seconda dice che le industrie chiedono sgravi fiscali perché – sostiene il presidente Calligaris – le industrie devono essere più competitive. Nel comparare queste informazioni non vi sembra che qualcosa strida?
Se l’export sta aumentando, questo significa che la competitività non manca. Se la vendita in Italia crolla, vuol dire che scarseggiano sempre di più i denari per acquistare. E allora, invece che provvedere a sgravi fiscali per aiutare aziende che, per la stragrande maggioranza, pensano a migliorare i bilanci e non certo a far crescere l’occupazione, non sarebbe meglio disporre sgravi fiscali sul lavoro e aumentare di molto i controlli antievasione?
Forse, così facendo, il mercato interno riprenderebbe gradualmente vigore, le aziende, già competitive all’estero, potrebbero aumentare le quote di vendite sul mercato interno e tutto questo potrebbe anche far ricrescere l’occupazione ridando fiato e dignità a milioni di persone e aiutando anche le casse pubbliche che attualmente stanno impegnando molti soldi nel sostegno dei cassintegrati e dei disoccupati.
Non è, evidentemente, una proposta che ci si possa attendere da Confindustria, ma potrebbe benissimo figurare tra i progetti di un centrosinistra che, oltre al bene del Paese, deve anche cercare di riconquistare una parte consistente di quello che dovrebbe essere il suo elettorato.

giovedì 11 novembre 2010

L’etica e la convenienza

Finalmente sembra proprio che stia per finire. Il berlusconismo sta affogando negli stessi liquami che ha prodotto e in questo appare già un minimo di Giustizia, di quella con la “G” maiuscola. Ma quando parlo di liquami non mi riferisco soltanto a quelli degli scandali sessuali di cui oggi tutti parlano e che hanno messo alla berlina l’Italia in tutto il mondo. Perché uno degli errori più clamorosi e più gravidi di conseguenze pericolose per il futuro sarebbe quello di pensare che il governo Berlusconi è finito per un soprassalto di moralità da parte degli italiani, religiosi o laici che siano.
Berlusconi ci ha fatto indignare e vergognare, ma soprattutto ha fallito dal punto di vista economico, sociale e politico. E a farlo andare a casa è stato il fatto che molti settori – ovviamente i più potenti – della società italiana non si sono più sentiti tutelati – o meglio, coperti – da lui che ormai da troppi anni sta passando molto più tempo a difendere se stesso e i suoi affari che la situazione generale di un Paese che ormai è diventato una specie di colabrodo che sarà molto difficile far tornare nuovamente in grado di galleggiare.
Sarebbe davvero un errore imperdonabile pensare che certi strati di questa nazione abbiano riacquistato quella moralità che evidentemente ancora non c’è, se si continua a trattare così i lavoratori pensando che il lavoro serva soltanto come fine per incrementare gli utili di bilancio e non come mezzo per dare pane e dignità alle famiglie e ai giovani. Se si continua a comportarsi come aguzzini nei confronti di esseri umani – ripeto, esseri umani – che fuggono da guerre, vessazioni, fame e malattie endemiche, per paura di perdere qualche privilegio, o per il fastidio di dire di no a chi chiede un aiuto per strada. Se si continua a sostenere che il fare sia più importante del ragionare. Se si pensa di poter costruire qualcosa che vada oltre a una nuova legge elettorale con Gianfranco Fini che – sarà sicuramente una mia limitazione – non riesco a dimenticare che è padre delle leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi e che continuo a ricordare nella sala di comando delle forze del cosiddetto ordine poi condannate per le violenze gratuite e usate con efferatezza contro manifestanti inermi al G8 di Genova, mentre quelli davvero violenti se ne restavano intoccati.
Da troppi anni la propaganda berlusconiana ha demolito, soprattutto attraverso trasmissioni televisive schifose o almeno vuote, ogni senso di moralità e di valori. Da troppi anni si sono cancellati reati che continuano a restare peccati non soltanto religiosi, ma anche e soprattutto laici, come – per fare un esempio soltanto – il falso in bilancio. Da troppi anni il denaro, il successo, la bellezza e il godimento sono diventati le mete cui deve tendere a ogni costo.
Illudersi che dopo questi massicci avvelenamenti ventennali ci possa essere un soprassalto etico capace di cancellare in pochi mesi i guasti di due decenni sarebbe una follia.
La realtà è che Berlusconi cade perché non conviene più. E il centrosinistra deve convincere la popolazione che votare per il Pd e i suoi alleati è conveniente. E lo deve fare presentando al più presto un programma chiaro, onesto, efficace e credibile.
Contemporaneamente deve anche impegnarsi a ridare valori a un’Italia che se li è lasciati cancellare con vigile indolenza o compiacente complicità. Ma sarà un compito molto più difficile. E ci vorrà uno sforzo lungo e pesante da parte di tutti; non soltanto da parte della politica.

giovedì 4 novembre 2010

Sommare e non sottrarre

Devo confessarvi che resto un po’ sgomento davanti alla questione del crocifisso, sia pensando alla sentenza della corte europea, sia alle reazioni, favorevoli e contrarie che siano, visto che stiamo parlando di fede, una delle cose più personali che ci siano. Parlando di un simile argomento, diventa obbligatorio confessare che sono un non non credente in cui la doppia negazione non vuole assolutamente presupporre una fede, ma soltanto il fatto che sono uno che nulla sa, tranne il fatto che mai saprà; che al massimo vorrebbe.
Però un’idea ce l’ho: provate ad aggiungere, invece che a sottrarre. Pensate a pareti scolastiche prive di ogni simbolo e provate a immaginarle, invece, con accanto al crocifisso anche la stella di David, e la mezzaluna e stella, e – perché no? – un mulinello di preghiera buddhista. Pensateci e vedrete che a nessuno sarà tolto qualcosa, ma a tutti qualcosa in più sarà dato. Anche all’ateo e all’agnostico che sapranno di non aver coartato nessuno proibendogli di vedere qualcosa che magari lo conforta.
È una cosa che mi è stata insegnata in gioventù, al liceo, senza parole ma con i fatti da quello che noi chiamavamo don Eugenio e che fino a poche settimane fa tutti hanno chiamato monsignor Ravignani, vescovo di Trieste. Era il nostro catechista in una classe in cui c’erano anche degli ebrei. Per non farli sentire a disagio, se volevano restare con noi durante l’ora di religione, non ha mai pensato di togliere il crocifisso: semplicemente ha fatto affiggere sugli stipiti delle porte quei piccoli portarotoli delle preghiere del Deuteronomio – i mezuzah – che non mancano mai nelle case degli ebrei.
Mi chiedo, da laico convinto, perché proibire a chi crede di esprimere il proprio credo? Taluni dicono: in Arabia non ci lasciano neppure fare il segno della croce. E allora? Se uno è illiberale dobbiamo diventare illiberali anche noi? Cioè non dobbiamo crescere, ma scegliere di abbruttirci? E, magari, scendendo sempre più in basso, di incontrare anche i leghisti che dicono di essere cattolici praticanti e contemporaneamente negano in maniera abietta ogni amore per il prossimo, negando loro la pietà anche quando sono morti da seppellire. Ma quale cristianesimo praticano? Quale Vangelo hanno letto?
Le risposte a certe schifezze saranno sempre troppo tiepide, sempre troppo poco indignate se non si vuole lasciare che negli animi più deboli crescano i germi della criminale e crudele stupidità della xenofobia e del razzismo. Un po’ meno di settant’anni fa è successo in Germania e i frutti velenosi di quel far finta di non vedere sono maturati fino alla shoah.
Se non crediamo, poco ci può interessare che un crocifisso sia solo, in compagnia, o non ci sia affatto su un muro di un’aula scolastica, ma, se ci crediamo, possiamo davvero pensare che Cristo esca diminuito dalla vicinanza con un altro simbolo? Oppure dall’assenza del suo?

Distrazioni e collezioni

Vi devo confessare che molto spesso apro il mio blog e, invece di scrivere quello che mi passa per la mente, mi fermo e chiudo pensando più o meno che non è possibile continuare a scrivere ogni santo giorno che c’è qualcosa che non va. E sento che anche molti altri dicono che non è possibile continuare quotidianamente a imprecare e a spiegare perché così non può andare avanti.
È un errore; comune, ma grave. E non soltanto perché l’indignazione non può essere valida soltanto a giorni alternati, ma anche e soprattutto perché Berlusconi e i suoi infarciscono la nostra vita di schifezze contando proprio su una nostra saturazione e su un eccesso di buona educazione per sdoganare tutto, ma proprio tutto.
Fateci caso: esce la notizia che Berlusconi interviene direttamente e pesantemente su una questura per rimettere in libertà una minorenne che partecipava alla sue feste in villa, una ragazza fermata per furto e già segnalata per prostituzione; e lo fa spacciandola per la nipote di Mubarak. Ebbene l’attenzione da questo incredibile abuso di potere - che in qualunque Paese del mondo avrebbe già fatto sparire Berlusconi dalla vita pubblica – viene distratto dalla parte pecoreccia dello scandalo.
Quando questa, però, comincia a diventare troppo ingombrante per l’elettorato cattolico, visto che si fanno vive altre giovanissime ragazze disponibili che dicono di aver partecipato alle feste in villa, Berlusconi svia l’attenzione generale attaccando gli omosessuali e strizzando l’occhio alla parte più conservatrice e integralista della cattolicità.
Se l’ultima brillante idea suscita reazioni indignate in tutto il mondo, anche nelle cancellerie, pur di non far continuare a parlare di queste cose, in soccorso a Berlusconi corre il direttore artistico del festival di Sanremo, Gian Marco Mazzi, che annuncia che sul palco saranno cantate sia “Bella ciao”, sia “Giovinezza”, quasi l’inno della libertà e quello della dittatura potessero essere messi sul medesimo piano, anche ricordando che da quelli che cantarono la prima nacquero una democrazia e la più bella Costituzione del mondo e che da quelli che cantarono la seconda nacquero le leggi razziali e le guerre coloniali.
Circa un anno fa su questo blog scrissi “L’elogio della pernacchia” perché davvero questo può essere l’unico metodo serio ed efficace per interloquire con una maggioranza che continua a fare cose terribilmente dannose per la comunità, a straparlare, a opporre soltanto decibel straripanti a fatti e a ragionamenti.
Forse non sarà molto educato accogliere così, anche individualmente, le parole di un vecchio malato, sessuomane e omofobo, angosciato dalla possibilità di dover rendere conto davanti a un tribunale di molte sue azioni. E sicuramente fare pernacchie non è politicamente qualificante né edificante, non fa crescere il livello culturale, né presuppone uno sforzo di miglioramento sociale.
Ma l’unica alternativa è trovare un altro sistema per far capire non soltanto a lui e ai suoi dipendenti che non ne possiamo più dei suoi trucchi, ma soprattutto per far entrare nella mente di tantissimi italiani che la verità non è la propaganda che quotidianamente ci dispensa. E che non siamo più disposti neppure a farci distrarre senza fine, a sostituire davanti alla nostra attenzione una notizia orrenda con una ancora peggiore. Noi tutte queste brutture non le sostituiamo l'una con l'altra: le collezioniamo tutte nella nostra memoria.