sabato 4 marzo 2023

E se parlassimo di quotidiani?

Alla maggior parte delle persone può apparire del tutto normale che vengano messi in vendita in blocco tutti i quotidiani di dimensioni medio-piccole del Gruppo GEDI: «Sono le leggi del mercato», diranno in molti. E, quindi, apparirà del tutto normale che a parlare di questa mostruosità siano perlopiù gli addetti ai lavori e che a preoccuparsene siano quasi esclusivamente i giornalisti che in quei giornali operano e che temono per il proprio posto di lavoro. Tuttalpiù si possono sentire commenti sarcastici sul fatto che oggi si stiano vendendo gloriose testate (L’Espresso è già stato ceduto e fortemente cambiato, mentre anche Repubblica è sul giro d’aria), testate che erano state vendute soltanto tre anni fa dai figli di Carlo De Benedetti alla famiglia Agnelli/Elkann; e girano illazioni sull’ipotesi che, visto che quella famiglia ha ormai portato all’estero molti dei suoi interessi e che il panorama politico italiano è troppo variabile per dare certezze, non le interessi più avere grande influenza sull’opinione pubblica.

Invece questo argomento dovrebbe essere in primo piano perché i giornali non sono automobili e dovrebbero interessare tutti, non soltanto chi vi lavora, perché una corretta informazione, libera e pluralista, è essenziale in una democrazia propriamente detta. Non per nulla la Costituzione le dedica l’articolo 21, uno dei più lunghi, complessi e purtroppo trascurati. Ma non solo: in seguito il legislatore è intervenuto con la legge 416 del 1981 (poi emendata a più riprese, e non sempre in meglio) soprattutto per prevenire la costituzione di oligopoli, e ha stabilito la soglia di definizione di posizione dominante con tre percentuali riferite alla tiratura annua: il 20% della tiratura nazionale, il 50 % delle tirature interregionali (nord-est, nord-ovest, centro, sud e isole), il 50% del numero di testate regionali.

Ricordo che in quegli anni facevo parte del Consiglio Nazionale della Federazione della Stampa e ho tentato a più riprese di far notare che nella legge 416 si sarebbe dovuto inserire anche un limite a livello regionale perché già nel 1991, quando Carlo Melzi, già proprietario del Messaggero Veneto, acquistò dal gruppo Monti anche il Piccolo, il terzo limite e l’intero spirito della legge era stato mandato in frantumi in quanto in questa regione non si discuteva più di oligopoli, ma addirittura di un vero e proprio monopolio. Nel 1995 ho parlato di questa esigenza davanti alla Conferenza Stato-Regioni, allora presieduta da Piero Badaloni e poi anche in riunioni con esponenti della nostra giunta regionale sia a guida Cruder, sia Antonione. Ovviamente non se ne fece nulla e molti sottolinearono che ero stato ingenuo a pensare di poter muovere qualcosa. Risposi che era ampiamente previsto; e, poi, che vita sarebbe quella in cui ci si mette a combattere per qualcosa soltanto se si ha la quasi certezza di vincere e non perché si è convinti che sia un dovere etico farlo?

E non valse a nulla sottolineare che, mentre gli editori teorizzavano che queste fusioni avvenivano per razionalizzare i costi e aumentare, quindi, la concorrenza, quella stessa concorrenza andava a farsi benedire perché testate come Il Piccolo e il Messaggero Veneto, fino a quel momento indaffarate a creare prodotti più appetibili di quelli della concorrenza, cessavano di impegnarsi in questo senso; anzi si avviavano sulla strada del mettere in comune articoli, inchieste, pagine intere: un de profundis per la tanto auspicata concorrenza e soprattutto per la possibilità dei lettori di confrontare fonti diverse per tentar di capire la vera essenza di una notizia.

Poi, a rendere le testate giornalistiche delle scatole sempre più vuote sono arrivate internet e le nuove tecnologie che hanno finito per cancellare le tipografie, le rotative e le distribuzioni indipendenti rendendo ogni giornale dipendente da ordini di precedenza nella stampa e nella distribuzione, realtà che ha favorito certe testate sfavorendone altre e ha reso sempre più frenetico e meno accurato il lavoro giornalistico in quanto la richiesta principale era quella di fare presto per poter chiudere il giornale il più rapidamente possibile. Senza contare che anche nei giornali valgono le leggi di natura: nulla si crea e nulla si distrugge; al massimo si sposta e cambia apparenza. Come il lavoro tipografico che non è scomparso, ma soltanto si è trasferito dai tipografi ai giornalisti – sempre meno, tra l’altro, per esigenze di bilancio – aggiungendosi a quello che dovrebbe essere il loro impegno principale.

Ultimo passo, l’arrivo dei social e degli infiniti siti internet che, appetibili perché in apparenza gratuiti, nella stragrande maggioranza dei casi, mandano in rete notizie volontariamente modificate, o, nel migliore dei casi, pubblicate senza operare prima la minima, obbligatoria verifica sulla loro attendibilità.

L’oligopolio, o il quasi monopolio, si era già esteso dal Friuli Venezia Giulia anche al Veneto nel 2000, quando i due giornali del gruppo Melzi erano stati acquistati dal gruppo Repubblica-L’Espresso aggiungendosi a Mattino di Padova, Tribuna di Treviso, Nuova Venezia e Corriere delle Alpi di Belluno. E oggi questo stato di fatto non soltanto non viene corretto restituendo concorrenza e pluralità di voci a una situazione di estrema delicatezza, ma rischia addirittura di peggiorare in quanto è difficile che la nuova proprietà, per esigenze di bilancio, non renda ancora più penetranti le sinergie tra i vari giornali non presentando punti di vista diversi e togliendo anche identità – e quindi fidelizzazione a alle varie testate.

In altri tempi si sarebbe scesi in piazza a protestare. Oggi sembra che sia possibile assorbire e metabolizzare tutto, anche le cose peggiori in ogni campo. E ogni riferimento alle mancate dimissioni di Piantedosi è assolutamente voluto.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

1 commento:

  1. La GEDI mi ha fregato 50 euro. glieli avevo mandati con bonifico bancario per abbonarmi ad alcuni numeri di Limes. Non mi ha mandato nè l' abbonamento nè restituito, nonostante la richiesta, i soldi .

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