Nel pur limitato
repertorio verbale di Salvini sono tante le cose che dovrebbero
suscitare riprovazione per la protervia, rabbia per i concetti espressi,
o sorrisini di compatimento per gli abissi di ignoranza che le sue
parole rivelano. Non può non indignare, per esempio, il concetto che «la
Libia è un porto sicuro», mai smentito, nemmeno dopo che oltre cento
uomini, donne e bambini sono stati cancellati da un bombardamento del
generale Haftar su un campo di detenzione di migranti; né può non
offendere il grande repertorio di frasi fatte mussoliniane rispolverato
dal ministro degli Inferni. Ma quello che più mi colpisce, sia per la
truffaldina furbizia di chi esprime questo concetto, sia per la stolida
ignoranza di chi l’accetta senza ribattere, è l’idea che se qualcuno
vuole fare politica, prima deve farsi eleggere.
Lo ha ripetuto anche dopo che la gip
di Agrigento, Alessandra Vella, ha liberato, dopo quattro giorni
trascorsi agli arresti domicilari, Carola Rackete, capitana della
Sea-Watch, perché «Una nave che soccorre migranti – ha scritto la
giudice – non può essere giudicata offensiva per la sicurezza nazionale e
il comandante di quella nave ha l'obbligo di portare in salvo le
persone soccorse».
Inoltre, sempre nella sentenza della
gip, «Le unità navali della Guardia di finanza sono da considerarsi
navi da guerra solo quando operano al di fuori dalle acque
territoriali», mentre «Da quanto emerge dal video deve essere molto
ridimensionata nella sua portata offensiva rispetto alla prospettazione
accusatoria fondata solo sulle rilevazioni della polizia giudiziaria»,
la manovra in porto della Sea Watch che non aveva alcuna intenzione di
colpire la motovedetta della Finanza.
Ebbene, come sempre quando qualcuno
smonta con solide argomentazioni, i suoi decreti, Salvini se ne esce con
la frase «Se qualche giudice vuole fare politica si toglie la toga, si
candida in Parlamento con la sinistra e cambia le leggi che non gli
piacciono». E questo è un concetto di una pericolosità tale che ogni
altra uscita del ministro degli Inferni può essere assimilata a semplice
battuta.
È pericolosa non tanto perché svela
una mentalità da dittatorello che crede che ogni cosa decisa da lui
stesso sia perfetta e infallibile e, quindi, accoglie come inaccettabile
offesa personale, le parole di chi con lui non è d’accordo. Ma perché,
così facendo, mina alla base il concetto stesso di democrazia che, ben
prima di essere voto, è pensiero, confronto e discussione con la
costante certezza che non è detto che chi raccoglie più voti abbia anche
contemporaneamente ragione. E che, proprio grazie a questa
incontestabile realtà, la democrazia offre la possibilità di migliorare
costantemente, nella sostanza e non soltanto nei particolari.
Ma ancor più grave del fatto di
mettere in discussione la democrazia è il fatto che questa frase mina
alla base anche il concetto stesso di politica, l’agire per il bene
della polis. Non mi riferisco all’agire della gip di Agrigento che,
dall’alto del suo sapere giuridico, è incaricata di decidere se
un’azione è un reato, oppure no, e che in questo suo agire deve avere
un’indipendenza di giudizio garantita da quella Costituzione che Salvini
– ammesso che se la sia letta – sente come una specie di camicia di
forza. Penso, invece, al fatto che, se fosse vera la tesi che soltanto
gli eletti possono fare politica, potremmo già abdicare alla nostra
pretesa dignità di esseri umani perché la caratteristica di ogni
cittadino è di fare politica in ogni sua azione, sia nel fare, sia nel
non fare.
Pur senza essere necessariamente
eletti, per esempio, fanno assolutamente politica coloro che evadono, in
toto o in parte, le tasse e costringono un’intera società a subire le
conseguenze della loro scelta; fanno politica sia coloro che lavorano
coscienziosamente, sia quelli che si defilano in quanto concepiscono il
lavoro soltanto come un momentaneamente inevitabile fastidio per poter
incassare uno stipendio; fanno politica quelli che agiscono sentendosi
parte di una comunità, ma anche coloro che si muovono pensando di essere
l’unica persona che merita di essere rispettata; e la fanno sia quelli
che accettano di discutere con chi non ha le loro stesse idee, sia
quelli che, invece, rifiutano sempre il confronto e che, se fossero
eletti e arrivassero nei posti di comando, agirebbero il più possibile
per decreto, anche per evitare il fastidio che le loro idee possano
essere anche soltanto valutate da un Parlamento di cui pur detengono la
larga maggioranza: la valutazione altrui, infatti, la considerano una
specie di “diminutio” propria. E potrei continuare a lungo.
Per fortuna non sono ancora arrivati
a dire che in campagna elettorale, se non si è già eletti, non si può
fare politica; ma non mettiamo loro fretta.
Solo un consiglio al ministro degli
Inferni che ha avuto da ridire anche sul pensiero di molti preti e
vescovi: non dica al Papa che, secondo i parametri Salviniani, può
essere accusato di fare quotidianamente politica, che per fare politica,
bisogna farsi eleggere: Francesco è stato eletto. E il Papa non insiste
neppure sul fatto che per brandire il rosario e il Vangelo durante i
comizi, un minimo di conoscenza del Vangelo stesso e di carità cristiana
bisognerebbe pur averle. Però, se non ha mai accettato di riceverlo,
qualche motivo ci sarà.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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