Il problema è
apparentemente senza soluzione. Senza il PD la sinistra è destinata a
soccombere perché resta priva di corpo, senza quella massa critica di
cui si ha bisogno se si vuole arrivare a governare, o, almeno, a fare
opposizione con qualche speranza di incidere davvero sul destino del
proprio Paese. Con questo PD la sinistra è destinata a soccombere perché
resta priva di anima, senza quei principi etici, sociali e politici che
spingevano a votarlo i tantissimi italiani che speravano in un governo
davvero di centrosinistra.
Può sembrare assurdo occuparsi delle
miserie della politica nostrana, mentre il terrorismo pseudoislamico
insanguina l’Europa; mentre Al Sisi ritiene di poter pretendere che
tutti credano alle sue favolette mal confezionate sull’omidio di Giulio
Regeni; mentre l’Europa pensa di lavarsi la coscienza davanti al dramma
dei migranti dando sei miliardi di euro e spalancando altre porte a una
Turchia in cui il suo satrapo Erdogan bombarda i curdi più che il
Califfato e sequestra a suo piacere i giornali che osano criticarlo;
mentre l’America e il mondo intero tremano nel vedere l’ascesa di Donald
Trump verso la Casa Bianca e finalmente hanno la possibilità di capire,
per coinvolgimento praticamente diretto, che un potere smisurato può
comportare dei pericoli smisurati.
Può sembrare assurdo, dicevo, ma se è
vero che l’Italia ha peso e responsabilità all’interno dell’equilibrio
mediterraneo, europeo e mondiale, allora è fondamentale guardare anche
alla sua salute democratica. E non soltanto perché ci riguarda in
maniera diretta.
Per tornare al problema
apparentemente irresolubile, appare evidente che tra “senza PD” e “con
questo PD” l’unico elemento sul quale oggi si può ragionare – e
sperabilmente agire – è il pronome dimostrativo “questo”. Infatti, per
risolvere l’equazione, altrimenti senza soluzione, l’unica via
attualmente possibile è sperare che nasca un “altro” PD. E non mi
riferisco esclusivamente a Renzi che ha sulla coscienza imprese
orripilanti tra cui spiccano il Jobs Act, l’aiuto alle banche disoneste a
scapito dei risparmiatori, l’Italicum, la cosiddetta riforma
costituzionale e gli abbracci con Alfano e Verdini, né soltanto a coloro
che servono ciecamente il capo, ma anche a quelli che, pur tra infiniti
mugugni e interviste che li facevano apparire bellicosi e irremovibili,
hanno continuato a votare canguri, supercanguri e fiducie consentendo
all’ex sindaco di Firenze di fare il bello e il cattivo tempo a suo
piacimento, infischiandosene tranquillamente di quello che pensano e
propongono coloro che non sono d’accordo – in parti spesso variabili –
con lui.
Non credo che a restituire al PD la
sua anima possano servire le amministrative, anche se dovessero segnare
una sconfitta dei candidati voluti da Renzi in città come Roma, Milano e
Napoli. Non ci credo perché una distruzione non è mai il terreno sul
quale si possa ricostruire facilmente, se prima non si tolgono tutte le
macerie dei crolli appena avvenuti.
Molto più praticabile, invece, mi
sembra la strada del referendum costituzionale. È democraticamente
scorretto e inaccettabile quello che ha fatto l’attuale presidente del
Consiglio tentando di trasformare un referendum costituzionale in un
plebiscito sulla sua persona. E quindi ripeto con forza che a ottobre
non sarà in gioco il futuro politico di Renzi, bensì quello della
democrazia in Italia per noi, per i nostri figli e per i nostri nipoti.
Quindi, da questo punto di vista, importante non sarà soltanto il
risultato che dovrà metterci al riparo da possibili derive autoritarie,
ma anche il fatto che, con un obbiettivo comune, forse le varie anime
della sinistra (compresa quella di coloro che hanno deciso di restare
dentro il PD per cambiarlo dall'interno) finiranno per rendersi conto
che sono molte di più le cose che hanno in comune che quelle che le
dividono e che il capirsi reciprocamente non vuol dire né obbedire al
più forte, né rinunciare alle proprie idee per il quieto vivere.
Significa semplicemente mettere in comune esperienze, successi e
delusioni, senza essere convinti di avere sempre e comunque ragione,
senza buttare a mare grandi cose importanti per incaponirsi e sbranarsi
su piccolezze senza importanza che diventano rilevanti soltanto perché
permettono di mettere in luce la propria abilità oratoria, o la propria
inossidabilità rispetto a ogni contaminazione, anche a quelle più
intelligenti e degne di rispetto. Significa anche possedere quel tanto
di senso della realtà che permette di capire non se un sogno è
realizzabile o meno (la storia insegna che tutti sono realizzabili), ma
che il fattore tempo è importante e che una cosa oggi impossibile potrà
diventare realtà domani (e anche questo la storia lo ha insegnato ad
abundantiam).
Soltanto così – visto che siamo a Pasqua – si potrà parlare di resurrezione della sinistra.
Tanti auguri a chi ci sta a intraprendere questa strada necessaria, ma sicuramente faticosa.
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sabato 26 marzo 2016
domenica 20 marzo 2016
Da un referendum all'altro
È del tutto evidente che molte e sostanziali sono le differenze tra il referendum sulle trivellazioni, fissato per il 17 aprile, e quello sulle riforme costituzionali volute da Renzi, che si terrà in ottobre. Intanto il primo è un referendum abrogativo, mentre il secondo è costituzionale e, quindi, confermativo: quindi va tenuto presente che chi è in disaccordo dovrà votare sì nel primo è no nel secondo. Poi per il primo è necessario raggiungere il quorum fissato nel 50 per cento degli aventi diritto al voto più uno, mentre il secondo sarà comunque valido a prescindere dal numero dei partecipanti. Il primo, infine, può mettere o meno in pericolo l'ambiente e il turismo, mentre il secondo mette in gioco la democrazia italiana per il futuro.
Tra le tante differenze è apparso, però, un evidente punto in comune: l'arroganza - anche non sono abituato a dare ragione a D'Alema - dell'attuale classe dirigente del PD. Sull’atteggiamento di Renzi e fedelissimi nei confronti del referendum costituzionale ho già scritto e ancora scriverò in futuro; adesso mi sembra importante vedere cosa sta succedendo in questi giorni, a poco più di un mese dal voto sulle trivellazioni, perché fa ulteriore luce sui concetti politici di Renzi.
In maniera almeno parzialmente inaspettata nei giorni scorsi è apparso un documento dell’Agcom che ha collocato il PD tra le forze politiche che si asterranno. Alcuni non ci volevano credere, altri si domandavano chi lo avesse deciso e come mai una scelta così importante non fosse stata annunciata dal PD stesso, ma apparisse, quasi di nascosto, in un documento dell’Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha certificato quello che è venuto a galla nella riunione della Commissione di vigilanza Rai che doveva esaminare le richieste d'accesso alle tribune elettorali per il referendum.
A fare chiarezza (?) è arrivata, dopo qualche ora, una nota firmata non da Renzi, che mai ama esporsi subito in prima persona quando c’è odore di polemiche, bensì dai vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani che, dopo aver sostenuto che questo referendum è inutile e costoso, hanno aggiunto che non si poteva accorpare alle comunali (anche se la legge non contiene prescrizioni sulla possibilità di abbinare il referendum con le amministrative) e che a decidere per il no all’accorpamento era stato il ministero degli Interni. E poi hanno concluso: «I soldi per questo referendum potevano andare ad asili nido, a scuole, alla sicurezza, all'ambiente. E di questo parleremo durante la direzione di lunedì, ratificando la decisione presa come vicesegretari». Un testo estremamente importante per capire sempre meglio Renzi e il renzismo.
Cominciamo dagli aspetti democratici del PD renziano (aspetti che sarà ancor più importante valutare a ottobre), mettendo in rilievo che è la prima volta che un partito sedicente di centrosinistra incita gli elettori a disertare un appuntamento democratico tra i più importanti. Mai era successo e, anzi, i partiti di cui il PD dice di aver raccolto – evidentemente in maniera indegna – l’eredità si erano sempre espressi esplicitamente e con decisione contro l’ispirazione antidemocratica di Craxi che aveva invitato gli elettori ad andare al mare piuttosto che rischiare di vedere affondare dal voto popolare le proprie decisioni parlamentari.
Non secondario, poi, sempre dal punto di vista della democrazia, il fatto che la scelta sia stata dichiaratamente fatta dai vicesegretari (anche se è molto difficile credere che Renzi non c’entri nulla) e che la direzione di lunedì sia chiamata soltanto ad annuire e a ratificare la decisione presa in maniera decisamente verticistica e, quindi, non particolarmente democratica.
Venendo alla sostanza del problema, appare curioso che i due vicesegretari definiscano «inutile» questo referendum, sia perché è stato ritenuto utile dalla Corte Costituzionale, sia perché a dare il via alla decisione della Consulta è stato proprio il PD inserendo, il 23 dicembre, all'interno della legge di Stabilità, all’indomani dell’accettazione da parte della Cassazione dei referendum sulle trivellazioni, un articolo che voleva rendere inutili alcuni dei sei quesiti proposti da nove Consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise). Ma la fretta è stata cattiva consigliera perché due decreti governativi firmati un giorno prima avevano reso inutile la legge di Stabilità per l’irlandese Petroceltic e per la britannica Rockhopper. La Petroceltic, in particolare, poteva effettuare ricerche entro le 12 miglia dalla costa per sei anni ancora pagando allo Stato italiano la bellezza di 1.900 euro (sì, proprio millenovecento euro) l’anno. E questa regalia ai petrolieri non mi pare sia compatibile con i rischi per l’economia sbandierati oggi con forza. Tacendo inoltre il fatto che l’economia da difendere è quella che già domina da sempre e non quella alternativa e più debole come il turismo ambientale.
Interessante, poi, la questione dei risparmi che virtuosamente i vicesegretari avrebbero sognato di distribuire «ad asili nido, a scuole, alla sicurezza, all'ambiente». Punto primo: senza le furbate della ministra Guidi (renziana di Confindustria) il referendum non si sarebbe fatto. Punto secondo: non abbinare il referendum alle comunali è stato scelto non dalla legge, ma dal ministro Alfano che di Renzi è immarcescibile sostenitore. Punto terzo: una volta che il referendum è fissato, il non andare a votare non fa risparmiare neppure un centesimo di euro.
Quindi, andate a votare. Votate pure come la vostra coscienza vi spinge a fare e come questa volta addirittura anche i vescovi spingono a fare, ma andate a votare comunque. Dimostrare che alla democrazia ci teniamo davvero è la più grande minaccia possibile per Renzi e per il suo governo.
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venerdì 11 marzo 2016
Una frase per capire
Per comprendere
cos’è il renzismo, nessuna spiegazione può essere più chiara e
illuminante di una frase-slogan, pronunciata ieri, nel cantiere
dell'ultimo diaframma della Salerno – Reggio Calabria, dallo stesso
fondatore di questa ideologia che discende in linea diretta dal
berlusconismo: «Ci vuole l'Italia che corre, non l'Italia che ricorre».
Chiara e illuminante perché nelle sue due concise parti spiega benissimo come la pensa e come agisce il presidente del Consiglio pro tempore che contemporaneamente è anche segretario del PD.
La prima considerazione, che scaturisce inevitabile dall’intero enunciato, è che, visto quello che sta accadendo, dato per assodato che Renzi è tutt’altro che stupido, l’unica alternativa possibile è che egli ritenga stupidi tutti gli italiani. Quando, infatti, uno dice, con sorridente arroganza, due scemenze insieme, se non le indirizza verso se stesso, inevitabilmente vuol dire che è convinto di poter fare da imbonitore nei confronti di tutti gli altri.
La scemenza iniziale – «L’Italia che corre» – è uno dei suoi cavalli di battaglia; anzi quello che gli è più facile da usare, visto che quello della rottamazione è da tempo che ha rivelato tutta la sua assurdità e il suo squallore. Ma il correre, la velocità, è un bene assoluto soltanto in poche, determinate circostanze, mentre nella quasi totalità delle altre – e nel governare certamente – porta con sé dei terribili rischi connessi alla fretta che impedisce di ragionare e che fa assumere decisioni personali come fossero quelle di tutti perché chi ha il potere di decidere finisce per ritenersi infallibile.
La scemenza successiva nasconde malamente una totale mancanza del rispetto delle regole perché «l’Italia che ricorre» non lo fa soltanto per ingannare il tempo, ma in quanto si trova di fronte a palesi violazioni. E disprezzare coloro che vogliono il rispetto delle regole porta con sé tutta una serie di conseguenze perniciose.
La prima è che ci si pone tra coloro che alle regole non tengono. Ma questo, dal punto di vista di Renzi, sarebbe il male minore visto che i nuovi ingressi nel PD non hanno mai brillato per il loro comportamento cristallino.
La seconda fa capire che all’attuale presidente del Consiglio interessa vincere, non come si vince, o perché si vince. Ma anche questa era una caratteristica alla quale i nuovi arrivati – quasi tutti dal disastrato campo berlusconiano – erano ben abituati e senza la quale si sentirebbero sicuramente a disagio.
La terza consiste nel fatto che, se l’esperienza ligure ha insegnato qualcosa, con i comportamenti di Napoli e di Roma, crescono a dismisura i rischi che anche in quelle due città si verifichi nuovamente quello che è già accaduto in Liguria: un PD – non riesco proprio più a chiamarlo centrosinistra – che va a perdere, sia perché alla sua sinistra si formano altri schieramenti, sia in quanto perde una grande quantità di elettori delusi, o schifati, com’è successo alle ultime regionali emiliane, dove il PD, partendo da un pronostico favorevolissimo, è riuscito a non perdere, ma ha visto l’affluenza alle urne sprofondare sotto il 50 per cento. E non è escluso che questa delusione finisca per riverberarsi anche sulle città non direttamente toccate dagli scandali che penalmente non hanno grande sostanza, ma eticamente fanno proprio schifo.
La quarta più che da Renzi, dipende da coloro che, a prescindere, ripetono – quasi comandati da un ventriloquo – le cose che Renzi pensa, ancor prima che le abbia rese pubbliche. Maria Elena Boschi che ripete a pappagallo quello che sente dal capo e che nasconde il suo vuoto dietro a una promessa di futura riflessione quando si trova davanti a una domanda inattesa, alla quale non era preparata; Matteo Orfini e Lorenzo Guerini che, più che anticipare, dettano la linea della cosiddetta commissione di garanzia del partito; Debora Serracchiani che, pur a disagio e senza mettersi troppo in mostra, conferma la linea del capo.
Renzi accusa «i gufi umani, quelli che pensano che si debba fare il tifo perché l'Italia non ce la faccia», ma sbaglia: quelli che lui chiama gufi sono, invece, italiani che sperano disperatamente che l’Italia non cada ancora una volta nelle mani dell’ennesimo imbonitore istituzionale.
Ho sempre avuto grande rispetto per coloro che hanno voluto restare nel PD per riconquistarlo dall’interno, ma dopo aver sentito l’onorevole Speranza – l’unico ossimoro composto da una sola parola – evadere la domanda su come voterà al referendum costituzionale ricordando che in aula ha votato “sì” e auspicando che Renzi graziosamente decida di ritoccare la legge elettorale, non posso non domandarmi, e domandare, se davvero sperano, con simili guide, di scalzare Renzi dal suo trono, o se non sarebbe meglio uscire definitivamente da un partito che di quello che era ha mantenuto soltanto il nome. Almeno i vari abbracci di Renzi con la destra non potrebbero più essere nascosti da frasi sul tipo «hanno votato con noi, ma non ne avevamo bisogno».
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Chiara e illuminante perché nelle sue due concise parti spiega benissimo come la pensa e come agisce il presidente del Consiglio pro tempore che contemporaneamente è anche segretario del PD.
La prima considerazione, che scaturisce inevitabile dall’intero enunciato, è che, visto quello che sta accadendo, dato per assodato che Renzi è tutt’altro che stupido, l’unica alternativa possibile è che egli ritenga stupidi tutti gli italiani. Quando, infatti, uno dice, con sorridente arroganza, due scemenze insieme, se non le indirizza verso se stesso, inevitabilmente vuol dire che è convinto di poter fare da imbonitore nei confronti di tutti gli altri.
La scemenza iniziale – «L’Italia che corre» – è uno dei suoi cavalli di battaglia; anzi quello che gli è più facile da usare, visto che quello della rottamazione è da tempo che ha rivelato tutta la sua assurdità e il suo squallore. Ma il correre, la velocità, è un bene assoluto soltanto in poche, determinate circostanze, mentre nella quasi totalità delle altre – e nel governare certamente – porta con sé dei terribili rischi connessi alla fretta che impedisce di ragionare e che fa assumere decisioni personali come fossero quelle di tutti perché chi ha il potere di decidere finisce per ritenersi infallibile.
La scemenza successiva nasconde malamente una totale mancanza del rispetto delle regole perché «l’Italia che ricorre» non lo fa soltanto per ingannare il tempo, ma in quanto si trova di fronte a palesi violazioni. E disprezzare coloro che vogliono il rispetto delle regole porta con sé tutta una serie di conseguenze perniciose.
La prima è che ci si pone tra coloro che alle regole non tengono. Ma questo, dal punto di vista di Renzi, sarebbe il male minore visto che i nuovi ingressi nel PD non hanno mai brillato per il loro comportamento cristallino.
La seconda fa capire che all’attuale presidente del Consiglio interessa vincere, non come si vince, o perché si vince. Ma anche questa era una caratteristica alla quale i nuovi arrivati – quasi tutti dal disastrato campo berlusconiano – erano ben abituati e senza la quale si sentirebbero sicuramente a disagio.
La terza consiste nel fatto che, se l’esperienza ligure ha insegnato qualcosa, con i comportamenti di Napoli e di Roma, crescono a dismisura i rischi che anche in quelle due città si verifichi nuovamente quello che è già accaduto in Liguria: un PD – non riesco proprio più a chiamarlo centrosinistra – che va a perdere, sia perché alla sua sinistra si formano altri schieramenti, sia in quanto perde una grande quantità di elettori delusi, o schifati, com’è successo alle ultime regionali emiliane, dove il PD, partendo da un pronostico favorevolissimo, è riuscito a non perdere, ma ha visto l’affluenza alle urne sprofondare sotto il 50 per cento. E non è escluso che questa delusione finisca per riverberarsi anche sulle città non direttamente toccate dagli scandali che penalmente non hanno grande sostanza, ma eticamente fanno proprio schifo.
La quarta più che da Renzi, dipende da coloro che, a prescindere, ripetono – quasi comandati da un ventriloquo – le cose che Renzi pensa, ancor prima che le abbia rese pubbliche. Maria Elena Boschi che ripete a pappagallo quello che sente dal capo e che nasconde il suo vuoto dietro a una promessa di futura riflessione quando si trova davanti a una domanda inattesa, alla quale non era preparata; Matteo Orfini e Lorenzo Guerini che, più che anticipare, dettano la linea della cosiddetta commissione di garanzia del partito; Debora Serracchiani che, pur a disagio e senza mettersi troppo in mostra, conferma la linea del capo.
Renzi accusa «i gufi umani, quelli che pensano che si debba fare il tifo perché l'Italia non ce la faccia», ma sbaglia: quelli che lui chiama gufi sono, invece, italiani che sperano disperatamente che l’Italia non cada ancora una volta nelle mani dell’ennesimo imbonitore istituzionale.
Ho sempre avuto grande rispetto per coloro che hanno voluto restare nel PD per riconquistarlo dall’interno, ma dopo aver sentito l’onorevole Speranza – l’unico ossimoro composto da una sola parola – evadere la domanda su come voterà al referendum costituzionale ricordando che in aula ha votato “sì” e auspicando che Renzi graziosamente decida di ritoccare la legge elettorale, non posso non domandarmi, e domandare, se davvero sperano, con simili guide, di scalzare Renzi dal suo trono, o se non sarebbe meglio uscire definitivamente da un partito che di quello che era ha mantenuto soltanto il nome. Almeno i vari abbracci di Renzi con la destra non potrebbero più essere nascosti da frasi sul tipo «hanno votato con noi, ma non ne avevamo bisogno».
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mercoledì 9 marzo 2016
Non commedia, ma tragedia
Primo atto: alle
primarie del PD di Napoli, Valeria Valente, sostenuta da Matteo Renzi e
dalla sua maggioranza, sconfigge – per un po’ più di 400 voti su oltre
30 mila – Antonio Bassolino che si complimenta con la nuova candidata
sindaco.
Secondo atto: su internet appare un filmato in cui si vede qualcuno, all’ingresso dei seggi, dare un euro a degli elettori in cambio di un voto per la Valente. Lasciando pur perdere ogni considerazione sui prezzi stracciati, è qualcosa che in altri tempi avrebbe fatto urlare di indignazione. La Valente è imbarazzata, mentre Bassolino, sempre più infuriato, minaccia ricorso. «Aspettiamo i risultati della commissione del partito che deve esaminare come sono andate le cose», dice. E poi aggiunge: «Trovo ridicole le spiegazioni che sono state date; mi sembra una ferita chiara e profonda per tante persone che hanno creduto nella partecipazione democratica».
Terzo atto: sempre tramite registrazioni video, si apprende che alcuni esponenti di centrodestra hanno presidiato i seggi e accompagnato i cittadini al voto, in alcuni casi distribuendo anche l'euro per la sottoscrizione. Tra gli altri, sono individuati Claudio Ferrara, assessore di centrodestra della VIII Municipalità, già candidato alle elezioni politiche del 2013 con Berlusconi e poi ritirato dopo l'esclusione dalla lista di Nicola Cosentino, suo referente politico, e di Giorgio Ariosto, candidato nel 2011 per la VIII municipalità del Comune di Napoli con Popolari Italia Domani, partito fondato da Totò Cuffaro, poi non eletto. Ariosto dice di essere passato al Partito Democratico.
Quarto atto: mentre Bassolino presenta ricorso e fa la figura del cavaliere senza macchia, la Valente tenta, con faccia tosta degna di un Oscar, di difendere la sua “vittoria” dicendo che «sarebbe una schifezza sporcare tutto partendo da questi fatti» e, anzi, tenta addirittura di blandire Bassolino e di coinvolgerlo dicendo che «lui è una testa, non è da rottamare».
Quinto e ultimo atto: cominciano le surreali reazioni dei dirigenti nazionali del PD. Il presidente Matteo Orfini – sì, proprio quello che dovrebbe garantire l’onorabilità, la democraticità e la trasparenza del partito – afferma che «il risultato delle primarie di Napoli non è in discussione» e che la consultazione «non va annullata». E incredibilmente aggiunge: «Se ci sono stati illeciti, anche non penalmente rilevanti ma discutibili, nel merito della regolarità dello svolgimento del singolo caso, è giusto che si prendano provvedimenti per quel singolo caso». E a dargli man forte si precipita il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini: «È inaccettabile mettere in discussione le primarie e i chiari risultati che hanno sancito».
Se portata sul palcoscenico potrebbe essere una godibile commedia, quasi un apologo su quel PD che non soltanto perde i suoi connotati iniziali, ma è sempre più dipendente e preda di esponenti del centrodestra. Ma, in realtà, è davvero una tragedia: sia per quella cosa che continua a chiamarsi – non si sa bene perché – Partito Democratico e che è formata da un’accozzaglia di persone che non amano stare insieme e che la pensano molto diversamente tra loro, sia, soprattutto per il centrosinistra, che dovrà ricostruire, con fatica e dedizione, il suo centro di gravità, magari cominciando da qualcosa che può unire come il NO alla consultazione di ottobre che – va ricordato sempre e con forza – è un referendum contro le riforme costituzionali volute da Renzi e non un plebiscito contro Renzi stesso. Perché il destino della nostra Costituzione e della nostra democrazia è infinitamente più importante di quello dell’attuale presidente del Consiglio e segretario del PD.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Secondo atto: su internet appare un filmato in cui si vede qualcuno, all’ingresso dei seggi, dare un euro a degli elettori in cambio di un voto per la Valente. Lasciando pur perdere ogni considerazione sui prezzi stracciati, è qualcosa che in altri tempi avrebbe fatto urlare di indignazione. La Valente è imbarazzata, mentre Bassolino, sempre più infuriato, minaccia ricorso. «Aspettiamo i risultati della commissione del partito che deve esaminare come sono andate le cose», dice. E poi aggiunge: «Trovo ridicole le spiegazioni che sono state date; mi sembra una ferita chiara e profonda per tante persone che hanno creduto nella partecipazione democratica».
Terzo atto: sempre tramite registrazioni video, si apprende che alcuni esponenti di centrodestra hanno presidiato i seggi e accompagnato i cittadini al voto, in alcuni casi distribuendo anche l'euro per la sottoscrizione. Tra gli altri, sono individuati Claudio Ferrara, assessore di centrodestra della VIII Municipalità, già candidato alle elezioni politiche del 2013 con Berlusconi e poi ritirato dopo l'esclusione dalla lista di Nicola Cosentino, suo referente politico, e di Giorgio Ariosto, candidato nel 2011 per la VIII municipalità del Comune di Napoli con Popolari Italia Domani, partito fondato da Totò Cuffaro, poi non eletto. Ariosto dice di essere passato al Partito Democratico.
Quarto atto: mentre Bassolino presenta ricorso e fa la figura del cavaliere senza macchia, la Valente tenta, con faccia tosta degna di un Oscar, di difendere la sua “vittoria” dicendo che «sarebbe una schifezza sporcare tutto partendo da questi fatti» e, anzi, tenta addirittura di blandire Bassolino e di coinvolgerlo dicendo che «lui è una testa, non è da rottamare».
Quinto e ultimo atto: cominciano le surreali reazioni dei dirigenti nazionali del PD. Il presidente Matteo Orfini – sì, proprio quello che dovrebbe garantire l’onorabilità, la democraticità e la trasparenza del partito – afferma che «il risultato delle primarie di Napoli non è in discussione» e che la consultazione «non va annullata». E incredibilmente aggiunge: «Se ci sono stati illeciti, anche non penalmente rilevanti ma discutibili, nel merito della regolarità dello svolgimento del singolo caso, è giusto che si prendano provvedimenti per quel singolo caso». E a dargli man forte si precipita il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini: «È inaccettabile mettere in discussione le primarie e i chiari risultati che hanno sancito».
Se portata sul palcoscenico potrebbe essere una godibile commedia, quasi un apologo su quel PD che non soltanto perde i suoi connotati iniziali, ma è sempre più dipendente e preda di esponenti del centrodestra. Ma, in realtà, è davvero una tragedia: sia per quella cosa che continua a chiamarsi – non si sa bene perché – Partito Democratico e che è formata da un’accozzaglia di persone che non amano stare insieme e che la pensano molto diversamente tra loro, sia, soprattutto per il centrosinistra, che dovrà ricostruire, con fatica e dedizione, il suo centro di gravità, magari cominciando da qualcosa che può unire come il NO alla consultazione di ottobre che – va ricordato sempre e con forza – è un referendum contro le riforme costituzionali volute da Renzi e non un plebiscito contro Renzi stesso. Perché il destino della nostra Costituzione e della nostra democrazia è infinitamente più importante di quello dell’attuale presidente del Consiglio e segretario del PD.
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