Scrive
giustamente Vittorio Zucconi che «c’è un fatto nuovo nel conflitto
antico fra Israele e Hamas: l’indifferenza del resto del mondo e
l’ammissione esplicita di impotenza». E poi prosegue in una lucida
analisi della disperata situazione internazionale.
Questo accostamento tra indifferenza
e impotenza merita, però, un approfondimento perché, in realtà,
dovrebbero essere termini contrapposti e non conseguenti. L’impotenza,
infatti, è un sentimento di rabbia e di frustrazione per qualcosa che si
vorrebbe, per la quale ci si impegna, ma che non si riesce a fare.
L’indifferenza, al contrario, è la beatificazione dell’accidia, della
volontà di non muoversi al di là del necessario, della totale
insensibilità – e, quindi, inumanità – nei confronti degli altri.
Moravia, del resto, non a caso ha intitolato il suo probabilmente
miglior romanzo “Gli indifferenti” e non “Gli impotenti”,
perché fosse evidente il disprezzo e la condanna per quella borghesia
italiana che negli anni Venti ha permesso, con la sua ignavia, che i
fascisti – allora scalmanata, ma esigua minoranza – potessero prendere
il potere e poi dominare e guastare l’Italia per un ventennio.
È importantissimo, quindi, capire se
noi stessi siamo impotenti, oppure indifferenti. Nel primo caso
potremmo fare moltissimo visto che la storia è zeppa di esempi di
teorici “impotenti” che sono stati capaci – individualmente, o in gruppo
– di rovesciare situazioni apparentemente senza via d’uscita e di
imporre nuove strade a vite individuali, a collettività, o, addirittura,
in rari casi, al mondo. Nel secondo caso possiamo smetterla di sperare,
ma anche di lamentarci perché i primi colpevoli sono proprio quelli che
pensano di potersene fregare degli altri e che la fatica di rimettere
le cose a posto debba toccare sempre agli altri.
E questo riguarda sia i cosiddetti
potenti, sia qualsiasi essere umano perché la differenza vale sia per il
mondo, sia per le piccine cose di casa nostra.
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