L’epurazione
di Vannino Chiti e di Corradino Mineo dalla commissione Affari
Costituzionali, decisa dal vertice del PD è una di quelle storiacce che
in politica lasciano il segno, non soltanto per i fatti in sé e per la
conseguente autosospensione di 14 senatori dem, ma anche e soprattutto
per i commenti che ne sono seguiti. Ne cito alcuni. Il sottosegretario
Luca Lotti: «Credo che 10 senatori non possono permettersi di mettere in
discussione il volere di 12 milioni di elettori». La ministra per le
Riforme Maria Elena Boschi: «Nessuno ha chiesto loro di autosospendersi.
Dovranno essere loro a decidere se far parte del processo di riforme, o
fare una scelta diversa». Renzi: «Un partito non è un taxi che uno
prende per farsi eleggere». Renzi: «Non lasciamo a nessuno il diritto di
veto. Conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche
politico che vuole bloccare le riforme».
Nel
malessere generale che attraversa il partito e nel compiaciuto silenzio
di altri, l’unica voce decisamente a favore del provvedimento contro
Chiti e Mineo arriva dai grillini, quelli che hanno deciso di allearsi
in Europa con la destra razzista di Farange, che sanno benissimo che, se
non si adeguano al volere del capo, vengono espulsi.
A
questo punto, però, va chiarito che il problema attuale mette in
secondo piano quello originale (Senato elettivo, oppure no?), perché la
questione ormai riguarda soprattutto la democrazia all’interno di un
Partito che si fa chiamare Democratico, la democrazia in generale di
questo nostro Paese e il diritto di opinione e di parola che vale per
tutti, ma che è ulteriormente specificato e arricchito per deputati e
senatori dall’articolo 67 della Costituzione: «Ogni membro del
Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza
vincolo di mandato».
A
parte il risibile fatto di tentare di esagerare cifre che non ne hanno
assolutamente bisogno (i voti sono 11 milioni e 200 mila e non 12
milioni e gli autosospesi sono 14 e non 10), la prima cosa da mettere in
rilievo è che continua il tentativo di appropriazione indebita da parte
del premier di quei voti ottenuti dal PD non per stima nei confronti di
Renzi, ma per timore del sorpasso di Grillo, oppure, in prospettiva
europea, nella speranza di veder andare Schultz a capo della
Commissione.
Poi
è vero che un partito non è un taxi da usare per farsi eleggere, ma va
ricordato, al di là dell’articolo 67, che quando Mineo e Chiti sono
stati eletti quel taxi era guidato da Bersani e che il nuovo guidatore e
la nuova meta sono stati decisi a corsa già iniziata e che la
legittimazione popolare, pur indiretta, è arrivata sempre in corsa.
Ma
soprattutto è incontrovertibile che nessuno di noi cittadini ha diritto
di veto, ma è altrettanto vero che tutti abbiamo diritto di voto. E
allora mi chiedo: quanti saranno coloro – soprattutto tra quelli che
sono malati di democrazia e credono nell’unità del centrosinistra – che
dicono e diranno: «Dodici milioni di voti? Adesso, meno uno.»?
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