«È l'Europa che ce lo chiede». È questa la frase apparentemente taumaturgica con cui si cerca di far ingurgitare agli italiani qualsiasi provvedimento indigesto, se non addiruttura qualche vera e propria "porcata". Poi vai a vedere e scopri che nel 95% dei casi l'Europa non si è nemmeno sognata di toccare l'argomento e tantomeno di chiederne conto all'Italia. Quello della responsabilità civile dei magistrati è l'ultimo, clamoroso esempio.
Ma la cosa che più colpisce non è l'uso improprio che viene fatto di questa frase, quanto quello che nasconde; o, meglio, che rivela. Perché si capisce benissimo che l'Europa è intesa da buona parte del nostro mondo politico come un'entità "altra", forse addirittura aliena, comunque lontana da noi che pure siamo tra i padri fondatori di questa comunità di Stati. Un'Europa alla quale non si può disobbedire se si vuol far passare quacosa che interessa al proponente e disturba la maggioranza degli italiani. Un'Europa alla quale non si deve obbedire se si vuol bloccare un'iniziativa sgradita ad alcuni - tanto per fare un esempio, ai leghisti - anche se trova consensi nella maggior parte degli italiani.
Verrebbe da disperarsi a questa reciproca estraneità tra parte del mondo politico italiano ed Europa, non fosse per il fatto che c'è una notevole estraneità anche tra parte del mondo politico italiano e Italia. E questo, sia chiaro, non è un'inno all'antipolitica e alla distruzione dei partiti, bensì un inno alla politica vera, quella che cerca il bene comune, e ai partiti veri, quelli che devono essere la cinghia di trasmissione di idee e bisogni dal popolo ai luoghi dove si governa e si amministra.
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