Ricominciare dall’inizio. Detto così potrebbe sembrare una vuota ovvietà e, invece, è cosa fondamentale se per inizio intendiamo l’articolo 1 della nostra Costituzione: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
La cosa è apparsa evidente nella giornata inaugurale del congresso regionale della Cgil del Friuli Venezia Giulia.
Sabato avevo ascoltato il discorso di Berlusconi che aveva materializzato un’atmosfera mefitica, crepuscolare e infestata di veleni, anche se lui cerca di farsi passare come piazzista dell’amore. Poco dopo avevo ascoltato le reazioni di Bersani, decisamente più dignitose e degne, ma obbligatoriamente impoverite dal fatto di essere obbligate a reagire agli attacchi di piazza San Giovanni. Ieri, finalmente, ascoltando don Pierluigi Di Piazza prima, e Franco Belci dopo, ho respirato nuovamente quell’aria pulita che soltanto la politica vera sa offrire, quella politica che si occupa del bene della gente molto prima che del risultato delle elezioni. Da un prete e da un sindacalista ho sentito parlare nuovamente di lavoro e di diritti, di democrazia e di solidarietà, di modelli economici e di conseguenze sociali, di crisi istituzionali e di decadenza etica.
Ho finalmente sentito parlare di nuovo di politica vera, insomma. Di quella stessa politica in nome della quale Barak Obama è riuscito a donare agli Stati Uniti d’America il suo primo vero welfare. Parziale, magari, ma preziosissimo come sono preziosissimi tutti i primi passi sulla strada del vero progresso. Una politica per la quale il potentissimo Presidente degli Stati Uniti ha ritenuto giusto mettere a rischio la sua presidenza; ha ritenuto di mettere fortemente a repentaglio fin da oggi la sua possibile futura rielezione.
E lo ha fatto perché lui non ha dimenticato mai la Costituzione del suo Paese, quella costituzione che pone tra i suoi principi fondamentali anche il diritto alla ricerca della felicità. Lo ha fatto anche se lui, come del resto quasi tutti noi, non è capace di definire esattamente cos’è la felicità. Ma sa benissimo cos’è l’infelicità e ha fatto di tutto per portare un altro fuscello sulla diga che speriamo possa servire a evitarla a noi e ai nostri simili.
Obama, quella parte del sindacato italiano che rifiuta di rinunciare ai diritti di tutti sperando ai poter accettare il meno peggio, quella parte della Chiesa che non dimentica l’incredibile potenza rivoluzionaria del Vangelo sulla strada dell’uguaglianza e della pari dignità, ci hanno indicato ancora una volta la strada per uscire dalla palude nella quale ci siamo cacciati per neghittosità. È un insegnamento facile e contemporaneamente difficilissimo: non aver paura di sognare un mondo diverso e più giusto. E soprattutto non aver paura di fare di tutto pur di tentare di realizzarlo.
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