Mentre continuano a essere formulate accuse gravi non soltanto contro il presidente del consiglio, ma anche e soprattutto contro larghi strati del suo apparato di governo, ultimo in ordine di tempo il sottosegretario Guido Bertolaso, già destinato da Berlusconi a qualche dicastero, e mentre c’è da scommettere che da oggi ci sarà una nuova campagna contro le intercettazioni telefoniche, visto che anche l’ultimo scandalo si è autorivelato via telefono, mi sembra molto opportuno fare alcune riflessioni partendo dai commenti al mio intervento precedente su questo blog.
Leggendo le parole intime e sofferte di Eline e di Maria Zaffira Secchi e quelle un po’ burbanzose di Silvano R., viene naturale chiedersi cosa sia davvero questa “menzionata” – come dice Silvano R. – democrazia. E una prima risposta, visto che anche il mio ultimo interlocutore, come tutto il Pdl, parla soltanto di numeri, vorrei darla ricordando che le elezioni sono condizione necessaria, ma non sufficiente per stabilire se in democrazia davvero siamo. La condizione necessaria, invece, resta la potestà popolare di poter cambiare idea e, con questa, governo; anche prima, ove necessario, dei canonici periodi elettorali.
Per capirci con un esempio che non intende fare parallelismi con il presente, i tedeschi hanno sicuramente portato al governo Hitler con elezioni regolari, ma poi non hanno più potuto disfarsene anche se il suo regime era diventato quanto di più criminale si possa immaginare. Si dirà: ma la maggior parte dei tedeschi era nazista, come la maggior parte degli italiani era fascista. Giusto, ma una vera democrazia continua a mantenere in sé gli anticorpi – i due più efficaci si chiamano etica e informazione pluralista – capaci di mettere al riparo dalle derive autocratiche.
Ripeto: il paragone tra allora e oggi va limitato esclusivamente al livello di analisi sul valore dei risultati elettorali e su quello dei meccanismi democratici, anche se il razzismo leghista e il populismo e il machismo berlusconiano secondo me sono forieri di gravi rischi anche in una gestione dei diritti e dei doveri sempre più caotica e sempre più iniqua visto che stiamo attraversando una stagione nella quale, pensando a sé, i diritti valgono infinitamente più dei doveri, mentre pensando agli altri accade esattamente l’opposto. E, poiché questo succede anche a livello istituzionale, possiamo dire che è stato legittimato l’egoismo come forma politica e anche di riconoscimento sociale.
Ed è in questo inesausto darsi da fare per allargare la sfera dei diritti propri e dei doveri altrui che si sta consumando il crepuscolo di un’Italia i cui cittadini non hanno mai saputo fare i conti con la propria storia comune; figuriamoci con la propria storia personale.
Ed è così che molti dei nostri politici più potenti, ma anche di mezza tacca – magari potessimo vederli tutti in uno schieramento soltanto – si convincono di agire non contro la legge, ma al di fuori o al di sopra della legge. E non si rendono conto che il loro agire in questo senso è addirittura più grave in quanto contribuisce a demolire per tutti un edificio di regole che loro stessi vogliono dimostrare che sono relative e non assolute.
Certi si accodano e approfittano dell’andazzo. Certi altri si rassegnano, ma c’è da chiedersi quale sia il confine tra rassegnazione e connivenza.
Dicevo prima: magari potessimo vedere questi politici che non si ritengono uguali agli altri in uno schieramento soltanto. E allora diventa per me obbligatorio dire perché scelgo comunque il centrosinistra e non il centrodestra anche se, come dice Silvano R., “la gente non vota dalla vostra parte, o continua a votare dalla parte opposta”.
Il perché è presto detto: almeno come principio – e non è davvero poco – la parte che scelgo parla di solidarietà, di uguaglianza di desiderio di bene comune e rifiuta ogni discriminazione legata a colore della pelle, lingua, nazionalità, religione, gusti di abbigliamento, gastronomici o sessuali.
Potrebbe anche bastare. Ma ulteriormente importante è il diverso atteggiamento degli uomini pubblici che si trovano invischiati in scandali di vario tipo: nel centrosinistra il 95 per cento abbondante si dimette e si mette a disposizione della magistratura; nel centrodestra il 100 per cento resta al suo posto e vorrebbe far dimettere – o, per essere più precisi, dismettere – i magistrati.
Razionalmente e anche statisticamente mi sembra impossibile che tutti gli innocenti siano a destra e tutti colpevoli a sinistra. E a dimostrarlo ci sono anche delle sentenze di Cassazione. Se poi dicono che Berlusconi deve governare e non ha tempo da perdere con la giustizia, su questa teoria ci sarebbe molto da discutere. Ma totalmente indifendibile è il, tentare di estendere i benefici a ministri, sottosegretari, parenti e amici.
È incontrovertibilmente vero che tutti sono innocenti fino alla definizione definitiva di un giudizio che indichi il contrario, ma devo ammettere che quando vedo che qualcuno tenta di sfruttare tutti i trucchi legali possibili per evitare il giudizio e addirittura, se questi non gli bastano, fa votare leggi che cambino le regole del gioco, depenalizzino reati, anticipino le decorrenze dei termini e tentino di sottrarre al giudizio anche coloro che potrebbero involontariamente coinvolgere colui che “deve” governare, allora non riesco a togliermi dalla testa lo sgradevole sospetto che quel qualcuno possa essere davvero colpevole.
E allora, se il voto ci ha dato torto, in attesa di uno che ci dia ragione, sono convinto che sia ancora fondamentale “resistere, resistere, resistere” esplicitamente e pubblicamente perché sono sempre le regole e l’etica a essere le fondamenta della democrazia. Il voto resta sempre soltanto la facciata. E questo vale a prescindere da chi vinca perché in nessun caso – e questo la storia ce lo insegna clamorosamente – chi riceve più voti, o più applausi ha anche automaticamente ragione.
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