giovedì 16 febbraio 2012

Un senso di soffocamento

La sentenza di proscioglimento per prescrizione nei confronti di Berlusconi sul caso Mills mi lascia un senso di soffocamento. I più penseranno che questo mi accada in quanto penso che l'ex presidente del Consiglio sia colpevole dei reati per i quali era imputato. Ma non è così.
O meglio, la mia sensazione è che l'imputato sia colpevole, ma quello che mi sconvolge è la prescrizione.
Una condanna, o un'assoluzione, avrebbero dato la stura a tutta una serie di commenti acidi e diametralmente opposti, ma la prescrizione mi appare come il chiodo definitivo sulla cassa funebre della Giustizia perché, se l'errore dei giudici - in un senso o nell'altro - non può essere evitato, la prescrizione dimostra definitivamente che la giustizia dei ricchi non è la giustizia dei poveri e che quindi Giustizia non c'è. Soltanto un ricco poteva, infatti, permettersi stuoli di avvocati impegnati non a dimostrare l'innocenza del proprio cliente, bensì a scovare tutti i cavilli possibili per tirare in lungo la causa e arrivare, appunto, alla prescrizione.
Il fatto che molte delle leggi che hanno permesso questo scempio siano state ideate e approvate proprio per aiutarlo in questo e in altri processi, rende ancora più penosa la situazione perché mette bene in luce come Giustizia e Democrazia siano strettamente legate: se una manca anche l'altra cede. E sicuramente è più facile, nei nostri giorni, cominciare l'opera di demolizione dalla Giustizia.

Informazione e spettacolo

Il problema è sempre quello delle regole che, se davvero sono tali, devono essere uguali per tutti.
Se le leggi proibiscono a tutti di dare del "deficiente" a un'altra persona in pubblico, questo deve valere anche per gli artisti e le persone famose in genere e, a maggior ragione, questo vale se le parole vengono pronunciate in televisione davanti a milioni di spettatori.
Se non è democratico impedire agli altri di manifestare le proprie idee, ancor meno democratico è chiedere la chiusura di due giornali come "Famiglia cristiana" e "Avvenire" che, tra l'altro - ma questo non c' entra con l'argomeno in questione - sono state le uniche due voci giornalistiche cattoliche a richiamare con forza i doveri etici nel periodo dell'abisso morale berlusconiano.
Questi sono i peccati mortali dell'esibizione di Adriano Celentano - perché è a lui che ovviamente mi sto riferendo - a Sanremo. Per le altre cose che ha detto, a grattare sotto la spessa crosta di populismo,si può arivare a raggiungere qualche sostanza sulla quale si può essere d'accordo o meno, ma che non deve essere censurata - proprio come per i giornalei - specialmente se pone in primo piano argomenti di cui si parla troppo poco. Poi, quando canta, continua a essere, 
invece, una delle icone del pop non solo italiano.
La sua esibizione è stata utilissima - se la si vorrà tenere presente - perché è probabilmente l'esempio più clamoroso e avvilente di cosa succeda a mescolare senza alcuna attenzione informazione e spettacolo, una pratica che per decenni è stata fatta in Italia senza che si sentissero troppe opposizioni, nemmeno tra gli addetti ai lavori. E ora sono in tanti a non distinguere più tra informazione e spettacolo, ma neppure - ed era inevitabile - tra politica e spettacolo.

domenica 5 febbraio 2012

Se si cancellano i poteri

L'inattesa decisione della Camera, di infilare in un'altra legge anche un emendamento che va a rispolverare la teoria della responsabilità civile dei giudici e di approvarlo viene definito da quasi tutti i partiti "un incidente di percorso". Io, invece, visto anche che la maggior parte dei voti favorevoli è arrivata dal partuito di Berlusconi, Io considero un ennesimo tentativo di vendetta contro quella magistratura che ha avuto l'incredibile impudenza di pensare che tutti i cittadini italiani - Berlusconi compreso - debbano essere uguali davanti alla legge.
Se poi qualcuno può credere che la paralisi effettiva del 90 per cento della magistratura - che, per timore di ritorsioni pecuniarie scegliera non la sentenza che ritiene più giusta, ma quella che ritiene meno rischiosa -sia una vittoria per la democrazia, lo creda pure: è padrone di farlo, anche se deve dimenticare che in Italia ci sono ben tre gradi di giudizio e anche che per ogni arresto ci sono più occhi che intervengono separatamente.
Ove fosse come dice il proponente dell'emendamento, allora non si capirebbe perché anche i parlamentari - quelli che hanno proposto e votato leggi sbagliate tecnicamente ancor prima che eticamente, oppure quelli che agli ordini di Berlusconi hanno fermato e semidistrutto l'Italia e le sue già dissestate finanze per quasi vent'anni per favorire la ricchezza e l'immunità del loro capo - non debbano sottostare a una legge sulla responsabilità civile dei parlamentari e dei ministri: dopotutto, seguendo il ragionamento che porta alla responsabilità civile dei magistrati, una legge sbagliata fa male a molte più persone che una sentenza sbagliata.
Eppure, per una volta, devo confessare che sono d'accordo con Berlusconi che rifiuta con terrore una simile possibilità. Il fatto è che lui la rifiuta per timore per sé, io la rifiuto per timore per la democrazia in quanto la nostra Costituzione non per nulla definisce poteri quello Esecutivo, quello Legislativo e quello Giudiziario e nell'articolo 104 fissa che debba essere autonoma e indipendente da ogni altro potere. Il fatto è che un potere di qualcuno è sempre un rischio per gli altri, ma, senza quei tre poteri fissati dai padri costituenti, la società comincerebbe a sfarinarsi e il punto d'arrivo sarebbe molto aleatorio e - ne sono convinto - anche molto rischioso.
Se ci pensare è molto strano che uomini che si definiscono di destra ritengano che l'ordine debba valere per tutti, eccezion fatta per i politici, e che la libertà di azione di coscienza senza pressioni esterne, debba valere soltanto per i politici e per nessun altro. Che dietro a questo atteggiamento ci siano ancora quelle suggestioni berlusconiane che hanno mandato l'Italia nelle ultime posizioni delle classifiche di merito tra le nazioni del mondo, tranne che in quella della corruzione?

venerdì 3 febbraio 2012

Estranei noi, o estranea l'Europa?

«È l'Europa che ce lo chiede». È questa la frase apparentemente taumaturgica con cui si cerca di far ingurgitare agli italiani qualsiasi provvedimento indigesto, se non addiruttura qualche vera e propria "porcata". Poi vai a vedere e scopri che nel 95% dei casi l'Europa non si è nemmeno sognata di toccare l'argomento e tantomeno di chiederne conto all'Italia. Quello della responsabilità civile dei magistrati è l'ultimo, clamoroso esempio.
Ma la cosa che più colpisce non è l'uso improprio che viene fatto di questa frase, quanto quello che nasconde; o, meglio, che rivela. Perché si capisce benissimo che l'Europa è intesa da buona parte del nostro mondo politico come un'entità "altra", forse addirittura aliena, comunque lontana da noi che pure siamo tra i padri fondatori di questa comunità di Stati. Un'Europa alla quale non si può disobbedire se si vuol far passare quacosa che interessa al proponente e disturba la maggioranza degli italiani. Un'Europa alla quale non si deve obbedire se si vuol bloccare un'iniziativa sgradita ad alcuni - tanto per fare un esempio, ai leghisti - anche se trova consensi nella maggior parte degli italiani.
Verrebbe da disperarsi a questa reciproca estraneità tra parte del mondo politico italiano ed Europa, non fosse per il fatto che c'è una notevole estraneità anche tra parte del mondo politico italiano e Italia. E questo, sia chiaro, non è un'inno all'antipolitica e alla distruzione dei partiti, bensì un inno alla politica vera, quella che cerca il bene comune, e ai partiti veri, quelli che devono essere la cinghia di trasmissione di idee e bisogni dal popolo ai luoghi dove si governa e si amministra.