martedì 22 settembre 2009

PD 8 - Libertà di primo grado

L’ultima tra le tante cose che vorrei chiedere al PD è una definitiva chiarezza nel rapporto tra “laici” e “credenti”, anche se queste due definizioni sono rozzamente semplificate e, quindi mistificanti perché il panorama è infinitamente più complesso. È un punto fondamentale: da sempre ritengo che non ci sia incompatibilità tra la fede (o il dubbio) e la sinistra e, anzi, sostengo che chi crede non dovrebbe neppure ipotizzare di voler votare a destra perché se è vero che Dio ci ha fatto tutti uguali, da quella parte trovo solo separazioni e diversità.
Il fatto è che il dialogo è difficile perché entrambe le parti fanno di tutto per non capirsi. La Chiesa talvolta sembra dare importanza soltanto ad alcuni comandamenti. È difficile capire, per esempio, perché il Papa non parli con la stessa sdegnata potenza e la medesima frequenza che usa per condannare l’aborto, la fecondazione assistita o le cellule staminali, contro la guerra, o contro quel liberismo che ha portato con sé, pur con percorsi diversi, la stessa negazione dell’uomo e di Dio che è stata imputata al cosiddetto socialismo reale. Eppure, già da prima che Leone XIII lo ricordasse nella Rerum novarum, da sempre tra i «peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio per la loro straordinaria malizia» ci sono anche l’«opprimere i poveri» e il «defraudare della giusta mercede i lavoratori». E per me è impossibile anche capire come, con crudele intransigenza, si sia potuto rifiutare il funerale religioso a Piergiorgio Welby.
Ma anche la sinistra è riuscita a fare cose senza senso: impedire il discorso del Papa a La Sapienza ha avuto più un sapore di censura aprioristica che di laicità. Folle, poi, applaudire Bossi che dice al Papa di occuparsi solo delle cose vaticane, quando il Papa lo redarguisce sui diritti umani calpestati dalla Lega.
Con questi presupposti non sarà facile arrivare a un incontro, ma ci si deve provare. E sono tre, secondo me, i punti su cui si deve sviluppare il ragionamento.
Punto primo. Peccato e reato non sono coincidenti. Lo fossero, non soltanto sarebbe impossibile la convivenza tra persone di religione diversa per le quali la "materia grave" non sempre è la stessa, ma addirittura la democrazia rischierebbe di essere considerata null’altro che un terribile peccato di superbia in quanto si pretenderebbe di mettere in discussione scelte già effettuate dall’alto. Anzi, dall’altissimo.
Punto secondo. La libertà di parola è un diritto di tutti. Nostro, ma anche della Chiesa, sia a livello dei vertici vaticani, sia a quello di tanti sacerdoti che sono cittadini italiani, anche per dare a tutti la possibilità di avere "piena avvertenza" su quello che si sta facendo. Del resto, visto che questo diritto non è minimamente negato a gente come Borghezio, Brunetta e Capezzone (giusto per fare solo alcuni esempi), non si capisce perché dovrebbe essere tolto a persone sicuramente più serie.
Punto terzo. L’unica soluzione possibile è quella della libertà di coscienza, ma non di quel simulacro vuoto di libertà di coscienza di cui vanno cianciando i nostri parlamentari, bensì di una libertà di coscienza vera ed effettiva, una libertà per così dire di primo grado, che diventi un bene di tutti i cittadini italiani e non soltanto di alcuni. È ridicolo, infatti dire che deputati e senatori possono votare secondo coscienza se l’effetto del voto è quello di togliere la libertà di coscienza agli altri. A loro dovrebbe toccare – se credono davvero che il punto uno e il punto due siano incontrovertibili – soltanto di non incatenare con il proprio voto la coscienza altrui. Poi ognuno potrà scegliere se peccare o meno. Con sua "piena avvertenza" e conseguente piena responsabilità. E con la certezza che il giudizio vero toccherebbe a Dio, se c'è, e a nessun altro.
Perché ai tre poteri dello Stato spetta di fare in modo che non ci siano reati, non che non ci siano peccati. Perché nella democrazia rappresentativa si delegano alcune scelte, non tutte; almeno non quelle che possono costringere un uomo a disprezzarsi. Questo può avvenire soltanto nei regimi totalitari.
Con buona pace di tutti credo che il Partito Democratico dovrebbe lasciare ai cittadini italiani non un rimasuglio di libertà, ma una vera libertà di primo grado. Almeno se spera di riuscire ad allargare il suo elettorato ai tantissimi delusi dalla democrazia italiana.

martedì 15 settembre 2009

PD 6 – Promettere e fare

Berlusconi non ha più limiti. Fa attaccare violentemente dal suo dipendente più pagato e spietato l’(ex?)alleato Fini; non può ancora chiudere giornali, ma blocca le trasmissioni delle sue reti televisive e fa rimandare quelle della Rai pur di non avere concorrenza nello spot che pensa di ammanire ai telespettatori sui “successi” ottenuti nella ricostruzione d’Abruzzo; spot falso come tutta la pubblicità che si rispetti. Attacca la libertà di stampa in Italia e tenta di farlo anche all’estero. Riduce l’Italia a un punto tale che l’ONU – prorpio l’ONU. Ufficialmente – la disprezza e la redarguisce perché non rispetta i diritti umani. Pretende che la Chiesa valuti il comportamento morale in maniera diversa se il giudizio riguarda lui o gli altri. E così via, ma la lista intera sarebbe troppo lunga.
In questa situazione potrebbe sembrare assurdo continuare a parlare del prossimo congresso del PD, ma così non è perché è necessario pensare a come accelerare una caduta che è già cominciata e, soprattutto, farsi trovare pronti a raccogliere i cocci di quello che Berlusconi ha distrutto per tentare di rimetterli insieme. E, come ho detto all’inizio di queste chiacchierate, il Pd è l’unico in questo momento (visto le divisioni della sinistra e le alleanze variabili del centro) a poter ambire a rivestire il ruolo di catalizzatore delle forze di opposizione per trasformarle in forza di governo.
Ma questo potrà avvenire soltanto se saprà attrarre quelle tante centinaia di migliaia di elettori che non vanno più alle urne perché delusi dalle promesse tante volte pronunciate e mai mantenute.
Una tra le più importanti balza prepotentemente in primo piano proprio in questi frangenti ed è quella legata a una legge sul conflitto di interessi. Il centrosinistra per due volte è riuscito ad andare a Palazzo Chigi e per due volte non ha ritenuto che il conflitto di interessi fosse davvero un’emergenza nei fatti oltre che nelle parole.
Se il centrosinistra non avesse tergiversato e tradito la fiducia di milioni di elettori, oggi non saremmo in questa condizione in cui l’emergenza democratica non è un rischio, bensì una realtà. E la libertà di stampa non deve e non può interessare soltanto me e i miei colleghi giornalisti: deve fare parte della vita di chiunque creda davvero nella democrazia con la sua separazione di poteri e con il suo complesso ma insostituibile sistema di controlli e contrappesi che ne garantisce la sopravvivenza.
Perché questa volta dovremmo credere alle promesse del Pd? Sinceramente non lo so, ma sono sicuro che se qualcuno desse davvero l’impressione di credere in quello che promette e se sul conflitto di interessi si impegnasse con forza, molti tornerebbero a votare volentieri.
Poi ci sono molte altre cose su cui impegnarsi, ma su queste tornerò domani.

giovedì 10 settembre 2009

PD 5 - Pensieri e parole

Dopo aver parlato di come vorrei che fosse il Pd, adesso comincio a dire cosa vorrei che facesse.
Ripeto quello che ho già detto nel primo di questi piccoli ragionamenti che non riescono a trovare né apprezzamenti, né contraddittori scritti (ringrazio, a proposito, Simonetta Cortolezzis), anche se quelli parlati, detti di persona non sono mancati: il mio intento non è quello di imporre alcunché al Pd (sarebbe assurdo), ma semplicemente di esplicitare quelli che secondo me e molti altri che hanno avuto passione politica, pur senza sottoscrivere tessere, sono delle scelte fondamentali perché il partito possa coagulare attorno a sé e far tornare a votare molti delusi, e perché abbia maggiori possibilità di allacciare alleanze con una sinistra che prima o dopo dovrà finirla di cullare quel “cupio dissolvi” che la sta togliendo dalla vita del Paese.
Una delle cose che più si desidererebbe è sicuramente quella di tornare a sentire prese di posizioni nette davanti ad avvenimenti e a scelte del governo che, invece, riescono a passare quasi sotto silenzio. L’accusa non è quella di mancanza di pensiero, perché poi, nelle riunioni e nelle chiacchiere i ragionamenti escono chiari e netti; l’accusa è che ai pensieri non seguono le parole in una continua attenzione a non sbilanciarsi per non scoprire il fianco né di fronte agli avversari esterni, né davanti a quelli interni.
Un esempio? Ho atteso invano che la maggior parte del partito insorgesse davanti alle frasi più volte ripetuta da organismi economici internazionali, governo e Confindustria che la crisi – riassumo in maniera grezza – è ormai quasi conclusa e che comincia la risalita economica, ma non per il lavoro che, invece, continuerà a reclamare vittime anche nel 2010.
Quello che mi sarei aspettato da sentire – e con voce indignata e magari anche sopra le righe – dalla maggior parte dei dirigenti del Pd è che questa dichiarazione è stupida e, quindi, inaccettabile. Come si può parlare di crisi finita, se la gente continua a perdere il lavoro, se sempre più famiglie non riescono più a far fronte a debiti e mutui, se non riescono ad arrivare a fine mese?
Attenzione: la mia non è un’affermazione comunista che fa rivivere antiche e non risuscitabili lotte di classe. È anche una considerazione di schietto capitalismo, di quel capitalismo economico, ben s’intende, che si basa sull’incremento della produzione di beni materiali e di servizi, e non di quel capitalismo finanziario che si fonda, invece, esclusivamente sulla circolazione di denaro fittizio e sulla creduloneria di tantissime persone che spesso credono di avere a che fare con persone serie e invece si trovano davanti a truffatori in giacca e cravatta.
Se non c’è lavoro la crisi non può passare perché non ci sono stipendi, quindi, non ci sono i mezzi per far girare quel mercato che, in una società come la nostra, è l’unico propellente possibile per lo sviluppo. Molti lo dicevano anche quando gli imprenditori cominciavano a delocalizzare: sono stati accusati di comunismo e oggi si vede che erano semplicemente persone capaci di ragionare con la loro testa. Oggi quel messaggio andrebbe ripreso.
E il Pd dovrebbe farlo non soltanto per il mercato, ma per ogni uomo e ogni donna di questa Italia perché il lavoro non significa soltanto stipendio, ma anche dignità e coscienza di essere utile a se stesso e agli altri.

martedì 8 settembre 2009

PD 4 – Sostanza, non apparenza

Mentre molti analisti politici, anche del centro-destra, stanno individuando nelle scomposte azioni e reazioni di Berlusconi e dei suoi stipendiati le avvisaglie di un mai troppo prematuro tramonto corrusco del signorotto di Arcore, viene un bel po’ di rabbia nel pensare che se il centro-sinistra fosse riuscito a elaborare una strategia comune e a darsi un vero leader autorevole, invece di indulgere a guerre personali e intestine, forse la discesa del cavaliere potrebbe diventare un ruzzolone.
Un leader autorevole, dicevo, perché questo è l’unico aggettivo che è obbligatorio per identificare la prossima guida del Pd e poi – eventualmente e sperabilmente – dell’intero centrosinistra.
Quello dell’unico aggettivo non è una questione secondaria perché troppo si è sentito distinguere in questa fase di faticoso processo di nascita – o almeno di irrobustimento – del nuovo partito di “giovani” e di “vecchi”. Come se l’età potesse essere una discriminante nella scelta, a prescindere dall’autorevolezza, dalla lucidità, dalla capacità progettuale e da quella organizzativa, dall’esperienza, dalla intelligenza nella comprensione su quali siano i punti su cui si può mediare e quali siano quelli sui quali non si può fare nemmeno mezzo passo indietro.
Non sono certamente più di primo pelo, ma non ho nemmeno alcuna ambizione politica e quindi credo di poter dire con intatta credibilità che discriminare tra giovani e vecchi (qual è il confine, poi, tra queste due categorie?) avrebbe lo stesso valore di discriminazioni tra uomini e donne, tra imprenditori e avvocati, tra settentrionali e meridionali, e così via: cioè nessuno.
Quello che importa sono le parole che i candidati sono capaci di pronunciare o di scrivere. Perché le parole hanno di bello questo: che lasciano trasparire pensieri, valori, convinzioni, non facce, rughe o sorrisi. E in politica – almeno in quella che sogno io – sono i pensieri, i valori e le convinzioni, cioè la sostanza, a essere importanti; non l’apparenza.

sabato 5 settembre 2009

PD 3 - Democrazia per davvero

Ti viene il dubbio che sia un po’ strano scegliere di parlare del Pd mentre Berlusconi intasca non soltanto la testa di Boffo, ma anche un nuovo pezzo di quella libertà di stampa che in questo Paese diminuisce sempre più. Ma è proprio per tentare di capire se è possibile mettere democraticamente fine a questa minaccia per la democrazia e per l’Italia stessa che credo sia necessario appuntare la propria attenzione su quello che potrebbe diventare il Pd. E in questo il tema delle primarie non è di piccola importanza.
Ho già parlato del rischio di confondere i simulacri della democrazia con la democrazia stessa: questo, secondo me, può accadere anche per le primarie. Infatti, mentre sono convinto che per scegliere ruoli elettivi siano un’ottima soluzione, ritengo, invece, che adottare lo stesso metodo per designazioni politiche sia un non senso democratico. Se nel primo caso, infatti, il partito decidere di sottoporre ai possibili elettori la scelta su chi potrà essere il candidato con le maggiori possibilità di vittoria in un sistema maggioritario, nel caso della scelta di un segretario politico si va incontro a una semplificazione di giudizio che rischia di essere terribilmente dannosa.
Prendiamo il caso attuale, con tre candidati alla segreteria nazionale. Immediatamente dopo l’ufficializzazione delle candidature, abbiamo assistito a moltissime dichiarazioni di schieramento che indubbiamente – visto la qualità delle persone che le hanno effettuate – sono il frutto di una meditazione, ma che portano con sé anche alcuni difetti.
Il primo è quello che una presa di posizione di questo tipo taglia già in partenza qualsiasi dibattito e, visto che nessuno può essere perfettamente d’accordo, fin nei minimi particolari, su una delle tre mozioni, ne deriva che decade un dibattito interno che invece avrebbe potuto essere più utile ed efficace per qualche correzione e miglioramento.
Ma ancor più grave è che mancano gli eventuali riflessi di questo dibattito sui non iscritti, su coloro che saranno chiamati a votare in seconda istanza, ma che non sono chiamati né a discutere, né ad ascoltare. E che non potranno fare altro che votare per consonanza di intenti all’ingrosso, per stima personale, o per apprezzamenti costruiti nel passato.
Il risultato sarà – anche a livello regionale – che l’elezione toccherà sicuramente a colui che sarà il più gradito all’elettorato del Pd, ma non altrettanto sicuramente a colui che politicamente e organizzativamente sarebbe il più adatto a portare il Pd dall’opposizione al successo elettorale.
Insomma, secondo me è il partito ad avere il dovere, ancor prima che il diritto, di scegliere direttamente i propri dirigenti; e ha il dovere di assumersene la responsabilità senza scaricarne parte sulle spalle di elettori che sicuramente vogliono collaborare, ma che non è detto abbiano tutti i mezzi conoscitivi per effettuare una scelta che, posta in questa maniera, costringe a una semplificazione che è sempre il contrario di partecipazione e, quindi, di democrazia.
Detto questo, andrò sicuramente a votare, da non iscritto, alle primarie: soprattutto per dimostrare che si è ancora in tanti a voler veder cambiare questo Paese, ma con la convinzione che non sempre la novità corrisponde alla soluzione migliore.

martedì 1 settembre 2009

Pd 1 - Un appello per l’opposizione

A Berlusconi non basta più fare il despota in Italia, denunciando giornali e giornalisti o facendoli accusare – anche se con pezze d’appoggio quantomeno discutibili se non false – dai suoi fedeli e pagatissimi dipendenti. Ora, nel suo delirio di onnipotenza, vuole estendere il suo sogno di satrapia anche all’estero. È di oggi la notizia che mister B minaccia l’Unione Europea di bloccare i lavori se i portavoce e i commissari della UE non la finiranno di criticare il suo inumano governo che respinge quei poveri disperati che scappano da guerre e dittature, senza nemmeno permettere loro di chiedere asilo.
E intanto, sempre tramite i suoi organi di stampa, continua a dare false informazioni. Il sito del Giornale titolava “Libia, Gheddafi cede: le Frecce si esibiranno con il fumo tricolore” sottintendendo che non voleranno con il fumo soltanto verde come il satrapo libico aveva preteso. Cede? Tutto sta a intendersi. Cede esattamente come un ricattatore che chiede dapprima cento milioni di euro e poi si accontenta soltanto di 70.
Ma cito le ultime berlusconate soltanto per cominciare un discorso sul Pd, su un Pd del quale c’è un disperato bisogno. Per capirci: non sono iscritto e non sempre l’ho votato, ma in questo momento il Pd mi sembra davvero l’unica possibilità concreta per costituire quel nucleo di opposizione attorno al quale finalmente si coalizzino seriamente tutti i partiti che hanno davvero a cuore le sorti del nostro Paese, che non vogliano vederlo sprofondare nello stesso baratro nel quale sta precipitando il presidente del consiglio pro tempore.
Mi sembra l’unica possibilità perché la miriade di formazioni che stanno più a sinistra dimostrano di essere più interessate a frazionarsi ulteriormente che a pensare davvero al bene del Paese e perché, dalla parte opposta, quella a me meno vicina, l’Udc non potrà mai essere presa sul serio fino a quando continuerà ad avere alleanze con il Pdl dove gli fa comodo, ma anche – non va assolutamente dimenticato – con i razzisti della Lega.
Quindi, almeno per questioni di dimensioni relative, oltre che per vicinanza ideale nella maggior parte dei valori, il Pd diventa fondamentale in questo momento, ma deve essere capace di capire la propria importanza anche in presenza di congressi regionali e nazionali che sembrano previsti più per spaccare che per unire.
È del tutto lontana la me l’intenzione di insegnare qualcosa a qualcuno, e sono anche assolutamente convinto di non possedere la verità, ma credo pure che il Pd continuerà a perdersi e a indebolirsi se continuerà a fare dibattiti soltanto al suo interno, se non ascolterà coloro che dal Pd sono fuori e che però vorrebbero votarlo con convinzione e che, forse, addirittura potrebbero entrarvi.
Io, come tutti coloro che hanno votato alle primarie, ho ricevuto a casa inviti ad andare a votare in occasione delle convocazioni elettorali più importanti. Possibile che lo stesso indirizzario non possa valere per invitare i simpatizzanti a partecipare a dibattiti che vengono annunciati soltanto tramite passa parola o annunci sui giornali? Costa troppo? Basterebbe un foglietto fotocopiato imbucato da qualche ragazzino volontario.
Ho sperato che si arrivasse a un confronto pubblico in cui coloro che vorrebbero votare per il Pd potessero raccontare come lo desiderano, ma per il momento non se ne sente parlare. Forse questa occasione si realizzerà, ma il tempo stringe e a questo punto uso questo spazio per dire quello che io desidero dal Pd, ma anche per dare spazio a coloro che vogliono dire qualcosa in assoluta libertà e non hanno altre possibilità per farlo.
Nei prossimi giorni affronterò a capitoletti tutto quello su cui vorrei che il Pd si impegnasse e spero che la partecipazione dei lettori sia consistente.
Non per il numero di contatti del mio blog, ma proprio per il bene del Pd, dell’opposizione e del nostro Paese.