martedì 28 ottobre 2025

Il giorno dei morti

Non so se la scelta della data sia frutto di una casualità, ma, se così non fosse, bisognerebbe ammettere che chi l’ha decisa è dotato di una dose di humor nero decisamente superiore a quello portato sullo schermo da registi come Luis Buñuel e Marco Ferreri. Il 2 novembre, infatti è stato fissato come ultimo giorno in cui il governo italiano potrà chiedere la cessazione del Memorandum d'intesa con la Libia. Se non lo farà, il 2 febbraio 2026 l'accordo verrà automaticamente rinnovato per altri tre anni.

Per capirci, il Memorandum d'intesa è quel criminale patto che, sotto la copertina che parla di lotta al terrorismo, contiene gli strumenti che l’Italia regala alla Libia – e segnatamente alla sua guardia costiera – per bloccare, magari mitragliandoli i barconi di quei disgraziati che fuggono da guerre, carestie, epidemie, dittature, per cercare di salvare sé stessi e i propri figli. Come se già non bastassero le onde del mare e le disastrose condizioni delle barche, per garantire che ci saranno quelle migliaia di annegati che fanno del Mediterraneo il più grande e affollato cimitero del globo.

Il 2 novembre, per chi non lo ricordasse è il giorno dei morti e, grazie a questa scadenza, che sicuramente il governo Meloni non vorrà usare per interrompere l’accordo, non sarà più soltanto il giorno in cui si rivolge un reverente pensiero a chi non c’è più, ma anche quello in cui già si celebreranno le altre migliaia di bambini, donne e uomini che mai riusciranno a toccare di nuovo terra da vivi,

Non posso credere che Meloni, Salvini, Piantedosi, Nordio e compagnia, dopo aver riaccompagnato al-Masri a casa con un aereo di Stato, possano pensare di interrompere il rapporto mandante-sicario con la Libia e neppure mi immagino che il pavido Tajani, pur non inneggiando alla scelta, possa distaccarsene, ma sono sicuro che questa potrebbe essere almeno un’occasione per riflettere su come noi – intesi come popolo italiano, anche se pure all’estero succedono cose molto simili – stiamo intendendo quella che una volta era chiamata “la politica” e sul perché – almeno credo – molti di noi ormai con questa politica non vogliano avere più nulla a che fare, neppure nel breve impegno che richiede un voto.

Se il sovranismo, infatti è l’atteggiamento di chi vuol far star bene sé stesso e i propri vicini, anche a detrimento degli altri, la politica è l’arte di tentare di migliorare le condizioni di vita di tutti, anche di coloro che non ci sono né parenti, né amici, né vicini. E così è evidente la ripulsa che provo nei confronti della Meloni, che invocava non soltanto l’affondamento dei barchini dei migranti, ma anche quello delle navi delle ONG che incrociavano nel Mediterraneo per salvarli, o di Salvini, orgoglioso estensore dei suoi cosiddetti “decreti sicurezza” che, tra l’altro fanno il possibile per rendere impossibile ogni soccorso nella schifosa idea che ogni nuovo cadavere annegato possa fungere da spaventapasseri nei confronti di altri disperati, o di Piantedosi, che da fedele servitore di Salvini da funzionario del ministero, continua a mantenere la medesima obbedienza anche da titolare.

E così non posso che pensare con assoluto sdegno a Conte che, pur ammettendo oggi di avere sbagliato, da presidente del Consiglio, ha controfirmato sorridendo quei decreti Salvini. E lo stesso raccapriccio provo per Minniti che è stata la mente che ha escogitato la schifezza che sta per rinnovarsi per tre anni, ma anche per Gentiloni che, da allora presidente del Consiglio, ha consentito che i piani di Minniti, che per i migranti impedivano anche un secondo grado di giudizio, diventassero realtà.

Faccio questo elenco di personaggi per me esecrabili, non soltanto per rinfrescare un po’ la memoria a coloro che mi leggono, ma soprattutto per indicare il fatto che ormai da decenni quella che ci ostiniamo a chiamare politica ha perduto la sua funzione di ricerca del bene comune perché ha rafforzato i suoi legami con l’economia e con quel rifiuto degli altri che ormai è stata ribattezzata “sicurezza”, ma soprattutto ha reciso di netto ogni contatto con l’etica.

E se la scienza, la tecnologia e l’economia prive di contenuti etici rischiano di creare problemi spaventosi, la politica senza etica è un disastro senza paragoni perché consente tutto, anche l’essere mandante di sicari che uccidono o fanno morire i più disgraziati, gli ultimi; anche di intraprendere guerre per dimostrare di essere i più forti; gli eletti.

E a questo punto, almeno per chi è più giovane e ha ancora forze intatte, non può più essere sufficiente l’andare a votare: occorre davvero fare politica, almeno manifestando esplicitamente ogni volta che si può, anche al bar, a scuola, per strada, che è l’etica a dirigere la politica. E non viceversa.

sabato 18 ottobre 2025

Due eventi, non uno soltanto

Credo sia il caso di tornare sulla manifestazione udinese perché su stampa e televisioni assortite si notano ben più distintamente i commenti sugli incidenti scoppiati a manifestazione conclusa che sulle motivazioni che hanno portato a scendere in strada migliaia di cittadini che condannano le violenze, le invasioni e gli assassinii del governo Netanyahu e si esprimono in favore del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi. Sono sicuramente antisionisti, laddove sionismo è considerato sinonimo di imperialismo, e contemporaneamente non sono minimamente antisemiti in quanto considerano tutti gli uomini uguali, a prescindere dal colore della pelle, dalla lingua, dalla religione e dall’etnia. E lo fanno anche perché fossero loro in quella condizione vorrebbero che qualcuno manifestasse per loro.

Il fatto è che la stragrande maggioranza degli articoli che ho letto non prende in considerazione un aspetto fondamentale: se, infatti, parliamo di quello che è accaduto martedì sera, non dobbiamo riferirci a un evento unico, ma a due realtà completamente staccate tra loro.

La prima era un corteo, assolutamente pacifico, da ben oltre diecimila persone, donne e uomini, giovani e vecchi, rumorosi ma ordinati, che hanno sfilato nelle vie di Udine per qualcosa che, vista la distanza da dove la strage è avvenuta, teoricamente non avrebbe dovuto riguardarli; però hanno comunque deciso di protestare contro chi ammazza bambini, donne, uomini che nulla hanno a che fare con il terrorismo, contro coloro che sganciano bombe e mitragliano indiscriminatamente; contro quello che si vanta di aver fornito quelle bombe, quelle mitragliatrici e quei proiettili e che pretenderebbe gli dessero il Nobel per la pace perché, come ha detto Tacito, è stato sodale con coloro che hanno creato un deserto e l’hanno chiamato pace.

La seconda riguarda un centinaio, o poco più, di malintenzionati già decisi a provocare il caos visto che, già prima che il corteo vi arrivasse, urlavano in piazza Primo maggio che volevano arrivare allo stadio, ben sapendo che sarebbe stato impossibile, e che poi hanno ripetuto anche a Udine quello che avevano già inscenato in altre occasioni e in altre città: scontri con le forze dell’ordine, violenza assortite, incendi dei contenitori stradali delle immondizie.

Alcuni hanno detto che «gli organizzatori avrebbero dovuto isolare le decine di mele marce per difendere una manifestazione che era stata pacifica». Sono assolutamente d’accordo che i malintenzionati, magari già distinguibili in partenza perché celati dietro un passamontagna o qualche sciarpa, avrebbero dovuto essere isolati e allontanati dalla manifestazione, ma questo compito non era degli organizzatori, bensì delle forze dell’ordine che, oltre a possedere una professionalità che i civili non hanno, possono fruire anche di ricchi archivi e casellari giudiziali in cui nomi, cognomi, fotografie e curricula dei violenti sono già praticamente a disposizione per tempestive identificazioni.

Taluni dicono che polizie e carabinieri non devono intervenire preventivamente perché il loro compito è quello di difendere i cittadini, le proprietà private e gli arredi urbani. D’accordo, ma coloro che scendono in piazza contro il genocidio praticato contro la popolazione palestinese, non sono cittadini anche loro? Non hanno anche loro diritto alla protezione delle forze dell’ordine?

Ho sentito un’esponente della destra – purtroppo l’autodifesa della mia mente ne ha cancellato immediatamente il none – che diceva che ogni manifestazione dovrebbe essere cancellata se gli organizzatori non sono in grado di assicurare che non ci saranno incidenti. Nessuna sorpresa che costui non conosca la Costituzione, ma l’unica risposta che posso dargli è che vada a rileggersi (o più probabilmente a leggersi per la prima volta) l’articolo 21 e l’articolo 17 della nostra Carta fondamentale.

Non è accettabile che si cerchi una scappatoia del genere per evitare che il dissenso diventi troppo visibile e fastidioso. E sinceramente avrei difficoltà a discuterne anche se preventivamente, per lo stesso timore di disordini, fossero proibiti, o costretti a porte chiuse, i derby calcistici Roma-Lazio, Genoa-Sampdoria, Inter-Milan, Juventus Torino e, magari, un futuribile Udinese-Triestina. Ma sono sicuro che questo non succederà mai perché gli spettacoli calcistici, a differenza delle manifestazioni sociali e politiche in cui partecipano cittadini indignati e disinteressati, muovono ingenti masse di denaro.

Quelli che hanno sfilato non sono coloro che hanno commesso violenze e per loro non c’è da parlare di condanne perché hanno marciato per protestare, ma soprattutto per dimostrare che è di nuovo necessario sognare: immaginare e volere un mondo diverso in cui cessino le discriminazioni, i razzismi, i fondamentalismi religiosi, le diseguaglianze, il capitalismo senza freni e la povertà senza salvagenti. Un mondo di pace vera e non soltanto di assenza di spari.

È un’utopia? Sicuramente sì, ma l’aria senza utopie sarebbe irrespirabile e le utopie, del resto non sono luoghi inesistenti, ma soltanto posti in cui non si è ancora riusciti ad arrivare.

La mia emozione di aver visto tanti sognatori messi insieme è ancora fortissima e posso capire chi teme che una simile massa di persone trovi la voglia di tornare ad andare alle urne.

venerdì 3 ottobre 2025

Un sorriso vi seppellirà

A decine, centinaia di migliaia praticamente in tutte le città, a sventolare bandiere, scandire slogan, marciare in corteo con un senso di partecipazione e di unità che non si vedeva da tantissimi, troppi anni. A riunire tanta gente in strada e nelle piazze, un argomento tra i più tragici che la maggior parte di noi abbia visto accadere in diretta: un genocidio, quello perpetrato dall’esercito di Netanjahu e dei suoi complici nei confronti del popolo palestinese. Non nei confronti di Hamas colpevole di una strage crudele e insensata di oltre milleduecento ebrei “colpevoli” soltanto di essere tali, ma proprio di un intero popolo che, con questa scusa, ora può essere cancellato, o almeno espulso dalla sua terra che diventerà, secondo le parole del vergognoso ministro sionista Smodrich, una vera miniera d’oro immobiliare i cui frutti andranno divisi con l’alleato americano che oggi si identifica con l’affarista immobiliare Donald Drump che un popolo, che ha perduto la bussola democratica, ha portato per la seconda volta alla Casa Bianca.

Il costo? Qualche miliardo di dollari necessari a pagare le armi e i soldati che hanno ammazzato oltre sessantamila esseri umani, per buona parte bambini, donne e anziani che nulla hanno mai avuto a che fare con il terrorismo. E la stima delle vittime è largamente approssimata per difetto.

A rendere ancora più cupo il pensiero che ha accompagnato i manifestanti, la frustrazione e la constatazione della propria impotenza all’interno di una democrazia che sta sbandierando un nome che più non le appartiene perché il popolo è da anni che non può più decidere nulla, nemmeno il nome di coloro che vorrebbe eleggere. È da anni che vede succedere cose che non avrebbe mai voluto vedere: il leader dei 5 stelle che firma i disumani decreti sicurezza assieme a Salvini, un ministro degli interni di targa PD che dà ai libici la licenza di uccidere e gli strumenti per metterla in pratica, una presidente del Consiglio che non si vende a Trump e alle sue criminali follie, ma addirittura si regala, in una cupidigia di servilismo che si soddisfa anche soltanto con la momentanea vicinanza fisica con quello che è l’indegno erede di coloro che una volta venivano chiamati “i capi del mondo libero”.

In strada e nelle piazze, insomma, tutti i motivi possibili per essere tristi, cupi, disperati anche pensando che, ormai non soltanto in Medio Oriente, si parla tranquillamente di guerra e si sostiene che anche la sanità, la scuola, il lavoro, la cultura in genere devono sottostare a ulteriori, forti tagli perché i soldi devono essere destinati a comperare le armi da Trump, proprio dall’idolo di Giorgia Meloni.

Eppure in strada e nelle piazze ci si è quasi stupiti nel vedere i sorrisi dipinti sulla faccia di studenti, giovani, anziani, donne e uomini di qualunque età; anche di disabili in sedia a rotelle, di giovani genitori con bimbi in passeggino. Ed erano sorrisi spontanei, non artefatti e non difficili da decifrare: gli stessi sorrisi che involontariamente fioriscono quando ti svegli da un incubo e ti rendi conto che quello che hai patito nel sogno non è realtà e che quasi sempre puoi benissimo fare in modo che non succeda.

Sorrisi che sgorgano nel vedersi in tanti, insieme, uniti in un sentire comune in cui nessuno sgomita per avere un posto di primo piano, ma tutti avvertono il bisogno, ancor più che la necessità, di opporsi alla disumanità come fondamentale impegno politico, ma ancor prima come dimostrazione di appartenere a un genere umano e non belluino.

Sorrisi che affiorano nel vedersi urlare “No” a un cosiddetto garante che pone limiti assurdi all’articolo 40 della Costituzione, quello che stabilisce il diritto di sciopero, sostenendo che si tratta di uno “sciopero politico”. Ma quale sciopero, di grazia, non è stato politico? Uno non dovrebbe poter protestare se colei che in teoria ti rappresenta si rifiuta di fare qualsiasi cosa di concreto per tentar di fermare chi si sta macchiando di genocidio? Se la stessa persona cerca di convincerti che i rappresentanti di 44 nazioni sono saliti in barca soltanto per far dispetto al governo Meloni? Se usa toni di condanna senza appello per chi porta aiuti umanitari, ma tace davanti a chi fa morire di fame e di malattie curabilissime migliaia di persone? Se interpreta una protesta diffusissima contro sé stessa con la voglia di allungare il week-end per trascorrere l’allungamento in strada, con lo scopo di riaffermare la propria umanità che è ben diversa dalla disumanità di una destra che dimostra di non essere minimamente mai cambiata nelle idee.

La Meloni aveva ragione a tentare di scongiurare questa giornata di protesta: forse aveva già immaginato di vedere quei sorrisi che si schiudono davanti a quella che speriamo sia una ripartenza.

Una volta si diceva: «Una risata vi seppellirà». Oggi non c’è niente da ridere, ma si può ben sperare che sarà un semplice sorriso, quello di questa protesta, a seppellirli.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/