mercoledì 20 aprile 2022

Una sola strada tra i dubbi

GuerraQuando, un po’ più di tredici anni fa, ho pensato a quale titolo dare a questo blog, ho scelto “Eppure…” perché ero convinto che fossero ben poche le affermazioni, al di là di quelle proposte dalle scienze esatte, che potessero essere esenti dall’essere messe in dubbio con un «Sembra proprio così; eppure…».

Oggi, tra le tante altre cose che la guerra ha mandato in frantumi ci sono anche alcune certezze che ritenevo granitiche e che, invece, alla prova dei fatti, sembrano essersi sbriciolate probabilmente perché ci siamo dimostrati del tutto impreparati ad affrontare gli infiniti dilemmi, pratici ed etici, che questa drammatica realtà ci pone quotidianamente davanti agli occhi.

Può essere che, nei quasi settant’anni in cui abbiamo guardato alle guerre nel mondo come a realtà che in definitiva non ci toccavano direttamente, abbiamo perduto quella sensibilità che era ben presente, invece, in coloro che avevano vissuto uno, o entrambi i conflitti mondiali. O, forse, dipende dal fatto che l’economia è diventata talmente pervasiva da indurci, più o meno consciamente, a mettere in secondo piano ogni altro aspetto sociale, ma sta di fatto che ci siamo trovati del tutto disarmati davanti alla necessità di far concludere al più presto questa guerra contrapposta all’altrettanto importante necessità di salvaguardare gli aggrediti. Perché tra le poche cose ancora certe c’è il fatto che non ci sono dubbi nell’individuare l’aggressore (la Russia) e l’aggredito (l’Ucraina). E se qualcuno dubita di questo, vorrei che spiegasse come mai gli scontri, le distruzioni e le morti sono concentrati praticamente nella loro totalità in Ucraina.

Forse la prima idea che, almeno in me, è andata in frantumi è quella del pacifismo assoluto perché mi sono reso nuovamente conto che la storia insegna che una guerra la si combatte in due, ma a dichiararla è quasi sempre uno solo, anche se preferisce chiamarla “operazione speciale”. Dunque non deve essere messo eventualmente in discussione il concetto di “ripudio” della guerra, ma quello di diritto alla difesa; anzi, di quella “legittima difesa” che è accettata da tutte le leggi, religiose o laiche che siano. Ed è la stessa Costituzione, nell’articolo 11, a dire che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», lasciando, come sottinteso evidente, il fatto che la difesa della libertà, propria o altrui, dà diritto alla resistenza, a quella stessa Resistenza che ha permesso la nascita dell’Italia repubblicana e che nessuno può proibire all’Ucraina, determinata a difendere la propria indipendenza e libertà. Anzi, visto che nell’articolo 10 si tende a attribuire a tutti gli esseri umani del mondo i medesimi diritti goduti dai cittadini italiani, appare legittimo anche l’aiuto ai combattenti ucraini.

Se la resistenza non fosse ammessa, ci si troverebbe, infatti, davanti all’impraticabile bivio tra la servitù e il martirio, un martirio che ognuno può scegliere per sé, ma non certamente per gli altri.

Il problema, insomma, non mi sembra quello di ribadire che la guerra debba sparire dalla faccia della terra, un concetto sul quale, a parole, sono tutti d’accordo. Il problema è, invece, quello di non togliere l’appoggio agli aggrediti, anche perché, se lo si facesse, automaticamente si ridarebbe fiato alla legge del più forte, al predominio della violenza sulla ragione, e si rinnegherebbero secoli di lento, faticoso, discontinuo progresso proprio sulla strada di quella pace che si può realizzare soltanto con il dialogo continuo tra le parti.

Tutto questo nega, con chiara evidenza, ogni equidistanza che rifiuti qualsiasi presa di posizione perpetuando, così, il senso di impunità di cui, in tal caso, godrebbe ogni aggressore. Anzi, la chiave è esattamente quella opposta che punta a indicare chiaramente le colpe e a bloccare, prima ancora che punire, i colpevoli.

Per seguire questa strada sono state immaginate e realizzate le organizzazioni sovrannazionali tra le quali spiccano soprattutto l’ONU e l’Unione Europea. Non sono perfette, d’accordo; anzi! La prima è schiava di quel diritto di veto che tocca a cinque Nazioni (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica diventata poi Russia, e Cina) e che permette al prepotente di continuare a essere tale senza che gli altri quasi neppure possano disapprovarlo. La seconda, invece, anche se ha cancellato la realtà della guerra al suo interno da decenni, è paralizzata da quella richiesta di unanimismo che troppo spesso blocca qualsiasi iniziativa di giustizia.

Perché anche in questo è la parola giustizia a essere determinante: finché non sarà possibile applicare la giustizia anche nelle vicende tra gli Stati, ci sarà sempre qualcuno che potrà decidere di scatenare una guerra e, a quel punto, ogni tipo di pacifismo non riuscirà a risparmiare neppure una vittima; non riuscirà a salvare neppure un diritto alla libertà e all’autodeterminazione.

Come tra gli umani, anche per le Nazioni l’unica strada resta quella della giustizia. Un’utopia? Certamente, ma le utopie esistono proprio perché possano tramutarsi in realtà.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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