venerdì 11 marzo 2022

La guerra non è mai soltanto altrui

000Qualche giorno fa ho tentato di elaborare un ragionamento sulla liceità della fornitura di armi a un Paese aggredito da un altro, appoggiandomi agli articoli 10 e 11 della nostra Costituzione e arrivando alla conclusione che, se riconosciamo a tutti gli esseri umani, di qualunque nazionalità essi siano, gli stessi diritti di cui dovremmo godere noi italiani, e se noi ripudiamo la guerra come mezzo di offesa, ma la ammettiamo come legittima difesa davanti a un’aggressione e a un’invasione, allora anche gli altri hanno gli stessi diritti e sta a noi, ove possibile, dare loro i mezzi per renderli reali.

D’altro canto, sarebbe illogico il contrario visto che la nostra stessa Repubblica, con la sua Costituzione, è nata da una Resistenza concretizzatasi contro un invasore di territori, come l’esercito nazista, e un invasore di diritti, come il fascismo. E anche in Ucraina c’è questa doppia invasione, anche se, in questo caso, territori e diritti sono invasi e calpestati sempre dallo stesso soggetto: da Putin e dalle sue forze.

Ma ci sono anche altre considerazioni che, a mio parere, giustificano l’attuale atteggiamento di quello che per comodità, più che per convinzione, continuiamo a chiamare “l’Occidente”.

La prima riguarda l’impossibilità del pacifismo equidistante, soprattutto perché equidistante non può essere: nel momento in cui, in uno scontro disequilibrato, non si prende posizione per nessuno dei due contendenti, inevitabilmente si finisce per favorire colui che già in partenza è il più forte.

La seconda riguarda la tesi che Zelensky, invece di incitare i propri connazionali a resistere, dovrebbe puntare a farli arrendere per risparmiare loro l’orrore crescente della guerra. Questa è una tesi sulla quale a livello filosofico si potrebbe anche discutere, ma che nella realtà ha poco senso in quanto la scelta se rinunciare, senza opporsi, alla propria libertà e indipendenza non può che spettare a coloro che alla libertà e indipendenza dovrebbero rinunciare.

Terzo punto: le conseguenze economiche che la prosecuzione della guerra renderà, per tutto il mondo, ancora più pesanti di quelle che già ci sono oggi. È evidente che l’argomento riveste una notevole importanza in quanto una crisi economica – lo sappiamo benissimo – va a incidere più pesantemente sulla vita dei poveri che dei ricchi, erodendo le disponibilità economiche specialmente attraverso la crescita dell’inflazione, ma anche, se non soprattutto, con la cancellazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Però anche in questo le considerazioni economiche non possono prescindere dai sentimenti di chi la guerra la sta subendo. Immanuel Kant ha scritto: «Tutto ha un prezzo, o una dignità. Ha un prezzo ciò al cui posto può essere messo anche qualcos’altro, di equivalente. Per contro ciò che si innalza al di sopra di ogni prezzo, e per ciò non comporta equivalenti, ha una dignità». E la scelta se applicare a se stessi un prezzo, o una dignità, non può che spettare a chi si trova nell’urgenza diretta di decidere se rischiare, o meno, la propria vita.

Ancora meno supporti etici possono avere altre giustificazioni che tenderebbero a limitare i diritti a determinate categorie di persone: per capirci, a determinare l’esistenza, o meno, dei diritti di una persona non può essere la distanza da noi, né l’età, né la religione, né il credo politico e neppure altre discriminazioni, perché un diritto è tale se riguarda tutte le persone; altrimenti diventa soltanto un privilegio di alcuni, pochi o tanti che siano.

Sono sicuramente concetti non semplici da accettare e che possono dare il via a infinite discussioni, ma già una cosa è estremamente chiara: parlare di pace in tempo di pace è estremamente più facile che parlarne in tempo di guerra. E che parlarne lontano dal conflitto è più semplice che se ci si sente coinvolti.

E probabilmente è proprio qui la chiave per sperare in un futuro di pace e non di guerra: bisogna rendersi conto che parlare, ragionare e discutere resta sempre obbligatorio, ma non deve diventare mai un alibi per non operare e che la fatica delle dissuasioni diplomatiche o sanzionatorie va accettata e fatta ben prima della criticità che porta allo scoppio di un conflitto. In realtà, insomma, è dimostrata ancora una volta di più l’assurdità del “Si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra) dello scrittore latino Vegezio. In realtà bisognerebbe rendersi conto sempre che “Si vis pacem, para pacem” (se vuoi la pace, prepara la pace).

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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