Spesso in politica le reazioni 
possono essere più illuminanti delle azioni. E così avviene anche per 
quanto è stato detto sull’uscita di Cofferati dal PD (che, non dimenticando Prodi, sembra amare la cannibalizzazione dei suoi padri) dopo il 
“pasticciaccio brutto” di Genova perché, per prima cosa, va specificato 
che l’ex segretario della CGIL è uscito dal partito di cui era tra i 
fondatori non perché ha perso, ma per come le regole sono state 
cancellate; e in democrazia, se le regole vengono cancellate, la prima a
 perdere, e quindi a morire, è proprio la democrazia.
La Costituzione dice che «Tutti i 
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per 
concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» 
e, come sottolinea Crisafulli combinando il dettato dell'articolo 18 con
 quello dell'articolo 49, i partiti sono citati al plurale perché sono 
«portatori di altrettante diverse concezioni dell'interesse generale». 
In Liguria – ma non soltanto lì – tutto questo è stato stravolto perché 
con la richiesta da parte della Paita e dei suoi patrocinatori di un 
sostegno dell’elettorato di centrodestra alle primarie, e con la 
ventilata possibilità di creare una giunta che tenesse conto anche delle
 esigenze del medesimo centrodestra, si è cancellato il concetto stesso 
di partito e, quindi, di diversità di programma politico, impedendo una 
scelta democratica agli elettori e presentando, quindi, una specie di 
minestrone in cui i vari ingredienti perdono caratteristiche visive, 
olfattive e gustative. Se, poi, le cosiddette “larghe intese” possono 
essere uno strumento politico temporaneo per superare momenti difficili,
 questo espediente non può diventare un sistema, più o meno dissimulato,
 per mantenere un potere sulle decisioni da prendere a nome della 
comunità; decisioni che non avrebbero più un indirizzo democratico, 
appunto, ma sarebbero dipendenti soltanto dalla volontà degli eletti a 
prescindere da quella degli elettori.
Si potrebbe dire che l’inquinamento
 del centrodestra nelle primarie del centrosinistra era già evidente in 
quelle che hanno visto Renzi diventare segretario del PD. È vero, ma il 
problema si è aggravato sia qualitativamente, sia quantitativamente. 
Qualitativamente in quanto l’invito agli elettori di destra a dire la 
loro sulle decisioni del centrosinistra questa volta è stato esplicito, a
 dimostrazione che non serve più nemmeno far finta che delle regole 
democratiche, anche se non scritte, ci siano. Quantitativamente perché 
lo stesso invito è stato ribadito anche dai maggiorenti del centrodestra
 e, quindi, presumibilmente, i votanti berlusconiani, alfaniani, o anche
 altro, sono stati decisamente di più dell’altra volta.
Claudio Burlando, presidente 
uscente della Liguria e patrocinatore della Paita dice che «Se il Pd non
 si ricompatta, c'è il serio rischio di perdere le elezioni regionali 
liguri». A lui si può rispondere che bisognerebbe discutere sul 
significato di “vincere” e di “perdere”: a “vincere” o a “perdere” 
sarebbe un’idea politica con i suoi valori e le sue convinzioni, come 
continuiamo a pensare in molti ingenui tradizionalisti affezionati alla 
democrazia e alla Costituzione, oppure sarebbe una specie di comitato 
allargato che non esprime più un indirizzo politico, ma soltanto una 
presunta necessità di stabilità governativa? Il democraticamente assurdo
 «Lasciatelo lavorare» dedicato per vent’anni dai suoi sostenitori a 
Berlusconi, ora viene ripetuto per Renzi e viene anche clonato per i 
suoi fedelissimi. E, in quest’ottica, non appare strano che Berlusconi 
renda pubblica una teorica sfuriata contro Brunetta reo di apostrofare 
in modo troppo rude lo stesso Renzi.
Ma non è soltanto dal punto di 
vista squisitamente politico che l’attuale PD sembra inadeguato perché 
non offre agli elettori una possibile scelta chiara. La stessa miopia 
sembra danneggiarlo anche dal punto di vista puramente pragmatico perché
 se la disaffezione dimostrata dai suoi elettori nella roccaforte 
dell’Emilia Romagna non ha insegnato nulla, allora i risultati delle 
prossime elezioni potrebbero anche causare una frammentazione del 
partito che andava tronfio del suo 40,8 per cento e che potrebbe perdere
 per strada una consistente fetta di elettorato che non lo 
riconoscerebbe più come partito che prede le sue parti.
Ogni elastico dà l’idea di poter essere tirato indefinitamente, ma se si spezza non è più possibile rimetterlo insieme.
Sulla vicenda ligure e le sue conseguenze è già stato pubblicato un blog che potete trovare all’indirizzo http://carbonetto-udine.blogautore.repubblica.it/2015/01/17/casa-propria-o-casa-altrui/
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
 
 
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