Fulminante la 
vignetta odierna di Bucchi su Repubblica. Dal solito profilo umano, 
abbastanza indistinto, si alza un pensiero: «Per cambiare il mondo si 
aspetta il momento in cui uno solo possiederà tutto». Mi è difficile non
 pensare che non si riferisca all’odierna situazione italiana nella 
quale ormai chi ha la responsabilità di governo non si accontenta di 
operare con la maggioranza di cui dispone, ma che vuole avere la 
certezza che questa maggioranza sia invulnerabile e, anzi debba essere 
allargata fino a comprendere proprio tutti, e ubbidienti; che non 
accetta alcun segno di dissenso, anche se questo dissenso non nasconde 
un’inimicizia di base, ma soltanto un disaccordo sulle cose che possano 
far davvero bene al nostro Paese. E, quindi, visto che un punto basilare
 della natura umana è rappresentato dal fatto che nessuno ha sempre 
ragione, il disaccordo è sempre e soltanto una forte sollecitazione a 
discutere sul serio e non a far finta di discutere avvertendo fin 
dall’inizio: «Dite pure quel che volete, ma tanto poi si fa quello che 
dico io perché ho i numeri». Salvo, quando questi numeri cominciano a 
vacillare, subire crisi che portano a pronunciare frasi che non 
appartengono certamente al repertorio di uno statista propriamente 
detto. 
Ripercorriamo alcune di quelle dette
 ieri da Renzi: «La minoranza del Pd punta a votare una legge elettorale
 contro di me e contro il partito. Mi vogliono accoltellare, questa è la
 verità». Una legge elettorale contro di me? Ma allora la legge 
elettorale non deve tendere alla realizzazione di una democrazia 
compiuta, ma deve favorire una parte per sfavorire un’altra? E, poi, 
accoltellare? Questo verbo fa presupporre un attacco a tradimento mentre
 la tanto vituperata “minoranza del PD” sta dicendo quello che pensa da 
mesi e mesi, senza nascondere nulla, senza comperare voti e senza 
chiedere aiuti al centrodestra. Altro che attacco a tradimento: è una 
ricerca di confronto mai accettato davvero.
Altra frase: «Non mi spavento certo 
di Gotor». E prosegue: «È chiaro che se passano le loro modifiche, io 
vengo sfregiato. Poi però si va a votare. Anche con il Consultellum». In
 politica a spaventare non dovrebbero essere le persone, ma, 
eventualmente, le idee e Renzi alle idee altrui non fa mai riferimento. 
Il problema è che teme di essere “sfregiato” lui stesso identificandosi,
 evidentemente, con il partito di cui è segretario, ma che non 
corrisponde più a quello al quale inizialmente si era iscritto. 
E ancora: «Hanno avuto un sacco di 
roba: i ballottaggio, il premio alla lista, le preferenze. Se il Pd 
vince avrà solo il 30 per cento di nominati». A parte il fatto che su 
queste tre “robe avute” ci sarebbe da discutere, ma “hanno avuto” chi? 
Nel mondo evocato da Renzi, sembra che sia lui a elargire oboli a 
questuanti che chiedono cose che servano a loro e non alla comunità. 
Nella visione delle cose renziana sembra non esistere assolutamente il 
concetto democratico secondo il quale idee diverse si confrontano alla 
ricerca del compromesso più vicino possibile al bene comune e poi, se 
proprio non si riesce a trovare un accordo, si va a votare, ma per le 
proprie idee e non per quello che dice il “capo”.
Però la storia insegna che, anche se alla lunga, il peso della sostanza delle parole è sempre superiore a quello delle minacce.
 
 
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