Il disastro giapponese ha indotto quasi tutto il mondo a mettersi a pensare. In Germania hanno deciso immediatamente di bloccare il prolungamento di vita di alcune delle loro centrali nucleari, mentre in Svizzera e Polonia hanno sospeso tutte le procedure per nuove autorizzazioni. Quasi dappertutto, poi, Stati Uniti compresi, ci si sta interrogando sui rischi inevitabilmente connessi all’uso dell’atomo.
Dico “quasi” perché mentre dappertutto si raccolgono dati, si ragiona, ci si pone problemi e si valuta, in Italia, fin da dieci minuti dopo il primo scoppio nella centrale nucleare di Fukushima, il governo ha fatto dire ai suoi rappresentanti che il nostro Paese avrebbe continuato ad avanzare sulla strada tracciata del nucleare perché «qui da noi è diverso». A dire il vero, prima avevano mandato avanti il professor Zicchicchi a dire che «in Giappone non è successo niente», ma poi, sepolto l’illustre fisico dal ridicolo, hanno scelto di sostenere, anche con lo scienziato Gasparri, che in Italia non ci sarebbero rischi.
A fiancheggiare Berlusconi sul piano internazionale soltanto l’amico Putin che non intende ascoltare il parere della sua gente e il francese Sarkozy, preoccupatissimo che il Italia non venga cambiata idea in quanto «il settore nucleare francese subirebbe pesanti contraccolpi economici».
E così, a far finta che qui da noi nulla possa accadere, si alleano coloro che vogliono energia a buon mercato e quelli che temono che una sconfitta in un referendum potrebbe avere contraccolpi anche politici. Insomma, i rischi altrui sono sempre sopportabili per il bene proprio.
Aggiungo questo a un mare di altre cose che hanno lo stesso significato, tra cui – ricordando soltanto alcune tra le più recenti – il fatto che Berlusconi abbia detto trionfante che con la sua riforma delle giustizia gli scandali di “Mani pulite” non sarebbero mai venuti a galla, le proposte ricorrenti e fantasiose per bloccare la libertà di stampa e di opinione, le offese portate sempre da presidente del Consiglio alla scuola pubblica. E allora mi rendo conto che a separare me da alcuni esponenti della maggioranza di governo non è soltanto la lontananza politica, ma soprattutto quella umana.
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